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Turchia: le elezioni presidenziali e il ruolo del sindaco di Istanbul

Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul, e rivale alle prossime elezioni del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, è stato di recente destinatario di una richiesta di condanna a oltre 2000 anni di detenzione. Un escamotage per escluderlo dalla corsa alle presidenziali? In 3.900 pagine Imamoglu, leader dell’opposizione, sarebbe descritto come " fondatore di un'organizzazione criminale." La notizia in sé spinge a riflettere su quanto nel regime turco la divisione dei poteri appare meramente formale, con l’asservimento del potere giudiziario all’esecutivo, tramite un forte clientelismo politico.

Ekrem Imamoglu, sindaco di Istanbul, e rivale alle prossime elezioni del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, è stato di recente destinatario di una richiesta di condanna a oltre 2000 anni di detenzione.

Un escamotage per escluderlo dalla corsa alle presidenziali? In 3.900 pagine Imamoglu, leader dell’opposizione, sarebbe descritto come ” fondatore di un’organizzazione criminale.”

La notizia in sé spinge a riflettere su quanto nel regime turco la divisione dei poteri appare meramente formale, con l’asservimento del potere giudiziario all’esecutivo, tramite un forte clientelismo politico.

Non è tutto: altri due baluardi della democrazia, libertà di stampa e università, sono praticamente azzerati.

Infatti, la Turchia nel World Press Freedom Index 2025 – graduatoria sulla libertà di stampa curata da oltre 20 anni da Reporter senza frontiere- raggiunge solo la 159° esima posizione su 180 stati, a riprova del fatto che la libertà di informazione è ridotta ad una mera parvenza (il 90% dei mass media sono sotto il controllo governativo, ed è attiva la censura on line).

In particolare, nel report 2025, si legge: “Il governo e le aziende del settore privato alleate con il governo mettono a repentaglio il pluralismo dei media destinando pubblicità e sussidi a testate che offrono loro una copertura favorevole. L’Agenzia per la Pubblicità sulla Stampa (BIK) utilizza l’assegnazione di spazi pubblicitari statali per esercitare pressioni finanziarie sui quotidiani recalcitranti, mentre il Consiglio Supremo della Radio e della Televisione (RTÜK) contribuisce a indebolire finanziariamente i canali televisivi critici emettendo multe astronomiche. Alcuni quotidiani hanno anche dovuto ridurre il numero di pagine a causa del prezzo della carta da giornale.”

Non è tutto. L’università, che dovrebbe essere sede della formazione del pensiero critico, alla base di tutte le democrazie, si è subordinata alle direttive del potere.

A marzo l’ateneo di Istanbul ha annullato retroattivamente il titolo di studio di Ekrem Imamoglu, privandolo dei requisiti richiesti per candidarsi alla presidenza.

I giornalisti che si occupano di attacchi alla laicità, dell’impatto dei gruppi religiosi (Tarikat) o delle organizzazioni jihadiste regionali sono sempre più esposti a minacce.

Secondo i dati 2025 di Freedom House, realtà internazionale attiva per promuovere il cambiamento democratico, la Turchia non è un Paese libero, raggiungendo nello studio un punteggio pari solo a 33/100, somma del livello riconosciuto alle libertà civili (16/60) e ai diritti politici (17/40).

Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, il cui Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) governa la Turchia dal 2002, ha accentrato il potere modificando la Costituzione, mettendo in prigione oppositori politici e giornalisti indipendenti, reprimendo il dissenso e limitando il dibattito pubblico.

Nel 2019 Imamoglu aveva sconfitto il partito AKP di Erdogan a Istanbul: il primo stop al presidente in oltre due decenni. Simbolo dell’opposizione, nel mirino di vari procedimenti giudiziari, è stato arrestato a marzo tra le critiche da parte di gruppi internazionali per i diritti umani e di osservatori della democrazia.

 

Elisa Latella

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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