L'ayatollah di carta
- 30 Ottobre 2024
L’attacco lanciato da Israele nella notte tra il 25 e il 26 ottobre con quello che a conti fatti è risultato essere il più massiccio raid della storia dell’aviazione di Tel Aviv rappresenta solo l’ultimo di una lunga serie di rovesci subiti dal regime. I mullah hanno visto notevolmente intaccata, per non dire umiliata, la propria capacità offensiva. Senza alcun dubbio il raid ha evidenziato plasticamente, casomai ci fossero ancora dubbi in proposito, la schiacciante superiorità tecnologica e militare delle IDF. Tsahal può peraltro contare apertamente sul sostegno americano e sulla collaborazione, clandestina ma de facto, dei paesi sunniti della regione guidati dalle petro monarchie del Golfo.
I sunniti al riparo della Stella di Davide
Questo aspetto, una vera e propria rivoluzione nei rapporti di forza regionali rispetto all’eredità del XX secolo, si è mostrato in tutta la sua dirompente novità quando nell’aprile scorso l’Iran ha lanciato più di 300 proiettili (droni, missili da crociera e missili balistici) contro lo stato ebraico. Se l’operazione si è rivelata un totale fallimento tattico con la maggior parte delle munizioni (circa il 99%) intercettata fuori dallo spazio aereo israeliano molto si deve all’intervento diretto di Giordania, Emirati e soprattutto Arabia Saudita, oltre che ovviamente di Stati Uniti e Gran Bretagna. L’operazione ha reso palese che gli accordi di Abramo sono più vivi che mai e che la realtà, al di là della propaganda, vede i paesi sunniti essere disponibili a ad archiviare gli ultimi 80 anni pur di beneficiare della protezione offerta dall’ombrello nucleare israeliano contro il comune nemico sciita. L’isolamento di Teheran è quindi tangibile e gravido di conseguenze anche se, ovviamente, c’è da tenere conto delle ambiguità che contraddistinguono da sempre le vicende del Grande Medio Oriente. Il blocco sunnita non è granitico, i Fratelli musulmani ed Erdogan a suo tempo hanno contestato la firma degli Accordi e nulla lascia pensare abbiano cambiato idea. Senza contare le contraddizioni implicite e la litigiosità fisiologica in uno schieramento trasversale sunnita sciita (simboleggiato dalla collaborazione tra Hamas, Fratelli musulmani e Hezbollah) che è molto meno compatto di quanto vuole mostrare all’esterno.
La vendetta del Mossad
A ben vedere la situazione per gli ayatollah è però perfino più grave di quanto gli eventi menzionati in precedenza facciano intuire. Da un lato, la superiorità militare israeliana non è in ogni caso un elemento nuovo nell’equazione del conflitto. Dall’altro, negli ultimi mesi il regime ha dovuto subire colpi di intensità crescente proprio nel campo dove riteneva risiedesse gran parte della sua capacità di minaccia e di deterrenza. L’Asse della Resistenza ideato e forgiato dal generale Soleimani e composto da formazioni e milizie proxy allevate dai Pasdaran è stato falcidiato da una catena di omicidi orchestrati e messi a segno dai servizi israeliani e dalle IDF. È sufficiente citare 3 esempi per capire quanto Israele sia penetrato tra le file nemiche ad una profondità che molti non ritenevano più possibile dopo la debacle del 7 ottobre: l’omicidio del leader di Hamas Isma’il Haniyeh addirittura a Teheran in una struttura dei Pasdaran, l’operazione con cui centinaia di cercapersone in uso a militanti di Hezbollah sono stati fatti esplodere simultaneamente e la decapitazione sistematica della milizia libanese che ha visto il suo culmine nell’eliminazione del leader Hassan Nasrallah. Dopo ognuno di questi colpi la Guida suprema Khamenei ha minacciato vendette e rappresaglie di intensità pari alla forza dei colpi ricevuti senza che i proclami trovassero piena applicazione nella realtà. Non è un caso che ciò sia avvenuto perfino dopo l’eliminazione in un raid americano in Iraq dello stesso generale Soleimani (una figura chiave del regime al pari, o quasi, della Guida suprema).
Il ruolo dei BRICS
Si può quindi pacificamente affermare che Teheran non è mai stata in difficoltà come oggi, facendo però attenzione a non sottovalutare le imprevedibili reazioni di un regime che dovesse essere messo di fronte non solo alla fine di sogni di potenza coltivati a lungo ma addirittura alla propria caduta. Sarebbe un errore imperdonabile anche in virtù dei rapporti sempre più stretti che legano Teheran a Pechino e soprattutto Mosca, entrambe sempre pronte a cogliere ogni occasione per creare ulteriore caos in quello che ci ostiniamo a chiamare campo “occidentale”. Non è certamente un caso se proprio in occasione del recente vertice dei BRICS tenutosi a Kazan sono emerse indiscrezioni sulla condivisione da parte della Russia con la milizia Houthi (uno dei perni dell’Asse della Resistenza) di dati satellitari utili a realizzare attacchi contro il traffico mercantile nel Mar Rosso.
Michele Montesano – Laureato in scienze politiche e relazioni internazionali