Con la rielezione di Trump la politica di Difesa UE è al make or break
- 14 Novembre 2024
Donald Trump è tornato. Il 20 gennaio 2025 la Casa Bianca potrà ospitare ufficialmente il nuovo Presidente. A Bruxelles, l’aria è particolarmente elettrica. Non solo per il prossimo insediamento della nuova Commissione, ma anche perché i risultati che sono giunti da Washington nella notte tra il 5 e il 6 novembre spingono l’Unione Europea ad assumere maggiore incisività nel prossimo futuro. Un rinnovato protagonismo è richiesto in termini geopolitici e geostrategici, soprattutto, in ambito di difesa.
Il dilemma NATO
Fin dalla campagna elettorale del 2016, Trump ha messo in discussione l’impegno degli Stati Uniti verso la NATO, definendola obsoleta. Durante il suo primo mandato presidenziale, ha accennato più volte alla possibilità di ritirare gli Stati Uniti dall’Organizzazione se gli altri Stati non avessero aumentato le proprie spese militari. Responsabili di non raggiungere l’obiettivo di spesa del 2% del proprio PIL.
Per comprendere le origini dell’alleanza atlantica, è necessario riflettere sull’impronta culturale che gli Stati Uniti imprimono alla propria politica estera nel 1948, a partire dalla Risoluzione Vandenberg. Truman non voleva mantenere i propri militari all’estero in tempo di pace, è il clima bipolare che lo spinge a farlo. Con la Risoluzione Vandenberg, gli USA accettano di stringere un rapporto strategico con gli europei. In particolare, il rapporto tra Stati Uniti ed Europa occidentale aveva iniziato ad assumere vigore subito dopo la Seconda guerra mondiale. Sia perché la ripresa economica europea serviva da stimolo per l’industria americana sia perché l’integrazione con il vecchio continente avrebbe dovuto tenere a freno le ingerenze sovietiche. Il Piano Marshall da un lato, e il Patto Atlantico dall’altro, rispondevano rispettivamente a questi due obiettivi. La messa in opera della NATO, nel 1950, deve essere letta come una presa di coscienza da parte degli americani della manifestazione della Guerra fredda. Infatti, con il Blocco di Berlino e la Guerra di Corea, gli Stati Uniti sono definitivamente determinati a concretizzare il Patto Atlantico. La NATO diventa funzionale a imporre la propria presenza militare sul territorio europeo, allontanando l’URSS – oltreché per tenere a bada la Germania.
Con la sua politica America First, Trump intende liberare la politica estera americana dagli obblighi assunti dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
La questione Ucraina
Non solo dubbi sul futuro della NATO. Durante l’ultima campagna elettorale, Trump è tornato più volte sulla questione Ucraina, promettendo di voler porre fine al conflitto in tempi rapidi. Questi intenti si focalizzano, ancora una volta, sull’obiettivo primario di ristabilire gli interessi statunitensi al centro della politica di Washington.
Trump ha accusato il Presidente Joe Biden e la Vicepresidente Kamala Harris di essere responsabili della situazione, sostenendo che abbiano alimentato il conflitto attraverso l’invio di aiuti all’Ucraina. Secondo Trump, infatti, tale approccio non ha fatto altro che ostacolare la ricerca di un cessate il fuoco, che poteva raggiungersi anche a costo di compromessi territoriali nei confronti della Russia di Putin. Dall’inizio del conflitto, gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina circa 60 miliardi di dollari in assistenza militare, sottolinea Forbes. Tanto che Trump, durante una tappa in Georgia della sua campagna, ha affermato: “Ogni volta che Zelensky viene negli Stati Uniti se ne va con 100 miliardi di dollari, penso che sia il più grande venditore sulla Terra”.
Non sappiamo se Trump sceglierà la strada del disimpegno parziale o totale. Ciò che è certo è che, finché gli Stati Uniti non hanno assunto la posizione di sostegno nei confronti dell’Ucraina, i leader europei sono stati profondamente divisi su come gestire l’aggressione russa.
L’appello di Draghi
Sia l’affaire Kiev che l’affaire atlantico pongono pressioni negli ambienti europei. Come riportato dall’Ansa, per Mario Draghi: “Con Trump ci sarà una grande differenza nei rapporti con gli USA, l’Europa non può più posporre le sue decisioni”. La posta in gioco è alta. È pronta l’UE ad agire come una forza geopolitica propositiva e indipendente?
Nell’attuale ordine multipolare, l’UE deve innanzitutto avere un preciso protagonismo in politica estera, e deve farlo partendo dalle sue risorse. Dalla seconda metà degli anni Quaranta, l’Europa ha avviato un peculiare processo di integrazione, che l’ha portata a diventare una comunità forte, principalmente in ragione del suo mercato. L’economia dell’UE è stimolata dal suo mercato unico che si presenta come una delle più grandi aree commerciali integrate al mondo, avendo tra i principali punti di forza un grande bacino di domanda.
La spesa per la difesa da destinare alla NATO dovrebbe raddoppiare o triplicare in molti Paesi. E secondo Draghi, è possibile farlo “rispettando il Patto di stabilità”.
La difesa comune
Quello della difesa comune europea rimane ancora un sogno irrealizzato. Il più grande limite è che lo spazio europeo è uno spazio geografico troppo stretto per così tanti potenti attori. E questo ostacolo si è sempre tradotto nella mancanza di un comune in materia.
Ursula von der Leyen, con la sua rielezione, è determinata a conseguire l’obiettivo. La creazione della carica di un Commissario alla Difesa è la testimonianza più forte di questa volontà. La nuova Commissione, inoltre, è pronta a lavorare su questo traguardo con un programma ben preciso. Il rilancio delle forze armate nazionali, l’impulso agli appalti comuni, la creazione di un mercato unico dei prodotti e dei servizi per la difesa, e la promozione di progetti faro sulle principali minacce comuni e transfrontaliere rappresentano i pilastri di questa programmazione.
Come sostenuto dal Professore Ciro Sbailò, nel suo ultimo libro Europe’s Call to Arms, la risposta al problema deve essere indotta dalle dinamiche tecnologiche, industriali e di mercato. Cioè, di fronte alle sfide contemporanee, è necessaria una risposta olistica. È necessario “curvare” lo spazio pubblico europeo attraverso il rafforzamento dell’intreccio tra ricerca, tecnologia e industria. In questo modo, si potrà avere un’integrazione più flessibile e una difesa comune.
Più competitività e innovazione, dunque. Temi sensibili ANCHE per la nuova amministrazione Trump, soprattutto alla luce della scelta di avere in squadra il CEO di Tesla e SpaceX. Elon Musk, fresco di nomina nella co-direzione nel nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa, porterà nel nuovo Governo, una visione più pragmatica ed efficiente, tipica di un leader aziendale.
Il più grande sforzo, per una comune difesa, dovrà essere fatto proprio per sostenere le industrie. Perché oggi la principale barriera è di natura produttiva, e risiede in una lacuna dell’industria europea. Lacuna che non deve essere interpretata in termini di know-how, anzi. Deve essere letta in termini di integrazione e potenziamento sul piano strutturale.
Gaia Natarelli – PhD student