Effetto Trump: quanto e dove il Made in Italy paga dazio
- 10 Aprile 2025

Lo scorso 2 aprile, in quello che ha definito “Liberation day”, il presidente Trump ha annunciato l’applicazione di pesanti dazi – oggi sospesi per novanta giorni con un annuncio a sorpresa – verso i sessanta Paesi “più cattivi” del mondo.
Complessivamente, ne vengono colpiti circa novanta: rimangono esenti Russia, Corea del Nord e Cuba.
L’intento, dichiarato dal Giardino delle Rose della Casa Bianca, è riassunto in uno slogan: “Make America wealthy again”.
L’imposizione doganale su ogni singolo Paese risulterebbe pari alla metà di quella subita dagli USA da parte dello stesso Paese. I conti sono presto fatti, e risultano salatissimi: Cina 34%, Taiwan 32%, India 26%, Giappone 24%. La Gran Bretagna sarà soggetta a un dazio reciproco con gli USA pari solo al 10%, ma la Londra post-Brexit del Vecchio Continente ormai fa parte solo geograficamente. Per l’Unione Europea i dazi sono infatti pari a circa il 20%. Per l’Italia si preannuncia una stangata.
Gli USA sono il terzo partner commerciale della penisola, dopo Germania e Francia. I settori più a rischio sono quelli trainanti dell’export Made-in Italy, come macchine per la produzione, agro-alimentare e tessile-moda. “Niente panico” ha dichiarato la premier Meloni, ma gli analisti economici prevedono ripercussioni importanti, in particolare nel lungo termine.
Secondo uno studio di Confindustria, gli USA sono la prima destinazione extra-UE dei flussi italiani di beni, servizi e investimenti diretti all’estero (IDE). Nel 2024 le vendite di beni italiani negli USA sono state pari a circa 65 miliardi di euro. La cifra equivale a oltre un decimo del totale dell’export (10,4%, secondo stime provvisorie), nonostante si sia registrato un calo dal picco di oltre 67 miliardi nel 2023. Considerando i Paesi dell’UE, per quanto riguarda l’export gli Stati Uniti sono secondi solo alla Germania, in seguito al sorpasso della Francia nel 2022.
Gli acquisti italiani di beni USA hanno invece raggiunto quasi 26 miliardi nel 2024, circa un ventesimo del totale dell’import (4,6% stimato). Il saldo commerciale italiano con gli Stati Uniti si attesta quindi intorno ai 39 miliardi di euro, contribuendo in larga misura al surplus commerciale totale, equivalente a circa 54 miliardi.
Fortune Italia ha analizzato i settori produttivi italiani più esposti al rischio dazi. In primis quello dei macchinari e degli impianti, da cui provengono oltre 12 dei 65 miliardi di euro di export italiano negli Stati Uniti. Il comparto è un asse portante della manifattura italiana, con aziende leader depositarie di brevetti in tutto il mondo, come Ima, Marchesini o Coesia.
Al momento non è ancora chiaro come verranno applicati i dazi del 20% e se pertanto i danni potranno essere contenuti. In particolare, l’export italiano di macchinari ad alta intensità di Automazione, Creatività e Tecnologia (ACT) vale 32,1 miliardi di euro, con un potenziale di crescita stimato di 8 miliardi. I mercati più avanzati ne usufruiscono per 21,6 miliardi, con gli Stati Uniti in testa.
Segue il settore agro-alimentare, un mercato che vale complessivamente 9 miliardi di euro. Olio extravergine d’oliva, vino, pasta e conserve sono le eccellenze alimentari italiane che saranno tra le più colpite dai dazi. Si pensi che i formaggi e i prodotti caseari italiani negli Stati Uniti vendono il doppio di quelli francesi. Le perdite potrebbero aggirarsi attorno agli 1,6 miliardi di euro, con un calo del 10% sui fatturati e del 30% sui volumi dell’export. Bisogna inoltre ricordare il mercato degli alcolici, il cui export verso gli USA supera i 2 miliardi di euro.
Per quanto riguarda – conclude Fortune Italia – l’export legato ai settori della moda e del lusso Made in Italy (pelletteria, calzaturiero, pellicceria, conceria), le perdite stimate si aggirerebbero intorno al 2,6%. Un valore contenuto rispetto alle stime precedenti. Ma per il comparto, valutato 3 miliardi di euro, i dazi di Trump si aggiungono a quelli già esistenti, che vanno dal 6% per i filati in cotone al 28% per gli altri materiali. Va comunque considerato, che nel 2024 tra i Paesi importatori l’America è risultata essere il terzo mercato per l’Italia, incidendo per il 7,4% sul totale esportato dal comparto tessile, con una prevalenza dell’abbigliamento per il valore di 2,3 miliardi di euro.
In un’intervista rilasciata a La Stampa, il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha dichiarato che bisogna valutare con molta attenzione i dazi statunitensi. Il leader della Confederazione Generale dell’Industria Italiana ha sottolineato che l’Europa deve dialogare con tutti, in primis con l’amministrazione Trump, ed evitare reazioni istintive, perché ne beneficerebbe solo la Cina. Aggiungendo che servono tre misure immediate: “accelerare il taglio dei tassi da parte della Bce perché deprezzerebbe l’euro attutendo l’effetto dei dazi americani. Poi occorre definire nuovi accordi commerciali con Messico, India, Giappone, Thailandia, Vietnam come scudo alla guerra delle tariffe e poi bisogna dare piena operatività al trattato con il Mercorsur sudamericano. Infine occorre migliorare il mercato unico europeo per facilitare e accrescere gli scambi intra-Ue.” Orsini ha osservato che “per l’Italia il rischio c’è, e il nostro Centro Studi sta quantificando l’impatto, che sarà imponente.”
Donata Zocche – Giornalista e PhD candidate


