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I nuovi orizzonti geopolitici di Hamas

Nel recente numero della Cairo Review, rivista pubblicata dall'American University del Cairo, Omar Shaban considera il futuro di Hamas, a seguito dell’uccisione della sua guida, Yahya Sinwar, avvenuta ad ottobre 2024 per mano di un drone israeliano. Secondo Shaban, la morte di Sinwar ha gettato il movimento islamista in una crisi esistenziale. Nel caso di un cessate il fuoco a Gaza, Hamas avrebbe tre opzioni, sostiene Shaban: deporre le armi in cambio della possibilità di continuare a governare la Striscia; cercare una riconciliazione con l'Autorità Palestinese e Fatah; o sostenere la creazione di un organismo tecnocratico che prenda il controllo delle operazioni politiche e amministrative a Gaza.

Nel recente numero della Cairo Review, rivista pubblicata dall’American University del Cairo, Omar Shaban considera il futuro di Hamas, a seguito dell’uccisione della sua guida, Yahya Sinwar, avvenuta ad ottobre 2024 per mano di un drone israeliano. Secondo Shaban, la morte di Sinwar ha gettato il movimento islamista in una crisi esistenziale. Nel caso di un cessate il fuoco a Gaza, Hamas avrebbe tre opzioni, sostiene Shaban: deporre le armi in cambio della possibilità di continuare a governare la Striscia; cercare una riconciliazione con l’Autorità Palestinese e Fatah; o sostenere la creazione di un organismo tecnocratico che prenda il controllo delle operazioni politiche e amministrative a Gaza.

Con la crescente minaccia di morte per le figure di spicco nella leadership di Hamas, l’uccisione di Yahya Sinwar, il 17 ottobre, ha inevitabilmente scatenato una nuova riorganizzazione forzata del movimento. Sinwar, che aveva preso il controllo del gruppo dopo la morte di Ismail Haniyeh, si era distinto per un approccio aggressivo e determinato, lontano da quello più cauto del suo predecessore. La sua ascesa fu il risultato di decenni di pianificazione e di manovre contro i rivali, trasformando il movimento in un “one-man show”, come ha enfatizzato l’Economist. L’eliminazione dell’ennesimo leader influente, dunque, ha costretto Hamas a modificare i suoi piani. I suoi combattenti, che in passato hanno affrontato a viso aperto le forze israeliane nelle città, sono ora tornati nei rifugi sotterranei in attesa di un momento più favorevole.

Intanto, fuori da Gaza, l’organizzazione terroristica opera sotto una “leadership congiunta”, che suggerisce un piano di successione in preparazione dopo la morte di Haniyeh. Secondo resoconti internazionali, è stato nominato un Consiglio di cinque alti funzionari e consiglieri, compresi: Khaled Mashal come capo delle operazioni all’estero, Khalil al-Hayya come capo dell’ufficio di Gaza, Mohammed Ismail Darwish come capo del Consiglio della Shura, Zaher Jabarin come capo della divisione della Cisgiordania e Nizar Awadallah, membro dell’Ufficio politico di Gaza. La maggior parte di loro è attualmente all’estero. Inoltre, come riportato dal quotidiano israeliano Israel Hayom, il prossimo capo dell’Ufficio politico e generale di Hamas potrebbe emergere proprio dall’attuale Consiglio, con il gruppo indirizzato a scegliere Khalil al-Hayya, vice di Yahya Sinwar. Lo stesso al-Hayya, dopo la morte del suo titolare, aveva dichiarato che l’organizzazione sarebbe uscita da questa crisi ancora più forte di prima.

Parallelamente, Israele porta avanti le ostilità nella Striscia di Gaza (applicando la stessa logica al Libano): l’unica cosa che conta è annientare il nemico, distruggere le sue capacità militari e salvare gli ostaggi, nonostante l’immenso costo per i civili palestinesi. Obiettivi che sono rimasti immutati dall’inizio del conflitto, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, architettato dallo stesso Sinwar, catapultando una causa in declino sulle prime pagine internazionali. A partire da quel momento, è iniziata una riflessione tra i principali decisori politici della regione sugli scenari post-bellici a Gaza, basata sulla convinzione condivisa che Israele raggiungerà i suoi obiettivi dichiarati.

Tuttavia, ribadisce Omar Shaban, questi scenari si sono concentrati quasi esclusivamente sul possibile successore di Hamas nella gestione della Striscia di Gaza, trascurando il destino del movimento stesso, che non è solo un’organizzazione politica ma anche una “forza di resistenza” e un fornitore di servizi essenziali per la popolazione. Le capacità militari di Hamas potrebbero rimanere intatte anche dopo la fine della guerra, un aspetto che i piani post-bellici non hanno adeguatamente considerato secondo l’analista ed esperto di sviluppo con ampia esperienza in Palestina. 

Come ha evidenziato un rapporto di giugno del Council on Foreign Relations con sede negli Stati Uniti, la campagna israeliana ha certamente indebolito Hamas, distruggendo una parte significativa delle sue capacità e uccidendo molti dei suoi membri, ma, nonostante le perdite, l’organizzazione continua a resistere, infliggendo perdite all’esercito israeliano a Gaza e mantenendo un certo grado di governo in alcune aree della Striscia.

A questo punto, non è più certo che l’annientamento totale di Hamas sia una prospettiva realistica, come ha recentemente dichiarato ai media locali Daniel Hagari, il portavoce militare israeliano. Politicamente, Hamas mantiene ancora un certo potere negoziale, sia con attori regionali (Egitto, Qatar, Turchia, Cina, etc.) sia, indirettamente, con gli Stati Uniti e Israele, attraverso il suo ruolo nei negoziati per un cessate il fuoco. Inoltre, fa notare ancora Shaban, la leadership di Hamas, pur dispersa, continua a comunicare con i suoi quadri a Gaza.

Nonostante la violenza del conflitto e i tentativi israeliani di ridurre il potere di Hamas, non si può ancora prevedere la fine del movimento come forza politica o sociale. L’evoluzione di Hamas, la sua struttura e le sue alleanze internazionali suggeriscono che la sua esistenza continuerà a essere una questione complessa da risolvere, anche dopo la fine della guerra.

Alessio Zattolo – PhD student

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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