GEODI – UNINT

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«L'Umanità sarebbe felice se, come ai tempi dell'antica Grecia, nel mezzo di una guerra, gli eserciti nemici interrompessero per un momento le loro battaglie, per celebrare e onorare i Giochi Olimpici».

Così, Pierre de Coubertin, nel 1936, si esprimeva durante un intervento radiofonico alla vigilia dell’edizione dei Giochi di Berlino in cui il mondo stava per sprofondare nella Seconda guerra mondiale. De Coubertin intendeva riformare l’idealismo olimpico che, tra le altre cose, doveva dare spazio a una visione comprensiva di una maggiore intesa tra popoli in nome dell’incontro pacifico. Quella concezione voleva rifarsi alla visione greca della ekecheirìa, la tregua olimpica che veniva proclamata da aristocratici messaggeri di pace in concomitanza dei Giochi di Olimpia. Se, inizialmente, si ritenne che la tregua olimpica fosse da intendersi come una interruzione di tutti i conflitti in corso senza limitazioni temporali e spaziali, più avanti nel tempo, i ricercatori moderni hanno dimostrato che in realtà, per i Greci, il termine ekecheirìa voleva simboleggiare una sospensione delle ostilità con effetti più limitati in termini di spazio e di tempo. Tant’è che, in letteratura, vi è un cospicuo elenco di violazioni che si verificarono ai tempi della Grecia antica. Alcune testimonianze possono essere riscontrate nei testi di Tucidide e Senofonte. 

E nella storia contemporanea, quali sono stati gli episodi più eclatanti in cui la tregua olimpica ha ceduto il passo a violazioni di forza?

Berlino, 1936. In quell’edizione non si verificano veri e propri atti di violenza durante la manifestazione olimpica, ma la violenza inizia ad essere imperante in tutta Europa. Soprattutto, è la prima volta nella storia delle Olimpiadi moderne in cui si profila l’opzione del boicottaggio da parte di alcuni Paesi. Numerose, infatti, furono le manifestazioni di dissenso e molti avvertirono di declinare l’invito di partecipazione: la politica di Hitler era sempre più minacciosa. L’anno prima aveva infranto i limiti del Trattato di Versailles, annunciando il riarmo tedesco e, proprio nel ‘36, aveva denunciato il Patto di Locarno, facendo sfumare il vincolo del confine franco-tedesco. Per reprimere parte delle polemiche, il Fuhrer inserì, nella propaganda tedesca dei giochi, la schermitrice Helene Mayer, di origine ebraica. Quella scelta e l’ingresso teatrale di Hitler orchestrato da Richard Strauss durante la cerimonia di apertura non bastarono, però, come consolazione di fronte alle vittorie clamorose dello statunitense di colore, Jesse Owens, che costringeranno Hitler ad abbandonare lo stadio prima di dover premiare l’uomo dei record di quella stagione olimpica. 

Messico, 1968. La vigilia delle Olimpiadi di Città del Messico passa alla storia come un momento tremendamente violento. È il 1968 e, dappertutto, nuclei di gioventù danno voce a un veemente ribellismo per protestare contro l’invasione dei carri armati a Praga. Anche il Messico non uscì indenne da quell’ondata di studenti sotto protesta, anzi, proprio per l’attenzione che il Paese aveva in quel periodo per i giochi, gli scontri tra studenti e polizia divennero imponenti. Tanto che, dieci giorni prima dell’inizio della XIX edizione, nella Piazza delle tre culture a Tlatelolco si verificò un massacro, che vide coinvolta anche la giornalista italiana Oriana Fallaci, che rimase ferita. Ad aprile di quell’anno, un altro evento scosse l’opinione pubblica mondiale, l’assassinio di Martin Luther King. L’eco della lotta contro il razzismo arrivò sul podio dei 200 metri piani. Gli afroamericani Tommie Smith e John Carlos, durante la premiazione, distolsero lo sguardo dalla bandiera americana e alzarono il pugno sinistro di nero inguantato. Un’altra atleta, Vera Caslavska, oro nella ginnastica artistica, subì sopraffazione prima e dopo i giochi. Dato il suo appoggio al movimento democratico cecoslovacco, le fu impedito di allenarsi con il resto della squadra e, rientrata a Praga, divenne oggetto di rappresaglie.  

Monaco, 1972. La violenza raggiunge la sua massima espressione, è l’anno del massacro. Insieme ai dirottamenti da parte del FPLP della fine degli anni Sessanta, le Olimpiadi di Monaco rappresentano le prime circostanze in cui il terrorismo palestinese entra in Europa, diventando un terrorismo transnazionale. A partire da quegli anni, la strategia del terrorismo palestinese sarà quella di compiere attentati contro Israele in tutto il mondo e contro i Paesi che lo sostengono. Drammaticamente, durante i giochi, il mondo assistette all’aggressione di un commando dell’organizzazione Settembre Nero nei confronti della squadra israeliana. Dopo aver fatto irruzione nel Villaggio Olimpico e dopo aver ucciso subito 2 membri della squadra israeliana, altri 9 vennero tenuti sotto sequestro. Purtroppo, anche questi persero la vita. Così, alla fine, le vittime della delegazione israeliana furono 11. 

Mosca, 1980. Le Olimpiadi Estive del 1980 sono quelle della violenza fredda, in cui le schermaglie tra i due blocchi finiscono per riflettersi nella politica sportiva. Nel dicembre dell’anno precedente, l’Unione Sovietica aveva invaso l’Afghanistan per sostenere la lotta contro le milizie anti-comuniste dei Mujaheddin. Come risposta, Carter congelò il trattato SALT II e, sempre nel ‘79, si verificò la crisi mediorientale e quella degli euromissili. Tutti questi eventi portarono Fred Halliday a parlare di “seconda guerra fredda”. Proprio sullo sfondo di questo peggioramento del clima internazionale, il Presidente americano Jimmy Carter avanzò l’ipotesi di togliere l’organizzazione dei giochi dalle mani dei sovietici. Vennero pensate diverse soluzioni di fronte a questa proposta, tra cui quella di far partecipare tutti i Paesi sotto una sola bandiera, quella olimpica. Ma anche l’opzione di denazionalizzare l’intera gara non convinse le due superpotenze. Così, proprio come una strategia bellica, Washington organizzò un boicottaggio e gli USA e diverse nazioni alleate, come Cina e Germania Ovest, non parteciparono. Nel frattempo, tre italiani faranno la storia nell’atletica leggera. Con Maurizio Damilano nella marcia 20 km, con Pietro Mennea nei 200 metri piani, con Sara Simeoni nel salto in alto: l’Italia sarà tre volte oro. 

Los Angeles, 1984. La ventitreesima edizione diventa la protagonista della risposta sovietica al boicottaggio statunitense di quattro anni prima. Poco prima del via alla competizione, i sovietici annunciarono che, per questioni securitarie, i propri atleti non avrebbero partecipato, così come non avrebbero preso parte gli sportivi dei Paesi del blocco di Varsavia e di Cuba, con la sola eccezione di Yugoslavia e Romania. Congiuntamente ai giochi del 1980, quelli del 1984 devono essere visti come l’ennesimo momento di confronto tra USA e URSS. La sfida della Guerra fredda era a tutto campo. 

L’ekecheirìa assume valore nel contesto dell’ampia litigiosità delle città-stato greche, e la tregua era un modo sacro per evitare che, nell’unico momento di incontro, si verificasse un’occasione di scontro. Le Olimpiadi del Novecento devono essere lette come una ulteriore testimonianza del costante deterioramento delle forme e delle logiche politiche della modernità, in cui la tradizionale dialettica categoriale viene sconvolta, e di cui anche la guerra ne fa parte. Oggi siamo in una nuova evoluzione della violenza globale, come dimostrato dai sabotaggi dei TGV nel giorno della celebrazione inaugurale. Una situazione di crisi che ha tenuto vivo lo spettro del terrorismo internazionale ma che, in realtà, nel tipo di azione è più affine a spinte eversive interne. Ciò che ci auguriamo per Parigi 2024, è di non assistere a un’entrata in scena aggressiva delle logiche geopolitiche, ma di vedere momenti di confronto animati solo da emozionanti imprese sportive.


Gaia Natarelli – PhD Student UNINT

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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