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Chip fotonici e AI: il vantaggio emergente della Cina

Negli ultimi anni la corsa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale si presenta come uno dei fronti principali della competizione geopolitica globale. Stati Uniti e Cina, emersi come i due attori principali del settore, si stanno confrontando con strategie molto differenti, soprattutto per quanto riguarda l’orientamento verso i diversi ambiti tecnologici.

Negli ultimi anni la corsa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale si presenta come uno dei fronti principali della competizione geopolitica globale. Stati Uniti e Cina, emersi come i due attori principali del settore, si stanno confrontando con strategie molto differenti, soprattutto per quanto riguarda l’orientamento verso i diversi ambiti tecnologici.

Per comprendere la distanza tra Washington e Pechino è sufficiente osservare l’approccio del modello statunitense, fondato su una logica di potenza crescente riassumibile nell’espressione bigger, faster, stronger. Gli Stati Uniti si stanno infatti concentrando sulla creazione di data center sempre più vasti e sull’utilizzo di sistemi di calcolo estremamente costosi ed altrettanto energivori. Meta e Microsoft hanno annunciato prossimi investimenti per, rispettivamente, 65 e 80 miliardi di dollari per lo sviluppo e l’addestramento dei propri modelli di AI. OpenAI ha invece presentato il progetto Stargate[1] che prevede lo stanziamento di 500 miliardi di dollari per i prossimi quattro anni per ampliare le proprie infrastrutture fisiche e digitali tramite una rete nazionale di data center di AI avanzati e per accelerare lo sviluppo dell’AGI (Artificial General Intelligence), coinvolgendo nell’accordo di collaborazione SoftBank – che ha messo a disposizione 100 miliardi di dollari – , Oracle, MGX e partner tecnologici come Microsoft, NVIDIA e Arm. Questa corsa alla potenza computazionale presenta, però, un costo energetico enorme: Google, Microsoft e Amazon hanno dichiarato che, proprio a causa dell’espansione dell’utilizzo dell’AI, non saranno in grado di ridurre le rispettive emissioni di CO₂, che sono, anzi, destinate a crescere. Oggi i data center rappresentano circa il 4,4% dei consumi energetici statunitensi con una previsione in aumento fino al 12% entro il 2028.

La strategia cinese appare molto diversa. DeepSeek, ad esempio, ha dichiarato di aver speso appena sei milioni di dollari per addestrare un modello di AI generativa comparabile con quelli occidentali, ma con consumi energetici e costi di addestramento cinquanta volte inferiori rispetto ai più recenti LLM statunitensi, sfruttando poche migliaia di GPU Nvidia dalle prestazioni ridotte, laddove OpenAI e gli altri impiegano decine di migliaia delle più potenti.

In Cina l’impegno sullo sviluppo delle tecnologie legate all’intelligenza artificiale non è solo legato all’iniziativa privata, anzi, a livello politico la volontà di far assumere all’AI un ruolo centrale nel paese è stata formalizzata con l’iniziativa AI Plus[2], un piano strategico a guida statale lanciato lo scorso agosto che punta a rinforzare l’intelligenza artificiale in ogni settore chiave dell’economia entro il 2035. La Cina ambisce a trasformarsi in una “società dell’intelligenza”, dove l’AI sia integrata non solo nei settori produttivi, ma nel diritto, nell’etica, nella  cultura e nella vita quotidiana.

Data la loro importanza per la continuità di interi settori industriali, particolare attenzione è stata dedicata allo sviluppo dei chip. Pechino ha infatti scelto un approccio alternativo puntando, tra le diverse tecnologie, sui chip fotonici, dispositivi che utilizzano la luce anziché gli elettroni per elaborare informazioni[3]. Questi chip promettono efficienza energetica superiore, minore produzione di calore e capacità di aggirare due limiti ormai strutturali dell’elettronica tradizionale: il rallentamento della legge di Moore e il collo di bottiglia di von Neumann[4], quest’ultimo legato al trasferimento dei dati tra CPU e memoria. La tecnologia non è esclusivamente cinese: in Europa, ad esempio, l’azienda milanese Ephos ha inaugurato il primo stabilimento al mondo per la produzione di chip fotonici quantistici basati sul vetro[5]. Tuttavia, è in Cina che si concentra oggi la maggior parte delle iniziative più innovative, ragionevolmente incentivate anche dalle restrizioni tecnologiche statunitensi sulle esportazioni di semiconduttori avanzati che hanno reso molto più complesso per Pechino accedere alle GPU più potenti e alle tecnologie litografiche necessarie per produrle.

Tra i progetti più innovativi spicca Taichi, un chip fotonico sviluppato dai professori Lu Fang e Qionghai Dai della Tsinghua University, che nelle sue versioni più recenti ha mostrato una capacità di 160 trilioni di operazioni al secondo per watt, una efficienza d’area di 880 trilioni di operazioni di moltiplicazione per millimetro quadrato, quasi 14 milioni di parametri e una efficienza energetica oltre mille volte superiore a quella della GPU Nvidia H100[6]. Questa potenza deriva dalla parallelizzazione di reti neurali ottiche, un approccio differente rispetto a quello elettronico che si basa su architetture in altezza. La strategia ottica in ampiezza permette anche di ridurre errori e rumore, due limiti tradizionali del calcolo fotonico.

Un’altra svolta significativa arriva dallo Shanghai Institute of Optics and Fine Mechanics, con il chip Meteor-1 presentato dal team del professor Xie Peng, accreditato di una capacità di 2.560 trilioni di operazioni al secondo. Accanto ai progetti accademici, la Cina punta anche sull’integrazione industriale con il Chip Hub for Integrated Photonics Xplore (CHIPX), un centro con sede a Wuxi affiliato alla Shanghai Jiao Tong University e all’azienda Turing Quantum. CHIPX gestisce la prima linea pilota cinese per wafer fotonici da 6 pollici, con una capacità produttiva di 12.000 wafer all’anno, coprendo l’intera filiera dalla progettazione alla realizzazione e all’assemblaggio dei sistemi, comprese piattaforme per il calcolo quantistico ottico.

Nonostante il fermento, i chip fotonici restano una tecnologia emergente e ancora immatura: occorre migliorare l’integrazione con l’elettronica tradizionale, sviluppare linee produttive dedicate e creare nuovi algoritmi e software capaci di sfruttare appieno il potenziale dell’hardware ottico. Eppure il potenziale è enorme. La corsa tra Stati Uniti e Cina sull’intelligenza artificiale non si gioca quindi solo sulle infrastrutture, ma sempre più sui modelli che renderanno possibile l’introduzione di nuovi paradigmi tecnologici. Laddove gli USA puntano sulla forza bruta della potenza di calcolo, la Cina sembra aver scelto la via dell’efficienza, dell’integrazione e dell’esplorazione di paradigmi alternativi come la fotonica. Chi sarà il vincente in questa sfida dipenderà dalla maturazione di queste tecnologie e dal loro impatto sulle applicazioni più avanzate dell’AI, del quantum computing e dell’informatica ad alte prestazioni.

 

Antonio Iovanella – Professore associato di Matematica per l’Economia e la finanza – UNINT

 

Riferimenti

[1] https://www.ibm.com/it-it/think/topics/stargate

[2] https://www.geopolitechs.org/p/china-releases-ai-plus-policy-a-brief

[3] https://www.nature.com/articles/s41586-023-06558-8

[4] https://research.ibm.com/blog/why-von-neumann-architecture-is-impeding-the-power-of-ai-computing

[5] https://ephos.io/newsroom/ephos-raises-8-5m-seed-round-and-opens-worlds-first-facility-for-the-design-and-production-of-glass-based-quantum-photonic-chips/

[6] https://spectrum.ieee.org/optical-neural-network

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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