Trump e la scommessa asiatica
- 1 Novembre 2025
La tournée asiatica promossa dal presidente statunitense Donald Trump appare, a prima vista, come un tentativo calibrato di riaffermare l’influenza americana in una regione cruciale per l’equilibrio globale e per le tensioni commerciali con Pechino. L’itinerario copre tre Paesi (Malaysia, Giappone e Corea del Sud) e nella città di Busan, Corea del Sud, giovedì 30 ottobre 2025, Donald Trump e Xi Jinping si sono incontrati per la prima volta in persona dal 2019, per circa un’ora e quaranta di colloquio formale. Al termine dei colloqui, Trump ha descritto la riunione come «un 12 su 10», proclamando un’intesa su vari fronti.
Sul tavolo sono emersi accordi preliminari che, secondo i comunicati e le analisi, segnano più una tregua che una risoluzione strutturale del conflitto commerciale e strategico sino-americano. Come riportato da osservatori internazionali, «l’esito appare più vicino a una tregua che a una pace duratura».
Il nucleo della missione asiatica di Trump ruota attorno a tre direttrici principali: la rinegoziazione delle relazioni commerciali con la Cina, l’assetto della sicurezza regionale (a partire dalla situazione nella penisola coreana) e la necessità di ricostruire relazioni con gli Stati del Sud-est asiatico, molti dei quali si trovano oggi a fare da “collo di bottiglia” tra l’influenza cinese e le ambizioni statunitensi.
Particolarmente delicato è il capitolo dei dazi: nell’ultimo mese, l’amministrazione Trump ha minacciato l’introduzione di tariffe del 100 % sulle esportazioni cinesi, in risposta alle restrizioni che Pechino ha imposto sulle esportazioni di terre rare e tecnologie critiche. Stando alle dichiarazioni sugli accordi preliminari, la Cina ha accettato di riprendere le importazioni di soia statunitense, ha deciso di rinviare per un anno l’attuazione di alcune restrizioni sulle esportazioni di terre rare (materie prime critiche per tecnologie e difesa), e di intensificare l’azione contro il traffico di precursori del fentanyl verso gli Stati Uniti. In cambio, gli USA hanno concordato una riduzione dei dazi previsti verso le merci cinesi: da un livello medio del 57% verso circa 47%. Una tregua nelle ostilità commerciali o una “pausa strategica” potrebbe alleggerire la pressione sui mercati asiatici ed europei, offrendo a Trump un rilancio diplomatico in vista del 2026. Ma qualsiasi compromesso sarà difficile da digerire dai falchi interni al suo stesso partito.
Tuttavia, la posta in gioco non è solo economica. Nel corso della missione asiatica, Trump ha anche espresso disponibilità, almeno pubblicamente, a un possibile incontro con il leader nordcoreano Kim Jong Un durante la sua permanenza in Corea del Sud. Questo annuncio, seppur da prendere con cautela visti i repentini cambi di programma del presidente degli USA, proietta l’ombra di una doppia diplomazia parallela: una visibile e mediatica con la Cina, l’altra inaspettata con Pyongyang, laddove il destino nucleare e le tensioni nella penisola coreana restano tra i temi più esplosivi della geopolitica asiatica. La Corea del Nord ha effettuato lanci di missili balistici a corto raggio, segnale inequivocabile che Pyongyang vuole riaffermare la propria capacità di minacciare l’interlocutore regionale, anche nel contesto delle grandi manovre diplomatiche attorno al summit APEC.
Nonostante questi sviluppi, diversi aspetti rimangono vaghi o in sospeso. Non è stato firmato un accordo dettagliato e completo: molti temi strategici altamente sensibili, come la tecnologia dei semiconduttori, l’isola di Taiwan e le ambizioni geostrategiche cinesi, sono stati solo marginalmente citati o del tutto evitati nei comunicati. Fra gli scenari possibili, il più ottimistico prevede un accordo quadro su aree selettive, come ad esempio una moratoria su nuovi dazi, l’apertura parziale al commercio tecnologico, oppure un’intesa applicabile a materie prime critiche. Meno probabile sembra, invece, un accordo totale che risolva le asimmetrie strutturali tra i due sistemi economici. In uno scenario più prudente, l’esito potrebbe essere un compromesso simbolico, accompagnato da un memorandum of understanding che preveda un impegno, da entrambe le parti, a continuare le negoziazioni.
L’intesa può rappresentare un sollievo per i mercati, che temevano un’escalation della guerra commerciale. Tuttavia, molti analisti avvertono che ciò che è stato convenuto è essenzialmente una “pausa” negoziale, con entrambi i Paesi che conservano ampio margine di manovra per future tensioni. Per esempio, la Cina ha ottenuto una sospensione, ma non una cancellazione, delle restrizioni sulle terre rare. Senza ombra di dubbio, l’incontro tra Trump e Xi ha segnato un momento diplomatico importante: ha stabilito un canale di dialogo e un “reset parziale” nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Ma i fissati problemi strutturali – dalla supremazia tecnologica alla concorrenza geopolitica – non sono stati risolti. Se la tregua si trasformerà in qualcosa di più duraturo dipenderà dai prossimi passi negoziali e dalla capacità di entrambe le parti di rispettare gli impegni senza far riaffiorare rapidamente le ostilità.
Da tenere a mente come l’evento assuma significato anche per la stessa Corea del Sud. Se da un lato Seul vuole dimostrare di saper ospitare leader rivali di Washington e Pechino e di presidiare la stabilità regionale, dall’altro rischia di trovarsi in mezzo ai giochi di potere. Il presidente sudcoreano Lee Jae Myung ha già in programma summit separati con Trump e Xi durante lo stesso evento, con l’intento di trarre vantaggio diplomatico nel confronto bilaterale più ampio.
Stefano Lovi – PhD Candidate