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Dal World Forum dell’Aia un rilancio della strategia NATO. Il bilancio sull’ultimo vertice Atlantico

La NATO ha aperto martedì all’Aia il vertice annuale che riunisce i leader dell’Alleanza. Un risultato, almeno formalmente, storico al termine dell’incontro periodico: sì da parte dei capi di Stato e di governo all’ambizioso accordo del 5% del PIL per le spese della difesa.

La NATO ha aperto martedì all’Aia il vertice annuale che riunisce i leader dell’Alleanza. Un risultato, almeno formalmente, storico al termine dell’incontro periodico: sì da parte dei capi di Stato e di governo all’ambizioso accordo del 5% del PIL per le spese della difesa. 

 

Sì al fronte unito sulla spesa militare (o quasi)

Al centro dei lavori, l’accordo senza precedenti per l’aumento della spesa militare collettiva, con i leader dei Paesi membri che hanno accettato la richiesta di Trump di aumentare la spesa per la difesa dal 2% al 5% del loro prodotto interno lordo. Il Segretario generale Mark Rutte ha descritto l’aumento della spesa militare come un’esigenza imminente, congratulandosi con Trump per aver forzato il dibattito interno. Un passaggio deferente, quello di Rutte, prontamente testimoniato dalla pubblicazione di un messaggio privato di Rutte a Trump sui social media da parte dello stesso leader Usa. 

Resta il fatto che la convergenza da parte dei leader europei sul tema si presenta come l’unica via d’uscita di fronte alla temibile prospettiva del disimpegno americano nel Vecchio Continente. Una scelta facilitata anche dal disegno offerto da Rutte. L’obiettivo potrà essere raggiunto tramite un frazionamento in due parti: il 3,5% dovrà essere destinato alle spese militari tradizionali – come armi, truppe e missili – e il restante 1,5% a una spesa di “sicurezza” per progetti militarmente adiacenti.

A quanto pare, però, non tutti i membri si sono allineati alla soglia richiesta. A esprimere il più forte dissenso il Primo Ministro spagnolo. Alla vigilia del vertice, Pedro Sanchez aveva dichiarato che il suo Paese avrebbe speso “né più né meno” del 2,1% del proprio PIL. Una intenzione confermata anche al termine del secondo giorno di meeting. Tanto che Trump, intervenendo nella conferenza stampa di mercoledì, ha dichiarato che non “tutti gli alleati” si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo. Soprattutto, ha minacciato di punire la riluttanza della Spagna. “Stiamo negoziando con la Spagna un accordo commerciale, gli faremo pagare il doppio. Sono davvero serio al riguardo”.

 

Sostegno all’Articolo 5 e attacco all’Iran

Prima di recarsi all’incontro sul futuro dell’Alleanza, Trump, dialogando con i giornalisti a bordo del suo Air Force One, aveva lasciato intendere che il sostegno statunitense in caso di attacco contro un Paese membro della NATO non sarebbe stato scontato nel futuro. Una posizione raddrizzata solo alla fine del vertice, riaffermando il pieno sostegno al patto di mutua difesa. 

Nel corso della conferenza stampa finale, il leader americano si è anche soffermato sugli attacchi americani in Iran, che – a suo dire – hanno accelerato la conclusione della guerra tra Israele e Teheran. E ha respinto il rapporto dell’intelligence statunitense che concludeva che gli attacchi americani avessero semplicemente fatto arretrare il programma nucleare iraniano di pochi mesi, accusando i media di aver messo in dubbio l’efficacia dell’operazione.

 

L’assenza di focus sul fronte ucraino 

Curiosamente, il tema della crisi in Ucraina non è stato posto al centro dei dibattiti. Una circostanza che deve essere spiegata anche alla luce del fatto che, rispetto alle ultime edizioni del vertice, le urgenze si sono moltiplicate. Ad ogni modo, un sostegno continuo in termini di denaro e attrezzature è stato promesso da Rutte. Mentre il comunicato non menziona la questione della futura adesione dell’Ucraina all’Alleanza, sempre Rutte ha ribadito la promessa di lunga data della NATO ad ammetterla.

 

La posizione italiana e le strategie future

Parole fiduciose sono state espresse da Giorgia Meloni al termine del vertice. La premier italiana ha sottolineato la compattezza dell’Alleanza, definendola come una condizione importante anche per continuare a lavorare sulle negoziazioni del nucleare iraniano. Ha raccontato, inoltre, come in un confronto con Trump si sia adoperata per sottolineare l’importanza di arrivare a un cessate il fuoco sugli altri fronti caldi, ovvero, in Ucraina e a Gaza. 

Sempre al termine dei lavori, ha evidenziato come l’Italia, intendendo incrementare la spesa militare dell’1,5% del PIL in dieci anni, si stia preparando a sostenere non solo la difesa convenzionale, ma anche materie più ampie, come la difesa dei confini, le infrastrutture critiche, l’intelligenza artificiale, la ricerca e l’innovazione tecnologica, ritenendo fondamentale mantenere il Paese “una nazione forte”.

 

Verso un nuovo equilibrio strategico: il contesto globale 

Era il 2019 e il Presidente francese Emmanuel Macron finì al centro dei dibattiti internazionali per aver definito la NATO “in stato di morte cerebrale“, sottolineando l’impegno sempre più debole nei confronti dell’Alleanza da parte del suo storico garante, gli Stati Uniti. Il suo atto di accusa, affidato a una intervista all’Economist, era stato suscitato dalla mancata consultazione degli Stati Uniti con la NATO prima del ritiro delle forze dalla Siria settentrionale, e dal dubbio serpeggiante che la NATO non fosse più impegnata in uno sforzo di difesa collettiva. Sempre in quel periodo, nel mezzo del suo primo mandato, Trump accusava i partner europei di non contribuire con la giusta quota di spesa militare e di affidarsi eccessivamente agli Stati Uniti per la propria difesa. La NATO di quel periodo era in evidente difficoltà. Ma, nel frattempo, il mondo è cambiato. Il modo di condurre la guerra è cambiato, così come la modalità di rilanciare le alleanze, anche quelle di più lunga data. 

La NATO di oggi non può essere la stessa del 1949. Era stata istituita con l’obiettivo di rispondere alle minacce imposte da un ordine bipolare, in cui l’Europa occidentale e il Nord America dovevano difendersi dalla pressione militare del Patto di Varsavia, che includeva pure i Paesi dell’Europa orientale. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, dalla metà degli anni Novanta, le forze NATO sono state adoperate in missioni nell’ex Jugoslavia e in Afghanistan. Oggi, la relazione transatlantica si affaccia su un ordine multipolare complesso, in cui lo sviluppo tecnologico ha imposto, oltre alle forme di guerra convenzionali, altri vettori di rischio. Le minacce ibride, scandite da rapidità di attacco e tattiche più infide, stanno modificando le strategie e le intere strutture di difesa – ponendo una rinnovata pressione anche sulle esigenze di difesa collettiva. 

È vero, la retorica di Trump ha sicuramente giocato un ruolo per il raggiungimento del nuovo tetto sulla spesa per la difesa. Tuttavia, un costante aumento era visibile già da prima del secondo mandato Trump. L’aggressione di Mosca contro l’Ucraina e il maggiore impegno di Washington nel quadrante asiatico sono tra le principali cause che avevano già spinto i contributori europei ad allocare quote maggiori per la spesa militare. Un mutamento testimoniato anche dalle modifiche agli appalti e alla spesa complessiva indirizzati a potenziare l’apparato industriale dell’Unione Europea. Ça va sans dire, gli europei hanno compreso che devono provvedere in maniera più autosufficiente alla tutela dei propri interessi. 



Gaia Natarelli, PhD Candidate e docente UNINT

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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