L’orso si arma nel deserto libico: la minaccia russa e la vulnerabilità europea
- 4 Giugno 2025

Nel quadro della complessa scacchiera geopolitica del Mediterraneo allargato e del continente africano, la Libia si impone oggi come uno degli snodi più sensibili e, al contempo, più vulnerabili rispetto alle dinamiche di proiezione delle grandi e medie potenze. In questo scenario, la Federazione Russa si è progressivamente attestata come uno degli attori esterni più abili nello sfruttare i vuoti di sicurezza e le fragilità istituzionali del Paese nordafricano, perseguendo una strategia di penetrazione graduale, multiforme e, almeno fino a pochi anni fa, largamente sottovalutata dalle cancellerie occidentali.
La parabola dell’interventismo russo in Libia si inserisce in un più ampio disegno revisionista perseguito da Mosca, volto a riaffermare il proprio status di potenza globale in contrapposizione al sistema occidentale. In tal senso, la Libia rappresenta un caso di scuola di quella che si può definire come la “dottrina del caos controllato” del Cremlino, ove l’assenza di un’autorità centrale unitaria, la proliferazione di milizie e la cronica instabilità hanno offerto terreno fertile per la sperimentazione di strumenti di ingerenza ibrida, che spaziano dalla proiezione militare diretta al supporto a proxy locali, fino all’utilizzo sofisticato della disinformazione e delle reti di contrabbando. La crisi del 2011 e la caduta del regime gheddafiano furono infatti vissute da Mosca come un campanello d’allarme circa la pervasività delle logiche di regime change promosse da NATO e alleati. Per questo motivo, la Russia ha progressivamente ricostruito la propria influenza in Libia secondo una strategia tripartita: coltivazione di network locali attraverso gruppi di influenza, penetrazione militare e di intelligence, sotto l’egida prima del Wagner Group e, più di recente, dell’Africa Corps, e consolidamento della dipendenza dei delegati locali da Mosca attraverso la militarizzazione delle risorse e delle rotte illecite, in particolare nella Cirenaica e nel Fezzan. La posizione della Libia nel nuovo disordine globale è divenuta, a partire dal 2014, centrale nella proiezione esterna del Cremlino, non soltanto come retrovia per le operazioni in altri teatri africani, dal Sahel al Sudan e alla Repubblica Centrafricana, ma anche come piattaforma logistica e politica per incidere direttamente sugli equilibri energetici, migratori e securitari del Mediterraneo. Il ruolo attribuito alla Libia nella strategia di proiezione russa è dunque duplice: da un lato, hub per la penetrazione nel continente africano e nella fascia sahariana; dall’altro, testa di ponte avanzata per esercitare pressioni multidimensionali sull’Europa, sia sul piano della sicurezza energetica, sia attraverso la strumentalizzazione dei flussi migratori, sia infine tramite la minaccia diretta sul fronte missilistico e militare.
In questo contesto, l’ipotesi, oggi sempre meno remota, che la Russia possa installare sistemi missilistici a medio e lungo raggio presso la base di Sebha, nel cuore del Fezzan, area strategica per i traffici e i collegamenti tra il Mediterraneo e il Sahel, rappresenta un salto di qualità nella postura di Mosca, con implicazioni dirompenti per la sicurezza europea e mediterranea. Sebha, collocata a oltre mille chilometri dall’isola di Lampedusa, costituisce uno snodo di rilevanza geostrategica, un potenziale “bastione missilistico” in grado di colpire, o almeno minacciare, il cuore del continente europeo, fungendo da leva negoziale in mano russa nei confronti delle capitali occidentali.
La scelta di puntare su Sebha, base già saldamente controllata dal generale Khalifa Haftar e oggetto di recenti investimenti infrastrutturali, anche grazie al coinvolgimento della Bielorussia quale paravento di forniture e supporto tecnico, risponde a una logica di escalation orizzontale. La Russia cerca di capitalizzare il vantaggio comparato acquisito nella gestione delle milizie e del territorio libico, offrendo ad Haftar un sostegno sia materiale sia politico nella sua offensiva verso Tripoli, in cambio di concessioni strategiche sempre più ampie. Non è un caso che la proiezione russa sul Fezzan coincida con la crisi istituzionale a Tripoli, l’indebolimento delle milizie rivali e la possibilità, per Haftar e i suoi delegati, in primis il figlio Saddam, di consolidare un controllo unitario sul territorio nazionale, normalizzando di fatto la presenza militare russa e ponendo le basi per una partnership strategica di lungo periodo.
Il dispiegamento di sistemi missilistici a Sebha, protetti da avanzati sistemi di difesa aerea come il Tor-M1, già impiegato dalle forze di Haftar, non sarebbe dunque soltanto una mossa simbolica. Al contrario, rappresenterebbe la materializzazione di un rischio strategico per l’Europa, costretta a fronteggiare non più soltanto la minaccia migratoria o la pressione energetica, ma anche la possibilità concreta di divenire bersaglio di missili a medio raggio lanciati dal cuore dell’Africa settentrionale. In questa prospettiva, la Libia si trasforma in una piattaforma di proiezione offensiva, non dissimile, sul piano della dottrina militare, agli avamposti che la Russia ha già consolidato nel teatro siriano e in particolare nella base di Tartus. La funzione deterrente di questa minaccia si accompagna, peraltro, a un rafforzamento della capacità negoziale del Cremlino nei dossier europei più sensibili, a partire dal dossier ucraino fino alla questione energetica e migratoria. La proiezione russa in Libia, dunque, non si limita a una logica di sfruttamento estrattivo delle risorse locali, ma si configura come elemento strutturale di una più ampia strategia di pressione multilivello sull’Unione Europea e sui suoi alleati.
A complicare ulteriormente il quadro, emerge il ruolo ambiguo di attori terzi quali la Turchia e, in alcuni casi, la stessa amministrazione statunitense, che sembrano perseguire una logica di accomodamento pragmatico rispetto alle mosse russe, nella misura in cui ciò consenta di gestire equilibri locali o di favorire proprie agende parallele, come nel caso delle trattative sulla ricollocazione della popolazione palestinese o nella vendita di droni armati alle forze di Bengasi. Questo scenario multipolare e fluido offre a Mosca ulteriori margini di manovra, riducendo la probabilità di una risposta unitaria e coordinata da parte occidentale. L’asimmetria tra la presenza legale della Turchia, formalizzata tramite accordi con il Governo di Tripoli, e quella ibrida della Russia, affidata a proxy e alle reti di società militari private oggi riorganizzate sotto la sigla Africa Corps, riflette più in generale la crisi dell’ordine multilaterale e la crescente normalizzazione di pratiche di ingerenza e militarizzazione del caos. In questo quadro, la Russia ha saputo ritagliarsi una posizione di vantaggio, sfruttando la propria esperienza in teatri complessi come la Siria e la capacità di combinare strumenti convenzionali e non convenzionali.
La prospettiva di una Libia ridotta a piattaforma missilistica alle porte dell’Europa impone una riflessione strategica sulla postura dell’Unione Europea e delle potenze mediterranee. In primo luogo, emerge la necessità di contrastare il radicamento russo sul territorio attraverso un mix di azioni diplomatiche, economiche e di sicurezza, che vada oltre la mera gestione delle conseguenze, come flussi migratori, crisi energetiche e instabilità regionale, e punti a ricostruire un minimo di sovranità e capacità di controllo sulle dinamiche libiche. In secondo luogo, occorre rafforzare gli strumenti di contrasto alle attività delle compagnie militari private, promuovendo un coordinamento più stretto sia tra i membri dell’UE sia con i partner regionali.
Non va infine sottovalutata la dimensione simbolica e psicologica della minaccia russa. La possibilità di vedere installati missili a poche ore di volo dalle capitali europee rappresenta un potente fattore di pressione, in grado di alterare la percezione del rischio e di condizionare le agende politiche interne dei Paesi membri. Il ricatto potenziale derivante dalla proiezione missilistica, unito alla minaccia ibrida rappresentata dalla gestione dei flussi migratori, configura un nuovo paradigma di sicurezza per il Mediterraneo allargato, in cui la Libia, da terra di nessuno, rischia di divenire porta d’ingresso della pressione militare russa sull’Europa continentale.
In tale quadro, l’Italia assume un ruolo centrale e, al contempo, particolarmente esposto. Per ragioni geografiche, storiche e strategiche, Roma si trova in prima linea rispetto a ogni evoluzione del dossier libico, sia come Paese più vicino alle coste libiche, sia in quanto principale approdo dei flussi migratori che attraversano il Mediterraneo centrale, sia infine come attore direttamente interessato alla sicurezza delle proprie infrastrutture energetiche, ai legami economici con la Libia e alla stabilità del proprio perimetro meridionale. Il posizionamento di assetti missilistici russi in Libia rappresenterebbe per l’Italia una sfida senza precedenti dal punto di vista della deterrenza e della difesa. Per la prima volta dalla fine della Guerra fredda, si profilerebbe la possibilità che missili puntati su centri nevralgici italiani ed europei possano essere lanciati non più dalla direttrice orientale, bensì dal cuore del Nord Africa, aggirando gran parte delle difese tradizionali della NATO e imponendo una ridefinizione delle priorità strategiche e delle posture militari. L’eventualità di dover fronteggiare una minaccia convenzionale e missilistica proveniente dal Sud, con tempi di reazione estremamente ridotti e con la difficoltà aggiuntiva di distinguere tra escalation convenzionale, minaccia ibrida e operazioni di destabilizzazione indiretta, rischia di sovraccaricare ulteriormente un apparato di difesa europeo già messo a dura prova sul fronte orientale. Per l’Italia, le implicazioni sono molteplici e interconnesse. Sul piano della sicurezza nazionale, l’eventuale presenza di missili a Sebha impone una revisione delle capacità di difesa antimissile e di sorveglianza nel Mediterraneo centrale, rafforzando le esigenze di coordinamento tra le forze armate nazionali, la NATO e l’Unione Europea. Dal punto di vista energetico, la Libia rappresenta una delle principali fonti di approvvigionamento per l’Italia, soprattutto nel settore del gas naturale. Un controllo russo sulle infrastrutture strategiche libiche, o la capacità di colpirle o di minacciare la loro sicurezza, aumenterebbe la vulnerabilità del sistema-Italia e limiterebbe drasticamente i margini di manovra nella diversificazione delle fonti. Sul versante migratorio, Mosca ha già dimostrato in altri teatri, dalla Bielorussia alla Siria, la propria propensione a utilizzare i flussi migratori come arma di pressione politica e destabilizzazione. Il controllo del Fezzan e delle principali rotte di traffico migratorio consentirebbe di esercitare un’influenza diretta sulla pressione migratoria verso l’Italia e l’Europa, alimentando crisi umanitarie e politiche interne. Dal punto di vista della diplomazia e della proiezione internazionale, l’Italia, storicamente interlocutrice privilegiata delle varie componenti libiche, rischia di vedere ridotto il proprio spazio di manovra a favore di attori più assertivi e meno vincolati dalle regole multilaterali, come Russia e Turchia. Una presenza militare russa consolidata in Libia ridurrebbe ulteriormente la capacità italiana di incidere sui processi di stabilizzazione e negoziazione.
Alla luce di tali elementi, è necessario che Roma assuma la leadership di una nuova iniziativa europea sulla Libia, promuovendo un approccio integrato che combini la pressione diplomatica e sanzionatoria contro gli attori che favoriscono il radicamento russo, il rafforzamento delle capacità di difesa e intelligence nel Mediterraneo e il rilancio di un vero partenariato con gli attori africani e mediterranei disposti a collaborare per la stabilità regionale. Solo un’azione concertata, che tenga conto delle interconnessioni tra sicurezza, energia, migrazione e diplomazia, potrà offrire all’Italia e all’Europa la possibilità di invertire la tendenza all’irrilevanza e di rispondere efficacemente alla nuova sfida rappresentata dalla penetrazione missilistica della Russia in Libia. Ignorare o sottovalutare questa minaccia significherebbe, di fatto, accettare una permanente condizione di vulnerabilità strategica e perdere definitivamente la capacità di incidere sugli equilibri del proprio vicinato meridionale.
M. Costola, PhD candidate UNINT e Researcher Fondazione FORMIT


