Siria: il carpe diem turco
- 18 Dicembre 2024

Abbandonata la mimetica, Abu Mohammed al-Jolani, il leader dei ribelli islamisti si è presentato a Damasco in abiti civili, indossando un completo blu e una camicia bianca, per un incontro con il ministro degli Esteri e il capo dell’intelligence turca. Questo gesto segna un ulteriore passo verso la normalizzazione di un ex qaedista che ha conquistato la capitale siriana senza spargimenti di sangue e che ora cerca di affermarsi come leader politico, oltre che militare.
L’evento ha già fatto storia: Hakan Fidan, ministro degli Esteri turco, e Ibrahim Kalin, capo dell’intelligence, sono i primi rappresentanti stranieri a visitare Damasco dalla caduta di Assad. La Turchia, inoltre, ha nominato un nuovo incaricato d’affari, Burhan Koroglu, per gestire le relazioni diplomatiche con la Siria in attesa di riaprire l’ambasciata, quando le condizioni lo permetteranno. Una settimana così significativa per il Rais non si vedeva da tempo. Mentre i delegati turchi arrivavano trionfanti a Damasco, a Raqqa si registravano proteste degli arabi contro le Forze Democratiche Siriane, dominate dai curdi e avversarie del presidente turco. Gli scontri hanno provocato alcuni feriti. Nel frattempo, in Turchia è giunto il segretario di Stato americano Antony Blinken per discutere della situazione siriana, tema centrale del summit internazionale previsto sabato in Giordania.
A Damasco, i nuovi governanti sono parzialmente coinvolti in questi sviluppi internazionali, consapevoli che il dialogo esterno è cruciale per ottenere legittimità. Tuttavia, le priorità interne sono pressanti: casse vuote, economia stagnante, sicurezza instabile, armi diffuse e una transizione politica complessa. L’esecutivo provvisorio, espressione del gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) che ha guidato la rivolta contro Assad, ha annunciato la sospensione del parlamento e della Costituzione del 2012 fino al primo marzo, data in cui si concluderà il mandato del governo temporaneo. Il portavoce Obaida Arnaout ha dichiarato che verrà istituito un comitato legale e per i diritti umani per rivedere la Costituzione e apportare modifiche. «La nostra priorità è preservare e proteggere le istituzioni», ha affermato, aggiungendo che la nuova Siria rispetterà le diversità religiose e personali del Paese. Nella Costituzione del 2012, ormai superata, l’Islam non era indicato come religione di Stato.
Il cambio di regime siriano ha visto molti ex baathisti nel nuovo regime, i cui contorni non sono ancora definiti, ma che non è difficile immaginare sarà influenzato dalla Turchia, la quale, avendo cooptato molti dirigenti siriani, potrebbe ora offrire sufficienti garanzie a tutti i protagonisti coinvolti nella crisi. Come è ormai chiaro, la Turchia ha preparato il terreno all’offensiva dei ribelli infiltrandosi progressivamente nei centri nevralgici del governo e del potere militare siriano, come dimostrano l’assenza di resistenza dopo i primi giorni di guerra (nonostante il decreto di Bashar Assad che aumentava del 50% gli stipendi dei soldati attivi) e l’adesione di molti funzionari e di interi apparati statali al nuovo corso.
Dopo giorni in cui ha tenuto le carte coperte, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato il 6 dicembre che la Turchia spera che “la marcia” delle forze di opposizione verso il governo di Bashar al-Assad in Siria “prosegua senza problemi o incidenti, con l’obiettivo di raggiungere Damasco, ovviamente, dopo Idlib, Hama e Homs. Abbiamo inviato un appello ad Assad, invitandolo a unirsi a noi nel determinare il futuro della Siria, ma sfortunatamente non abbiamo ricevuto una risposta positiva”.
Erdogan non riuscì a convincere Obama a invadere la Siria e rovesciare Assad, ragion per cui creò l’esercito ribelle Syrian National Army (SNA) e sostenne i jihadisti che divennero HTS. L’SNA combatteva principalmente contro i curdi siriani, mentre l’HTS era utile contro il regime e i russi, ma confinato a Idlib. Dopo aver chiesto la rimozione di Assad, Erdogan cambiò idea e cercò la normalizzazione con Damasco, ma Assad rifiutò, chiedendo il ritiro delle forze turche. Alla fine di novembre, Erdogan approvò un’operazione limitata di HTS e SNA per fare pressione su Assad, ma l’operazione divenne un successo che portò alla fine del regime di Assad. Ora, Erdogan si trova in una posizione di forza per determinare il futuro della Siria, senza Assad al potere, e vede questa opportunità come un passo per guidare il nuovo ordine siriano.
Il leader di HTS, al-Jolani, ha assicurato la continuità istituzionale mantenendo in carica il primo ministro Mohammed Ghazi al-Jalali, mentre la Costituzione viene sospesa per i prossimi 3 mesi. La Turchia ha giocato un ruolo chiave, sostenendo l’avanzata ribelle e garantendo un trasferimento pacifico del potere, evitando spargimenti di sangue. Ankara mira a consolidare la sua influenza nella regione, ridurre la presenza iraniana e rimpatriare i rifugiati siriani, con il tacito sostegno degli Stati Uniti, interessati a destabilizzare l’alleanza tra Siria, Russia e Iran.
Nonostante i vantaggi che la Turchia ha nella Siria post-Assad, Erdogan dovrà affrontare sfide significative. I suoi alleati, HTS e SNA, sono gruppi con storie problematiche. HTS ha radici in al-Qaeda e nello Stato Islamico, e nonostante i tentativi di presentarsi come “moderato”, è stato etichettato come organizzazione terroristica da USA, ONU, UE e Turchia. Inoltre, l’SNA è accusata di gravi violazioni dei diritti umani contro curdi, yazidi e donne. HTS, composto da ex affiliati ad al-Qaeda e altre milizie jihadiste, potrebbe rivelarsi difficile da controllare. La situazione dei curdi siriani, già sotto pressione dagli attacchi turchi, rischia di peggiorare con il possibile ritiro delle forze statunitensi dalla regione. Inoltre, la Russia, pur non opponendosi apertamente, sembra aver negoziato il mantenimento delle sue basi strategiche in Siria.
Un’altra sfida per Erdogan è ideologica: sebbene la Turchia si presenti come una democrazia musulmana, la sua alleanza con gruppi come HTS solleva dubbi, soprattutto considerando che HTS, pur promettendo una Siria inclusiva, ha un record repressivo. Inoltre, la situazione ricorda il cambiamento di Erdogan negli anni 2000, quando dichiarava di aver abbracciato valori democratici, ma oggi la Turchia appare meno democratica e più vicina a un’autocrazia. Jolani, leader di HTS, potrebbe aver cambiato il suo approccio, ma non ci sono prove che abbia abbandonato una visione antidemocratica.
Nel nord-est della Siria, l’amministrazione del Rovaja ha issato la bandiera tricolore con tre stelle rosse, simbolo dei ribelli siriani, come gesto di unità e distensione. Le Forze Democratiche Siriane (SDF), coalizione di gruppi armati curdi e filo-curdi, hanno sottolineato che questa scelta vuole riaffermare la loro appartenenza a una Siria unita, senza aspirazioni indipendentiste. Questo messaggio è diretto ai nuovi governanti locali, come Hayat Tahrir al Sham, e soprattutto alla Turchia, che considera le milizie curde dell’YPG un’estensione del PKK, un gruppo ritenuto terroristico da Ankara.
La Turchia, sfruttando il caos nella regione, ha intensificato le operazioni contro i curdi, mentre gli Stati Uniti continuano a sostenere le SDF per prevenire una possibile rinascita dell’ISIS. Tuttavia, la posizione americana è in bilico, con possibili cambiamenti politici futuri che potrebbero compromettere il sostegno ai curdi. Questo lascia i curdi in una situazione di crescente isolamento, nonostante i tentativi di promuovere la pace e l’unità nel paese.
Il futuro della Siria rimane incerto, con il rischio di nuove ondate migratorie verso l’Europa e la possibilità che il paese diventi terreno di scontro tra potenze regionali e internazionali. Come è accaduto in passato, coloro che fomentano le insurrezioni jihadiste troveranno probabilmente molto difficile controllarle, e solo il tempo ci dirà se i nuovi apparenti padroni della Siria saranno in grado di garantirne l’unità e la stabilità.
Stefano Lovi -PhD Candidate


