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Il narratore dell’intelligenza creata dall’uomo

Karel Čapek (1890 – 1938) è sicuramente uno degli autori più importanti della letteratura ceca del Novecento. Nella sua opera letteraria rientra anche l’ampia produzione giornalistica, una lente sugli avvenimenti del complesso periodo tra le due guerre e una fonte della sua visione di quegli eventi così stratificati e ambigui, della sua disposizione a vedere l‘uomo nel suo essere sempre differente, e infine una testimonianza della sua preferenza per la realtà concreta rispetto alle astrazioni.

La vita prebellica dell’avanguardia ceca, con lo sguardo aperto e internazionale, subirà uno scuotimento durante e dopo la Prima Guerra Mondiale: l’esperienza della guerra, delle rivolte tra i soldati e della rivoluzione in Russia radicherà una maggiore consapevolezza negli intellettuali cechi. Nascono nuovi stati, tra cui nel 1918 la Repubblica cecoslovacca dopo quasi quattrocento anni di dominazione austroungarica, si ridisegnano i confini di alcuni stati già esistenti e si riformano le relazioni politiche.


È legato alla guerra anche l’interesse di Karel Čapek per il pragmatismo. Prima della guerra Čapek ammirava la tecnologia e la vita moderna, ma improvvisamente ne fu deluso: era necessario trovare una nuova filosofia che si confrontasse con il nuovo mondo, una filosofia della vita pratica, che potesse sostituire la religione e rispettare la scienza moderna¹.

In questo periodo Čapek scrisse un’opera che divenne il simbolo della letteratura distopica: R.U.R., dramma collettivo in un prologo comico e tre atti. Il titolo è un acronimo di Rossum’s Universal Robots e ciascuna di queste parole ha un significato simbolico, fondamentale per comprendere l’opera: „Rossum“, il cognome dei due ingegneri, padre e figlio, rappresenta la scienza e rimanda alla ragione, in ceco „rozum“; „Universal“ è riferito al mondo delle multinazionali, uno dei temi presenti in quest’opera, e infine „Robot“, un neologismo creato da Josef Čapek, il fratello di Karel, che proprio a partire da quest’opera entra nel lessico comune e nell’immaginario collettivo. Già nell’Ottocento inglese, romanzieri e saggisti usavano un lemma di origine slava per indicare una forma di lavoro servile – “rob” in slavo antico è radice di “schiavo” e “robota” in ceco rimanda a “corvée”, in russo “rabotat’” è “lavorare” – ma
furono le rappresentazioni teatrali sui palchi di tutto il mondo, dopo quello praghese nel 1921, a portare la parola robot definitivamente alla ribalta. Nel tempo, R.U.R. fu fonte d’ispirazione anche per film come Metropolis di Fritz Lang e Blade Runner di Ridley Scott.

Ci fu però un grande fraintendimento, iniziato sin dalle prime rappresentazioni straniere dell’opera. Il robot creato da Karel Čapek non corrisponde affatto all’idea odierna di un essere meccanico, la sua creazione non avviene assemblando ingranaggi ma per via chimica, cancellando tutto ciò che non fosse legato direttamente al lavoro. Uno dei riferimenti letterari antecedenti è la figura del Golem, di cui hanno ampiamente scritto Ripellino e Corduas. Il robot e il Golem praghese sono creati come servi ubbidienti, ma a differenza del Golem il robot è concepito come membro di un gruppo e il Golem non è dotato di intelligenza come invece lo è il robot.

Le opere distopiche si offrivano all’autore come un genere ideale per rappresentare la realtà nascosta in un mondo fantastico e costituivano anche, per Čapek, uno spazio di ricerca: le sue distopie erano non solo un monito alla società, ma anche rappresentavano il metodo personale dell’autore per scoprire la verità sull’uomo. Le opere iniziano in modo utopico, descrivono una civiltà tecnologicamente avanzata in cui un’invenzione rivoluzionaria ha un effetto negativo sulla morale umana. È
l’umanità che rimane indietro, rispetto alla tecnologia, trasformando l’utopia in distopia. I temi sono le paure per il transumanesimo e la consapevolezza dell’impossibilità di fermare il processo di combinazione del mondo biologico e di quello tecnologico, l’assunzione della responsabilità individuale dell’uomo per le sue azioni e per la sua visione della verità. Come Čapek stesso ha dichiarato più volte, è necessario ricordare che le cose non sono di per sé controverse. Ciò che è controverso sono le posizioni degli uomini rispetto ad esse. Nella nostra relazione con le cose ci sarebbero meno controversie, se ci fossero meno posizioni e più conoscenza.


“Se vogliamo parlare di progresso, non vantiamoci della quantità di automobili o di linee telefoniche, bensì del valore che la vita umana ha per noi e per la nostra civiltà. Non temo che le macchine diventino padrone degli uomini; ciò che è peggio è se noi uomini siamo cattivi padroni degli uomini o delle questioni umane. La relazione tra macchine e uomini dipende soprattutto dalla relazione tra uomini e uomini: il che dovrebbe essere nelle nostre mani almeno quanto la potenza delle macchine è nelle nostre mani.“²


La ricerca e l’esplorazione di Karel Čapek sull’uomo artificiale, incarnato dal robot, è sempre presente nella prima fase della sua produzione, successivamente vengono pubblicate altre opere che indagano l’uomo e il progresso tra cui Továrna na absolutno (La fabbrica dell’Assoluto, 1922), Krakatit (Karakatite, 1924) e un’altra opera teatrale Věc Makropulos (L’affare Makropulos, 1926). L’attenzione di Čapek per questo tema ritorna nell’opera Válka s Mloky (La guerra delle salamandre) pubblicata nel 1936 in forma di feuilleton, ossia romanzo d’appendice.


Čapek divenne dunque il rappresentante ufficiale della cultura ceca, ma dopo i tumulti della guerra e degli anni immediatamente successivi i tempi rallentarono e i temi delle sue opere cambiarono. In esse troviamo l’uomo e il suo mondo che gli scorre intorno così com’è, un mondo di fiducia, amore e natura. Le relazioni tra le persone sono costituite dalle cose ordinarie, le piccole cose della vita quotidiana, di cui l’autore ha saputo rappresentare la vitale importanza per l’uomo. Il punto di vista di Čapek è, ora, quello di un uomo che ha fede nel potere di queste piccole cose nei confronti della storia e della vita degli esseri umani. In questo periodo Čapek produce soprattutto opere più brevi, racconti, diari di viaggio e articoli di giornale, che sono stati poi pubblicati in raccolte.


Negli anni Trenta fu uno dei pochi scrittori a reagire nelle sue opere contro il pericolo che minacciava l‘Europa. L’opera più importante di questo periodo è certamente il romanzo Válka s mloky (La guerra delle salamandre, 1936). Nel libro ci sono chiare analogie, Čapek mette in guardia dai pericoli del fascismo, ma forse il suo avvertimento è di ordine più generale: le salamandre sono, per così dire, la realizzazione di alcune possibilità umane. Una scoperta casuale, non di per sé negativa, una commedia porta a conseguenze involontarie, per cui oggi suonerà familiare a quanti sono preoccupati per l’intelligenza artificiale. Allora come oggi, viene individuata come un’opportunità di profitto, come scrive The Economist³. Nel 1937 venne pubblicato il dramma Bílá nemoc (Il mal bianco) e un anno dopo Matka (La madre). In quell’anno, il giorno dopo Natale, Karel Čapek morì. Fu appena poche settimane dopo che la sua patria era stata sacrificata per placare i nazisti. Čapek non visse la tragedia contro cui aveva messo in guardia rivolgendosi sempre alle persone più che ai governi, attraverso la sua passione per il dialogo, la condivisione e l’umana cooperazione per un mondo migliore.


A cura di Růžena Hálová, Boemista e traduttrice

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¹ ČAPEK, Karel, Pragmatismus čili Filozofie praktického života (Pragmatismo ossia filosofia della vita pratica), F. Topič, Praha 1918 ² ČAPEK, Karel, Vláda strojů (Il governo delle macchine), in Přítomnost, rivista politico-culturale, 7. 2. 1929 ³ To understand the perils of AI, look to a Czech novel—from 1936, The Economist, 25 luglio 2024

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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