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Medio Oriente: il fallimento russo e il suo significato geopolitico

Nel loro recente contributo per Foreign Affairs (25 luglio 2025), Michael McFaul - ex ambasciatore statunitense a Mosca e direttore del Freeman Spogli Institute di Stanford - e Abbas Milani, esperto iranista e docente presso la stessa università, delineano un bilancio impietoso della politica russa in Medio Oriente nell’era putiniana. L’articolo, dal titolo The Real Meaning of Putin’s Middle East Failure, propone una chiave di lettura originale: il fallimento strategico della Russia nella regione non è solo una crisi d’immagine o influenza, ma un segnale più profondo della sua incapacità strutturale di agire come garante di sicurezza - oggi per i suoi partner arabi e iraniani, domani forse anche per la Cina.

Nel loro recente contributo per Foreign Affairs (25 luglio 2025), Michael McFaul – ex ambasciatore statunitense a Mosca e direttore del Freeman Spogli Institute di Stanford – e Abbas Milani, esperto iranista e docente presso la stessa università, delineano un bilancio impietoso della politica russa in Medio Oriente nell’era putiniana. L’articolo, dal titolo The Real Meaning of Putin’s Middle East Failure, propone una chiave di lettura originale: il fallimento strategico della Russia nella regione non è solo una crisi d’immagine o influenza, ma un segnale più profondo della sua incapacità strutturale di agire come garante di sicurezza – oggi per i suoi partner arabi e iraniani, domani forse anche per la Cina.

Dopo aver ricostruito l’architettura della penetrazione russa in Medio Oriente dal 2000 in avanti – attraverso relazioni parallele con Iran, Siria, monarchie del Golfo, Israele, e perfino con attori come Hamas e Hezbollah – McFaul e Milani mostrano come questa postura diplomatica, improntata a un equilibrio cinico e multipolare, sia stata letteralmente travolta dagli eventi degli ultimi venti mesi: dalla guerra tra Israele e Hamas al crollo del regime di Assad, fino ai bombardamenti USA-Israele contro le installazioni nucleari iraniane. Di fronte a ciascuna di queste crisi, Mosca ha scelto l’inerzia, lasciando i propri alleati regionali in balia degli eventi.

La fine dell’ambiguità strategica

A crollare, sottolineano gli autori, non è solo l’influenza militare russa nella regione, ma la sua credibilità come alleato. La Siria, per decenni laboratorio d’intervento russo in Medio Oriente, è caduta nel 2024 senza che Mosca muovesse un dito per Assad. L’Iran, dopo anni di cooperazione militare (droni Shahed per l’Ucraina in cambio di copertura diplomatica), si è trovato solo nel momento più delicato: l’attacco al sito di Fordow non ha prodotto alcuna reazione concreta da parte del Cremlino. La stessa Hezbollah, tradizionalmente legata all’asse Teheran-Damasco-Mosca, è uscita ridimensionata dal conflitto. E perfino i media iraniani più vicini ai Pasdaran hanno iniziato a criticare l’ambiguità di Putin, accusandolo di usare Teheran come moneta di scambio per negoziare con Washington.

La frattura tra Mosca e i suoi alleati si è rivelata tanto più significativa in quanto pubblica. Secondo McFaul e Milani, le proteste verbali di Khamenei contro l’Occidente sono apparse svuotate, mentre aumentavano le voci – anche all’interno del sistema iraniano – che denunciavano l’inutilità dell’alleanza strategica con Mosca. La mancata attivazione di clausole difensive nel trattato russo-iraniano firmato a gennaio 2025 ha fatto il resto.

Una lezione per Pechino e un monito per Washington

La portata dell’analisi va però ben oltre il Medio Oriente. Il vero obiettivo degli autori è far emergere un messaggio per Pechino e per l’amministrazione Trump: la Russia di Putin non è un alleato affidabile. Né per l’Iran né, in prospettiva, per la Cina in caso di conflitto con gli Stati Uniti, ad esempio su Taiwan. La strategia americana del “reverse Kissinger”, volta a separare Mosca da Pechino, si infrangerebbe contro la realtà di una Russia troppo debole per essere un partner strategico utile anche per chi condivide la sua visione illiberale dell’ordine globale.

La conclusione è inequivoca: Moscow is a fair-weather friend. Un alleato “stagionale”, presente quando il contesto è favorevole, ma assente nei momenti cruciali. Una Russia che ha saputo costruire un’illusione di influenza nella regione- attraverso armi, diplomazia parallela e retorica anti-occidentale – ma che ha fallito nel consolidarla nel momento in cui i suoi partner ne avevano più bisogno. E che, proprio per questo, oggi non è più necessaria nel nuovo equilibrio mediorentale post-7 ottobre.

di Alessio Zattolo PhD Student

 

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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