Idrogeopolitica del subcontinente indiano: la sfida delle dighe cinesi al Corridoio Economico IMEC
- 31 Luglio 2025

L’idrogeopolitica sino-indiana sta condizionando le relazioni tra i principali Paesi asiatici. L’annuncio da parte della Cina, della costruzione in territorio tibetano di quella che sarà la diga idroelettrica più grande del mondo, ha suscitato le proteste formali di India e Bangladesh. New Delhi e Dacca temono che Pechino possa usare “il progetto del secolo” come una “bomba d’acqua” con cui esercitare la propria egemonia sui loro territori.
A complicare il quadro geopolitico regionale si aggiunge la partecipazione cinese alla costruzione di una seconda diga, in Pakistan, storico nemico dell’India. I rapporti sino-pakistani ruotano intorno alla Belt and Road Initiative cinese, che oggi vede un progetto alternativo: il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), con un perno proprio in India. L’IMEC non è però una semplice rete di collegamento Est-Ovest, ma uno strumento strategico in grado di riconfigurare lo spazio eurasiatico del futuro.
Un recente articolo della BBC riporta l’annuncio da parte del premier cinese Li Qiang, riguardante la costruzione della più grande diga idroelettrica del mondo. Situata nella Regione Autonoma del Tibet, sfrutterà le acque del principale fiume tibetano, lo Yarlung Tsangpo. Grazie alle dimensioni – superiori a quelle dell’imponente diga delle Tre Gole – sarà in grado di generare una quantità di energia tre volte maggiore rispetto a quest’ultima. Il grandioso progetto – dal costo stimato di 1.2 trilioni di yuan, pari a 167 miliardi di dollari – denominato anche Stazione Idroelettrica Motuo, ha immediatamente scatenato accese reazioni da parte di India e Bangladesh. Il fiume Yarlung Tsangpo a Sud prosegue infatti il suo corso all’interno dei due Paesi, dove confluisce nelle acque del Siang, del Brahmaputra e del Jamuna.
Le autorità indiane temono che la diga ponga Pechino in una posizione egemonica, in grado di danneggiare l’economia nazionale. Secondo Delhi, lo sbarramento o il rilascio delle acque costituisce uno strumento di guerra, una minaccia esistenziale dagli effetti potenzialmente devastanti. Il Bangladesh ha espresso preoccupazioni simili. Dal canto suo, la Cina ha risposto rivendicando il legittimo diritto di sbarrare il fiume, fornendo rassicurazioni sulla portata delle conseguenze.
La costruzione della diga cinese, definita il “progetto del secolo”, si inserisce nella cosiddetta politica “xidiandongsong”, letteralmente “mandare l’elettricità occidentale a Est”. Fa parte di un piano promosso dal presidente Xi Jinping, finalizzato a fornire energia alle metropoli situate nella parte più orientale del Paese.
La monumentale opera – osserva la Reuters – ha infatti un obiettivo preciso: dare impulso all’economia del dragone. Si stima che un decennio di lavori, sotto la supervisione del colosso statale Yajiang Group, garantisca un Pil annuale pari a 120 miliardi di yuan, ossia 16.7 miliardi di dollari, oltre a creare migliaia di posti di lavoro.
La Cina è impegnata però anche nella costruzione della diga idroelettrica di Mohmand, in territorio pakistano. Il progetto, il cui completamento è previsto entro il 2026, suggella i rapporti sino-pakistani, rafforzatisi successivamente alla sospensione del Trattato delle acque dell’Indo. New Delhi ha infatti unilateralmente revocato l’accordo bilaterale indo-pachistano dopo l’attentato terroristico avvenuto nel Kashmir lo scorso aprile, di cui ritiene responsabile Islamabad.
Secondo l’esperto di idropolitica Pintu Kumar Mahla, la Cina intende aumentare la propria influenza nella regione anche contrastando l’India, con cui nel 1962 è entrata in guerra a causa di una disputa sui confini territoriali ancora oggi non completamente risolta. Il rischio è tuttavia quello di fomentare tensioni con effetti destabilizzanti per i Paesi coinvolti.
L’appoggio fornito dalla Cina al Pakistan è dovuto a interessi economici e geopolitici, tra cui il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), un’arteria vitale della Belt and Road Initiative (BRI). Il CPEC è un’autostrada strategica che corre lungo la costa pakistana, dai porti di Gwadar e Karachi, fino a Islamabad, per poi entrare in territorio cinese. Non è solo una via di comunicazione, ma comprende infrastrutture energetiche come gasdotti e parchi eolici.
La sua enorme importanza consiste nel permettere a Pechino di evitare lo stretto di Malacca, – tra gli oceani Indiano e Pacifico -, passaggio cruciale per il commercio.
La BRI ha però un recente rivale, il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), un progetto a guida USA di connessione tra India ed Europa tramite il Golfo. Esso comprende due network: uno marittimo, tra l’India e il Golfo, e uno ferroviario tra il Golfo e il Mediterraneo via Giordania e Israele. Oltre a infrastrutture di collegamento, prevede cavi sottomarini per lo scambio di dati, e una rete pipeline dell’idrogeno ai fini della decarbonizzazione.
Il Corridoio IMEC è tuttavia molto di più che una rete di collegamento. Rappresenta uno strumento geopolitico del nuovo ordine globale multipolare, tramite il quale USA ed UE cercano di contrastare l’influenza della Cina, e l’India tenta di sottrarsi all’accerchiamento di quest’ultima. Per Arabia Saudita ed EAU – poco preoccupati del contenimento cinese – è invece un ponte economico tra Est e Ovest, le cui strutture portuali sono di grande interesse per l’Occidente.
Nell’ambito del multipolarismo, il Corridoio IMEC può consentire inoltre a potenze medie non completamente allineate di cooperare, anche all’interno del G7. Sarebbe il caso proprio dell’India, rivale sistemico della Cina e tra i fondatori dei BRICS, la quale ne trarrebbe anche prestigio geopolitico. New Delhi non ha mai partecipato attivamente alla BRI, e ha l’esigenza di bypassare un altro rivale di lunga data, il Pakistan. A tale scopo ha investito nel porto iraniano di Chabahar finanziando il Corridoio Nord-Sud (NSC), snodo tra Iran e Russia. L’NSC, dati i due Paesi coinvolti, non può però fornire all’India un collegamento con l’Europa. L’IMEC invece sì, a patto di non intrattenere rapporti con Mosca e Teheran, ma con il vantaggio di escludere Cina e Pakistan.
Non da ultimo, – nel contesto del conflitto russo-ucraino – l’IMEC può costituire uno strumento di sicurezza energetica per l’Europa, contribuendo al decoupling da Mosca attraverso nuove pipeline.
Un altro conflitto è legato al futuro del Corridoio IMEC, in quanto snodo degli hub: quello mediorientale. Sebbene esso non abbia modificato gli obiettivi economico-strategici dei partecipanti, l’instabilità regionale costituisce una minaccia fisica per il network.
Come ha osservato Ciro Sbailò, “L’IMEC è più di una reazione alla Belt and Road Initiative: è una riconfigurazione attiva dello spazio eurasiatico. Sposta i punti di misura. Costruisce traiettorie multiple. Apre possibilità non date.”
Ma per lo sviluppo dell’ambizioso progetto geopolitico, la sicurezza è una precondizione necessaria.
Donata Zocche – Giornalista e PhD student


