La nuova Guerra Fredda tra USA e Cina passa dalle università?
- 4 Giugno 2025

Giovedì 22 maggio, Xiao Chen, una studentessa di 22 anni, si è recata al consolato statunitense a Shanghai per ottenere un visto per studiare comunicazione nel Michigan. Nonostante un colloquio apparentemente positivo e l’ammissione già ottenuta dall’università, la sua richiesta è stata respinta senza spiegazioni. Delusa, ha dichiarato di sentirsi come una “lenticchia d’acqua alla deriva”, espressione cinese che descrive un senso di incertezza e impotenza.
La situazione di Xiao riflette un clima più ampio di ostilità verso gli studenti cinesi negli Stati Uniti. Recentemente, l’amministrazione Trump ha annunciato l’intenzione di revocare in modo aggressivo i visti per gli studenti cinesi, sospendendo le nomine per tutti gli studenti stranieri e cercando di impedire a università come Harvard di iscrivere studenti internazionali. Sebbene alcune di queste misure siano state bloccate in tribunale, l’incertezza persiste.
Le autorità statunitensi, tra cui il Segretario alla Sicurezza Interna Kristi Noem e il Segretario di Stato Marco Rubio, hanno accusato istituzioni come Harvard di collaborare con il Partito Comunista Cinese. Rubio ha affermato che le restrizioni riguarderanno studenti con legami con il Partito Comunista o che studiano in settori critici, colpendo potenzialmente un’ampia fascia di studenti, dato che l’appartenenza al partito è comune tra funzionari, imprenditori e accademici cinesi.
Queste politiche hanno generato un clima di paura e incertezza tra gli studenti cinesi, molti dei quali ora considerano alternative come prendere un anno sabbatico o cercare opportunità in altri paesi. Anche coloro che possiedono un visto valido temono di essere fermati in aeroporto e respinti, rendendo l’istruzione negli Stati Uniti un obiettivo sempre più difficile da raggiungere.
A livello geopolitico, queste misure fanno parte della crescente rivalità tra le due potenze, in particolare nel campo della tecnologia e dell’innovazione. Washington teme che il sistema accademico statunitense possa essere sfruttato come veicolo per il trasferimento di tecnologie sensibili alla Cina, specie in settori come l’intelligenza artificiale, la robotica e la sicurezza informatica. L’amministrazione Trump, in più occasioni, ha collegato il flusso di studenti cinesi alla strategia del “Made in China 2025”, il piano industriale cinese per raggiungere l’autosufficienza in settori strategici.
La Cina ha reagito duramente a queste restrizioni. Il Ministero degli Esteri cinese ha accusato gli Stati Uniti di “discriminazione politica e razziale” e di “violazione dei diritti umani” degli studenti. Ha inoltre sottolineato che tali politiche danneggiano non solo i rapporti bilaterali, ma anche l’immagine globale dell’istruzione americana come spazio aperto e meritocratico. Alcuni osservatori cinesi hanno descritto le misure statunitensi come parte di una “nuova guerra fredda” basata sulla tecnologia e sulla cultura.
Allo stesso tempo, la stampa cinese ha cominciato a promuovere alternative allo studio negli Stati Uniti, suggerendo destinazioni come Europa, Australia o Canada. Tuttavia, anche in questi paesi cresce una certa diffidenza nei confronti della presenza cinese nei settori ad alta tecnologia, segno che il fenomeno ha una portata ben più ampia del semplice confronto bilaterale.
Le misure restrittive contro gli studenti cinesi negli Stati Uniti, pur essendo state intensificate durante l’amministrazione Trump, affondano le radici in una lunga storia di sospetto e competizione strategica tra le due nazioni. Già negli anni precedenti, in particolare dopo il 2018, con il rafforzamento del Committee on Foreign Investment in the United States e l’adozione del Foreign Investment Risk Review Modernization Act, erano emerse preoccupazioni sistemiche circa la presenza di studenti e ricercatori cinesi in ambiti scientifici e tecnologici sensibili. Diverse agenzie governative statunitensi, come il Dipartimento dell’Energia, il Dipartimento della Difesa e l’FBI, avevano lanciato l’allarme su presunti casi di “transfer tecnologico non autorizzato” e di attività di spionaggio industriale o accademico.
La tensione si è inasprita ulteriormente con la strategia del “decoupling” tecnologico, sostenuta da Washington, che mira a ridurre la dipendenza dagli scambi scientifici e industriali con la Cina. Questa linea politica si è tradotta in misure sempre più dure, come la revoca di visti anche già concessi, il monitoraggio dei rapporti tra ricercatori cinesi e università statunitensi e la pressione su istituzioni accademiche affinché limitino le collaborazioni con atenei cinesi legati all’apparato statale o militare.
Parallelamente, molti laureati cinesi formatisi negli Stati Uniti stanno trovando crescenti difficoltà a reintegrarsi nel tessuto professionale cinese, specialmente se hanno lavorato o collaborato con enti governativi o università americane. La Cina, pur avendo lanciato programmi ambiziosi per il rimpatrio dei talenti, ha adottato negli ultimi anni un atteggiamento più selettivo e prudente nei confronti di chi ha vissuto a lungo all’estero, soprattutto in contesti percepiti come “ostili” dal punto di vista geopolitico. In un clima interno sempre più nazionalista e orientato alla “sicurezza ideologica”, alcuni “haigui” (termine che indica i cinesi tornati dall’estero) vengono guardati con sospetto, o faticano a trovare posizioni che corrispondano alla loro formazione, a causa della percezione che siano culturalmente o politicamente “contaminati” dall’Occidente.
Inoltre, anche sul piano economico, il mercato del lavoro cinese è diventato più competitivo e saturo. Le grandi aziende tecnologiche cinesi, come Huawei, Tencent o ByteDance, tendono a preferire talenti locali formatisi in patria o con esperienze all’estero solo brevi e strettamente legate alle necessità industriali cinesi. Alcuni ex-studenti hanno raccontato che i loro titoli accademici conseguiti negli USA, un tempo molto valorizzati, oggi non rappresentano più un vantaggio netto, anzi possono sollevare interrogativi su lealtà politica o compatibilità ideologica.
Questo doppio sbarramento, da parte degli Stati Uniti nella fase di formazione, e della Cina nella fase di rientro, colloca molti giovani cinesi in una sorta di “terra di nessuno” geopolitica e culturale. Essi si trovano intrappolati tra due mondi che li considerano al contempo risorsa e rischio. Questo scenario contribuisce a rafforzare una narrativa di competizione sistemica tra le due potenze, in cui anche la formazione accademica è diventata un terreno di confronto strategico e, per molti, un sacrificio personale.
Stefano Lovi – PhD Candidate


