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Iran: l'attacco israeliano e l'asse con Pechino

Il nuovo raid israeliano su obiettivi strategici della Repubblica islamica si inserisce in una fase di estrema fragilità diplomatica e moltiplica i rischi di un'escalation mediorientale. Lungo l’asse tra Washington, Teheran e Pechino, il confronto si gioca ora anche sul piano tecnologico, mentre il Golfo, il Mar Rosso e il Cairo osservano da vicino un equilibrio sempre più precario.

Il nuovo raid israeliano su obiettivi strategici della Repubblica islamica si inserisce in una fase di estrema fragilità diplomatica e moltiplica i rischi di un’escalation mediorientale. Lungo l’asse tra Washington, Teheran e Pechino, il confronto si gioca ora anche sul piano tecnologico, mentre il Golfo, il Mar Rosso e il Cairo osservano da vicino un equilibrio sempre più precario.

Colpi mirati e tensione crescente

Nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025, Israele ha dato il via all’operazione “Leone nascente”, colpendo obiettivi militari e nucleari in Iran – tra cui i siti di arricchimento dell’uranio a Natanz, l’impianto di Fordow, un centro di comando a Isfahan, depositi missilistici nei pressi di Khorramabad e basi delle Guardie Rivoluzionarie a Teheran, Shiraz e Tabriz. Le prime ondate hanno colpito anche personalità di spicco: secondo fonti iraniane, sono stati uccisi il Comandante in capo dei Pasdaran Hossein Salami, il Capo di Stato maggiore Mohammad Bagheri e il comandante della Forza Quds Esmail Qaani. Tra le vittime compaiono anche scienziati come Fereydoun Abbasi e Mohammad Mehdi Tehranchi, colpiti nelle loro abitazioni, insieme a membri delle loro famiglie. 

L’uso del nome “Rising Lion”, con richiamo alla bandiera pre-rivoluzionaria iraniana, lascia intendere che l’operazione abbia anche una valenza simbolica: non si mira solo al programma nucleare, ma anche a delegittimare il regime nel suo complesso.

Diplomazia in bilico: Mascate a rischio

Un incontro riservato a Mascate, in Oman, tra l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, era previsto per domenica 15 giugno. Come riportato da Axios, l’attacco israeliano avrebbe messo a rischio il summit, considerato da molti l’ultima chance per riaprire il dossier nucleare tra Washington e Teheran.

Il New York Times conferma che Israele abbia agito in autonomia, informando soltanto in via preventiva l’amministrazione statunitense. Washington ha mantenuto una posizione ambigua, non rivendicando alcun coinvolgimento diretto né condannando l’operazione. Fonti vicine al Congresso sostengono che Witkoff avesse cercato fino all’ultimo di dissuadere Israele, temendo un’escalation devastante, o un “mass casualty event”

Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno attivato sistemi antimissile e radar Aegis per proteggere Israele e i corridoi aerei nel Golfo e nel Mar Rosso, segnalando un coinvolgimento indiretto e strategico mirato a prevenire contrattacchi temibili.

Missili e ammonio-perclorato: il nodo sino‑iraniano

Nelle stesse ore, emergono dettagli sull’acquisto, da parte di Teheran, di migliaia di tonnellate di ammonio‑perclorato dalla Cina: sostanza fondamentale per i propellenti solidi dei missili balistici. Secondo il Wall Street Journal, l’Iran avrebbe già ricevuto quantità per costruire fino a 800 missili, mediante la società Pishgaman Tejarat Rafi Novin, in collaborazione con la Lion Commodities Holdings Ltd di Hong Kong. Di conseguenza, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha imposto sanzioni a entità cinesi e iraniane coinvolte nel traffico.

Questa operazione strategica dimostra la determinazione di Teheran a rafforzare le proprie capacità deterrenti nel lungo termine. In un contesto in cui l’IAEA ha appena accusato l’Iran di aver violato obblighi di non proliferazione, Teheran annuncia un nuovo impianto in “luogo sicuro” e centrifughe avanzate. Il programma nucleare diventa così simbolo nazionale, ultima garanzia della sovranità rivoluzionaria: una rinuncia inimmaginabile senza un crollo identitario.

La partita americana: difesa multilivello e rischi collaterali

L’attacco israeliano è un azzardo strategico, un enorme lancio di dadi con la possibilità di rafforzare anziché indebolire Teheran. L’eliminazione contemporanea di vertici militari e scientifici innalza la posta, spingendo l’Iran verso strategie di escalation calibrate.

Negli Stati Uniti, cresce la preoccupazione per ricadute dirette e indirette: il rapido ritiro di personale da Baghdad, Kuwait e Bahrain mostra la gravità percepita. Al tempo stesso, fonti AP confermano un riallineamento delle risorse militari: dai 30mila soldati si è passati a circa 40mila, con la mobilitazione di incrociatori e cacciatorpediniere per difendere lo spazio aereo israeliano e i principali corridoi marittimi (Golfo, Mar Rosso, Hormuz).

Una chiusura, anche temporanea, dello Stretto di Hormuz – opzione sempre presente nella dottrina iraniana – provocherebbe un’impennata dei prezzi del greggio e conseguenze globali per i mercati energetici.

Golfo e Cairo: vulnerabilità dei partner regionali

A pagare il prezzo maggiore potrebbero essere i partner arabi nel Golfo. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Oman, impegnati in un tentativo delicato di distensione con Teheran, ora vedono le proprie infrastrutture critiche mettere a rischio. Riyad, in particolare, ha espresso condanna nelle forme più aspre, definendo “aggressioni israeliane contro la fraterna Repubblica islamica”.

Anche il Cairo osserva con timore. Già investito da tensioni interne, l’Egitto teme un’escalation con conseguenze devastanti. Solo giorni fa, il ministro degli Esteri Badr Abdel Atty aveva incontrato il collega iraniano Araghchi e il direttore dell’AIEA Rafael Grossi, riaffermando il sostegno al dialogo diplomatico, ma la porta al compromesso si chiude ogni giorno di più.

Un equilibrio sul filo

Il vertice di Mascate, se confermato, potrebbe diventare non solo un’occasione negoziale, ma un vero spartiacque strategico. L’asse Teheran-Pechino rafforza il potenziale deterrente iraniano, ma riduce gli spazi di compromesso con Washington. La risposta iraniana, possibile e calibrata – dagli attacchi informatici fino alla chiusura del traffico in Hormuz – resta una minaccia reale.

In un Medio Oriente sempre più multipolare, l’attacco israeliano e la risposta iraniana delineano una partita in corso. Una partita in cui deterrenza, tecnologia, simbolismo e geopolitica si intrecciano e ridefiniscono, giorno dopo giorno, i nuovi equilibri del confronto regionale.

 

 Alessio Zattolo, PhD Student

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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