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Trump spinge la NATO al riarmo: Europa divisa tra fedeltà e autonomia

L’annuncio di un possibile aumento della spesa militare fino al 5% del PIL da parte degli alleati, avvenuto nel corso dell’incontro dei ministri della Difesa della NATO il 5 giugno 2025, segna una svolta epocale nella strategia di difesa dell’Alleanza Atlantica. Si tratta di una risposta diretta alla rinnovata pressione degli Stati Uniti e in particolare del presidente Donald Trump, che da tempo chiede una più equa distribuzione degli oneri militari all’interno della NATO. L’obiettivo del 2% del PIL, stabilito nel 2014 dopo l’annessione russa della Crimea, sembrava già ambizioso per molti Stati membri, ma oggi, spinti da un contesto geopolitico sempre più instabile, i paesi dell’Alleanza si trovano ad affrontare la prospettiva di uno sforzo ancora più consistente. Diversi paesi della NATO, per lo più stati più piccoli sul fianco orientale dell’alleanza, come la Polonia e la Lituania, stanno già spendendo oltre l’attuale obiettivo del 2% e concordano che una spesa maggiore sia necessaria per scoraggiare la Russia.

L’annuncio di un possibile aumento della spesa militare fino al 5% del PIL da parte degli alleati, avvenuto nel corso dell’incontro dei ministri della Difesa della NATO il 5 giugno 2025, segna una svolta epocale nella strategia di difesa dell’Alleanza Atlantica. Si tratta di una risposta diretta alla rinnovata pressione degli Stati Uniti e in particolare del presidente Donald Trump, che da tempo chiede una più equa distribuzione degli oneri militari all’interno della NATO. L’obiettivo del 2% del PIL, stabilito nel 2014 dopo l’annessione russa della Crimea, sembrava già ambizioso per molti Stati membri, ma oggi, spinti da un contesto geopolitico sempre più instabile, i paesi dell’Alleanza si trovano ad affrontare la prospettiva di uno sforzo ancora più consistente. Diversi paesi della NATO, per lo più stati più piccoli sul fianco orientale dell’alleanza, come la Polonia e la Lituania, stanno già spendendo oltre l’attuale obiettivo del 2% e concordano che una spesa maggiore sia necessaria per scoraggiare la Russia.

Questo nuovo obiettivo del 5%, che includerebbe sia spese militari dirette sia investimenti in infrastrutture civili essenziali per la resilienza, come trasporti, comunicazioni e cyberdifesa, apre un fronte delicato nelle relazioni transatlantiche. Da una parte, esso rappresenta un tentativo di dare concretezza alla deterrenza nei confronti della Russia, che continua ad alimentare tensioni ai confini orientali dell’Europa. Dall’altra, rischia di mettere in crisi la coesione interna dell’Alleanza, specialmente in un’Europa ancora alle prese con rallentamenti economici, politiche sociali fragili e opinioni pubbliche poco inclini a sostenere un riarmo generalizzato.

Molti governi europei, infatti, hanno espresso dubbi sulla sostenibilità politica ed economica di un tale impegno. Tra questi, la Spagna si è fatta portavoce di una linea più prudente, sottolineando l’importanza di consolidare l’attuale obiettivo del 2% prima di rilanciare ulteriormente. Queste perplessità sono amplificate da una crescente consapevolezza all’interno dell’Unione Europea circa la necessità di sviluppare un’autonomia strategica. Il progetto “Readiness 2030”, promosso dalla Commissione Europea con un investimento previsto di 800 miliardi di euro, si muove proprio in questa direzione: rafforzare le capacità difensive dell’Europa a prescindere dal supporto statunitense, nel tentativo di preparare il continente a una possibile riduzione dell’impegno americano nei prossimi anni.

Attualmente, gli Stati Uniti spendono circa il 3,4% del loro PIL per la difesa, ma, essendo la maggiore potenza militare ed economica dell’Alleanza, questa somma ammonta a una cifra molto più alta di qualsiasi altro membro della NATO. Sebbene Trump abbia proposto di spendere 1.010 miliardi di dollari per la difesa per l’anno fiscale che inizia a ottobre, tale spesa dovrebbe aumentare di altri 200 miliardi di dollari affinché gli Stati Uniti raggiungano il parametro di riferimento del 5%, secondo una recente stima del Peterson Institute for International Economics.

La proposta di spingere la spesa militare fino al 5% del PIL va dunque letta anche come un messaggio politico. Da un lato, è un segnale all’avversario russo: la NATO non intende arretrare e si prepara a una fase di confronto prolungato. Dall’altro, è una prova di fedeltà al patto atlantico, utile a consolidare il ruolo guida degli Stati Uniti nel contesto della sicurezza occidentale. Tuttavia, la spinta americana rischia di accelerare un processo opposto: quello di un’Europa che, nel tentativo di rispondere alla richiesta di maggiore responsabilità, potrebbe rafforzare la propria identità autonoma in ambito difensivo, ridisegnando gli equilibri all’interno dell’Alleanza.

Il nuovo scenario pone anche interrogativi sulla stabilità degli equilibri globali. Un aumento così drastico delle spese militari in Europa potrebbe indurre altri attori internazionali, come la Cina, a rafforzare a loro volta le proprie capacità, innescando una spirale di riarmo globale. In parallelo, il rafforzamento del comando militare NATO, confermato dalla nomina del generale statunitense Alexus Grynkewich a capo delle forze alleate in Europa, sancisce l’intenzione di rafforzare la catena di comando e il coordinamento operativo, ma accentua anche il peso americano nei processi decisionali.

La decisione assunta a Bruxelles non è solo una questione di bilancio, ma anche una scelta di campo. Ciò implica una ridefinizione del ruolo dell’Europa, una rinegoziazione della leadership nella NATO e una presa d’atto che il futuro della sicurezza globale sarà segnato da nuove linee di frattura, più nette e meno negoziabili. In questo contesto, la politica di difesa diventa il fulcro attorno al quale ruoteranno le nuove alleanze, le tensioni strategiche e le sfide del mondo multipolare che va delineandosi, molto diverso da quello a cui siamo oggi abituati.

 

Stefano Lovi – PhD Candidate

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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