Perché il Kordofan può decidere le sorti del Sudan
- 31 Luglio 2025

Il conflitto in Sudan ha assunto una nuova dimensione strategica con la trasformazione della regione del Kordofan, in un epicentro della guerra tra l’esercito regolare sudanese (SAF) e la potente milizia paramilitare Rapid Support Forces (RSF). Dopo oltre due anni di combattimenti, il Kordofan, un’area vasta quanto la Germania, ricca di giacimenti petroliferi e snodo cruciale degli oleodotti che trasportano il greggio dal Sud Sudan, è divenuto teatro di una lotta che può alterare radicalmente la geografia politica e il futuro del paese.
Chi controlla il Kordofan esercita di fatto un’influenza decisiva sulla principale risorsa economica del Sudan e sulla sua proiezione energetica verso il Mar Rosso. Non a caso, la regione è fondamentale anche per il Sud Sudan, privo di sbocchi al mare, che esporta il proprio petrolio tramite gli oleodotti che attraversano il territorio conteso. Per questa ragione, la stabilità del Kordofan non è solo un affare interno al Sudan, ma una variabile critica nella sicurezza energetica regionale.
Il conflitto ha visto un’accelerazione a partire da giugno 2025, quando l’esercito ha cercato di riconquistare territori in mano alle RSF, in seguito a una serie di avanzate paramilitari che avevano permesso la ripresa di Khartoum e dello stato di Gezira. L’intensificarsi delle operazioni militari nella regione del Kordofan, che conta circa otto milioni di abitanti, ha provocato pesanti perdite civili. I bombardamenti dell’esercito su centri abitati come el-Fula e Abu Zabad hanno generato indignazione internazionale e rafforzato il sostegno locale alle RSF, le quali godono della mobilitazione della comunità Misseriya, fortemente radicata nel Kordofan occidentale. Secondo analisti locali, questi gruppi armati combatterebbero anche per difendere le loro terre e comunità, rendendo il conflitto non solo politico, ma anche profondamente etnico.
Mentre il generale al-Burhan ha fatto due apparizioni simboliche a Khartoum dopo la riconquista, egli resta operativo da Port Sudan, città costiera più sicura, a dimostrazione della fragilità del controllo governativo sulla capitale storica. Le RSF, dal canto loro, hanno minacciato di colpire l’impianto petrolifero di Heglig, nel Sud Kordofan, se i bombardamenti aerei contro le popolazioni civili continueranno. La posta in gioco è alta: controllare questa zona darebbe alle RSF nuovo impulso per tornare ad assediare il Sudan centrale e la capitale. Per l’esercito, invece, vincere in Kordofan significherebbe aprire la strada verso ovest, in direzione del Darfur, regione d’origine della milizia e suo principale serbatoio logistico.
Nel corso del conflitto, le RSF hanno compiuto un passo significativo verso la formazione di un’entità politica autonoma, annunciando la creazione di un governo parallelo. Al vertice di questa nuova struttura di potere vi è Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, il comandante delle RSF, affiancato da Abdelaziz al-Hilu, leader del movimento separatista SPLM-N (Sudan People’s Liberation Movement–North), che da anni controlla ampie porzioni del Sud Kordofan e delle Nuba Mountains. A completare l’architettura istituzionale è stato nominato anche un primo ministro civile, in un chiaro tentativo di dare legittimità politica e forma statuale a un territorio sempre più sottratto al controllo del governo centrale.
Questo progetto non si limita a una mossa propagandistica. L’intenzione di Hemedti e dei suoi alleati è di consolidare un’entità politica e amministrativa che possa rivaleggiare con il governo militare di al-Burhan, stabilendo un sistema parallelo che controlli il Darfur, parte del Kordofan e zone limitrofe. Tale mossa segna una svolta drammatica: si delinea la possibilità concreta di una divisione istituzionale e territoriale permanente del Sudan, in cui le RSF governano de facto una regione occidentale autonoma, simile allo scenario libico post-2014, caratterizzato da due governi rivali e paralleli. Questo sviluppo suggerisce che il conflitto potrebbe non terminare con una vittoria militare tradizionale, ma piuttosto cristallizzarsi in una forma di “secessione di fatto”, con profonde implicazioni per la stabilità del Corno d’Africa.
A rendere il quadro ancora più complesso è l’intreccio tra dinamiche militari, etniche e tribali. Le RSF hanno cercato di rafforzare la loro presa nel Nord Kordofan spingendosi verso la città di el-Obeid, capitale dello stato. Tuttavia, a metà luglio 2025, l’esercito sudanese ha riconquistato la cittadina strategica di Umm Sumaima, situata lungo la via d’accesso alla capitale statale. Questa riconquista è considerata cruciale: Umm Sumaima rappresentava l’ultimo baluardo difensivo prima che le RSF potessero lanciare un assedio completo a el-Obeid, che ospita una delle principali basi militari della regione. Il controllo di questa città consentirebbe alle forze governative di ripristinare una linea di rifornimento e di comunicazione verso le zone interne del Kordofan, contrastando così l’espansione delle RSF.
Nel frattempo, il conflitto ha assunto una dimensione sempre più tragica e brutale, con un impatto devastante sulla popolazione civile. Le forze aeree dell’esercito hanno bombardato scuole, mercati e rifugi nella parte occidentale del Kordofan, in particolare nelle città di el-Fula e Abu Zabad. Parallelamente, le RSF sono accusate di aver perpetrato massacri nei villaggi di Bara, Shag Alnom e Hilat Hamid, situati nel Nord Kordofan, causando la morte di oltre 450 persone, tra cui 24 bambini, donne incinte e anziani. Secondo lo Yale Humanitarian Research Lab, l’analisi delle immagini satellitari indica che molte di queste località sono state oggetto di attacchi incendiari deliberati, finalizzati a terrorizzare e scacciare la popolazione locale. L’organizzazione Emergency Lawyers ha documentato che molte vittime sono morte bruciate vive nelle loro case o uccise a colpi d’arma da fuoco mentre tentavano di fuggire.
Questi episodi, sempre più frequenti e sistematici, stanno alimentando un ciclo di vendette e reclutamenti forzati che rende la guerra una spirale di violenza difficile da interrompere. I civili si ritrovano presi in ostaggio da due attori armati che violano ripetutamente il diritto internazionale umanitario, con scarsa attenzione alle pressioni delle organizzazioni umanitarie e delle Nazioni Unite.
Da un punto di vista geopolitico, la guerra in Kordofan è il crocevia di diverse tensioni. La dimensione etnico-identitaria rafforza il radicamento locale delle RSF, mentre l’esercito riceve il sostegno crescente di formazioni islamiste, desiderose di tornare al potere dopo la caduta del regime di Bashir. Il loro sostegno al comando militare non è ideologicamente neutro: potrebbe preludere a una restaurazione autoritaria basata su un’agenda islamico-conservatrice, con implicazioni destabilizzanti per il Sudan e per i vicini come Egitto, Etiopia e Sud Sudan.
Nel breve periodo, è probabile che il conflitto in Kordofan si protragga, con un’alternanza di avanzate e ritirate, senza un vincitore netto. Tuttavia, la portata strategica della regione rende inevitabile un’escalation o una trasformazione della guerra in una lotta per la sopravvivenza istituzionale. Lo scenario più preoccupante è quello di una partizione de facto del Sudan, dove il governo militare controlla l’est del paese (e il porto sul Mar Rosso) e le RSF il Darfur e parte del Kordofan. La mediazione internazionale appare ancora marginale, e l’eventuale coinvolgimento di potenze regionali o attori esterni interessati alle risorse energetiche potrebbe allargare il conflitto su scala più ampia.
Stefano Lovi – PhD student


