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Gaza e il riconoscimento della Palestina: la scommessa diplomatica di Macron

Mentre l’offensiva israeliana su Rafah prosegue tra accuse di crimini di guerra e appelli internazionali per un cessate il fuoco, la diplomazia europea si muove su un terreno tanto simbolico quanto esplosivo: il riconoscimento dello Stato di Palestina. La Francia, tradizionale attore di equilibrio nella regione, sembra pronta a imprimere una svolta.

Mentre l’offensiva israeliana su Rafah prosegue tra accuse di crimini di guerra e appelli internazionali per un cessate il fuoco, la diplomazia europea si muove su un terreno tanto simbolico quanto esplosivo: il riconoscimento dello Stato di Palestina. La Francia, tradizionale attore di equilibrio nella regione, sembra pronta a imprimere una svolta.

Parigi all’incrocio della storia

Il presidente Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia potrebbe riconoscere lo Stato di Palestina entro l’estate, verosimilmente in occasione della conferenza internazionale per la pace in Medio Oriente che Parigi co-organizzerà a New York con l’Arabia Saudita dal 17 al 20 giugno 2025. La scorsa settimana, il capo dell’Eliseo ha ribadito pubblicamente che il riconoscimento è «una necessità morale e politica», segnalando che il tempo della “neutralità attiva” è ormai superato.

Dietro la dichiarazione, però, c’è un’operazione diplomatica più articolata. Come rivelato da Politico, la Francia sta attivamente facendo pressioni su altri Paesi europei – tra cui Belgio, Lussemburgo e persino Regno Unito – affinché seguano la stessa strada. L’obiettivo non è soltanto quello di inviare un messaggio politico a Israele, ma di consolidare una posizione europea coesa in vista di una futura soluzione a due Stati. Tuttavia, la strada verso una posizione comune resta accidentata: mentre alcuni Paesi del Nord Europa hanno già aderito al riconoscimento – come Irlanda, Norvegia, Spagna e Slovenia – altri rimangono prudenti, temendo ripercussioni sui rapporti con Tel Aviv e Washington.

Un riconoscimento dai contorni strategici

La mossa di Macron si colloca in un contesto in rapido mutamento, nel quale il riconoscimento dello Stato di Palestina non risponde soltanto a un imperativo etico-politico, ma anche di natura strategica: Parigi punta a recuperare centralità nella regione dopo anni di marginalità e tensioni con il blocco arabo, specie sul dossier libico e saheliano. L’intenzione francese può diventare una leva per rientrare nei giochi, intercettando le nuove priorità di una stabilità negoziata da parte di attori come Arabia Saudita, Egitto e Giordania.

Tuttavia, il rischio è duplice. Da un lato, Israele ha già reagito con durezza, paventando ritorsioni diplomatiche e minacciando il richiamo dell’ambasciatore a Parigi. Dall’altro, gli Stati Uniti non vedono di buon occhio un’iniziativa unilaterale che possa indebolire i fragili equilibri in corso a Gaza e complicare le trattative sugli ostaggi ancora in mano a Hamas. È il paradosso della diplomazia europea su uno dei più antichi nodi geopolitici del Mediterraneo allargato: provare a muoversi in autonomia, ma all’interno di uno spazio negoziale fortemente vincolato dall’asse Washington-Tel Aviv.

Verso un fronte diplomatico europeo?

L’iniziativa francese ha già prodotto delle prime reazioni. Il Regno Unito ha annunciato l’apertura di consultazioni ufficiali sul tema, mentre la Germania mantiene una linea di prudenza, ribadendo che ogni riconoscimento deve essere “parte di un processo negoziale tra le parti”. Secondo Al Jazeera, nel 2025 sono saliti a 147 gli Stati che riconoscono la Palestina su scala globale, ma all’interno dell’Unione Europea la mossa francese rischia di approfondire le divisioni già esistenti, tra Est e Ovest, tra atlantismo e ambizioni post-liberali.

La posizione italiana: tra prudenza e pressioni interne

L’Italia mantiene una posizione prudente riguardo al riconoscimento dello Stato di Palestina. Il Parlamento italiano ha recentemente respinto una mozione che proponeva il riconoscimento della Palestina e l’impegno a prendere azioni pratiche per fermare il conflitto a Gaza. La maggioranza che regge il governo guidato da Giorgia Meloni ha infatti bocciato la proposta, mentre le opposizioni hanno criticato la mancanza di azioni concrete.

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha ribadito l’impegno dell’Italia per una soluzione a due Stati, sottolineando la necessità di un processo negoziale diretto tra le parti. Ha inoltre affermato che il riconoscimento dello Stato palestinese deve avvenire attraverso negoziati e non tramite decisioni unilaterali.

Tuttavia, alcune regioni italiane stanno prendendo iniziative indipendenti. La Puglia e l’Emilia-Romagna hanno interrotto le relazioni istituzionali con Israele, mentre la Toscana sta lavorando per il riconoscimento della Palestina, con l’obiettivo di presentare una proposta di legge a livello nazionale.

Il Consiglio di Sicurezza e il nodo del veto

Anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è trovato recentemente al centro del dibattito. Una risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco immediato e permanente a Gaza, accompagnata da un accesso umanitario senza restrizioni e dal rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas, è stata bloccata dal veto degli Stati Uniti. Si tratta del primo veto della seconda amministrazione Trump su una questione israelo-palestinese. La mossa ha suscitato critiche diffuse da parte di Paesi non allineati e delle agenzie umanitarie dell’ONU, rafforzando l’impressione di un Consiglio sempre più paralizzato su dossier mediorientali ad alta tensione.

Una scommessa multipolare

In questo scenario, la scommessa di Macron si colloca tra idealismo repubblicano e realismo post-gaullista: affermare una visione multipolare delle relazioni internazionali in cui l’Europa possa parlare con voce propria, anche sul Medio Oriente. Ma affinché questa voce sia ascoltata, serve coerenza, visione strategica e – soprattutto – capacità di gestire le conseguenze.

 

Alessio Zattolo – PhD student

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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