La nuova mappa della leva militare in Europa
- 5 Dicembre 2025
Nel dibattito geopolitico europeo, la questione del servizio militare nazionale è tornata al centro dell’agenda: la guerra in Ucraina, l’aggressività russa e le incertezze sulla continuità del ruolo statunitense hanno spinto governi e opinione pubblica a rivedere scelte adottate dopo la Guerra Fredda.
In termini pratici, nell’Unione Europea esistono due gruppi distinti: i Paesi che formalmente mantengono un obbligo di leva (anche se spesso applicato in modo selettivo) e quelli che si basano su forze professionali volontarie. Tra i membri dell’UE che continuano a prevedere un qualche tipo di servizio nazionale obbligatorio figurano Austria, Cipro, Estonia, Finlandia, Grecia, Lettonia, Lituania, Svezia e Danimarca; tale elenco comprende realtà dove l’obbligo è pienamente operativo e Stati dove, nella pratica, solo una porzione selezionata della coorte viene chiamata in servizio in tempo di pace. Questa mappa, tuttavia, non è statica: dal 2015 in poi alcuni Paesi hanno reintrodotto la leva dopo anni di sospensione o abolizione.
I casi “classici” e le caratteristiche tecniche principali
L’Austria mantiene la coscrizione obbligatoria per i cittadini di sesso maschile sopra i 18 anni; esiste la possibilità di servizio civile alternativo e le donne possono svolgere servizio volontario. La durata e le condizioni della chiamata sono regolate dalle pagine ufficiali del governo austriaco e mostrano che il tema è oggetto di ampio consenso sociale interno, con indagini che rilevano un crescente sostegno popolare alla conservazione della leva.
Il servizio obbligatorio è parte integrante della difesa nazionale cipriota: gli uomini svolgono un periodo di servizio pari a diversi mesi (in genere intorno a 14 mesi per i cittadini maschi maggiorenni), mentre riforme recenti hanno aperto la possibilità per le donne di entrare come volontarie e hanno introdotto opzioni alternative per obiezione di coscienza. Il quadro normativo è aggiornato sui canali ufficiali del Ministero della Difesa e su osservatori internazionali su obiezione di coscienza.
L’Estonia ha un sistema di coscrizione attivo con durata variabile (8–11 mesi in base al tipo di reclutamento e ruolo); il paese opera una chiamata su base triannuale e tratta la leva come nucleo della sua capacità di mobilitazione rapida. Negli ultimi anni Tallinn ha anche introdotto modifiche pratiche: dal 2026, per esempio, è previsto che fra i chiamati siano selezionati prioritariamente quei giovani con competenze linguistiche in estone (soglia B1), una misura pensata per preservare l’efficacia addestrativa delle unità.
La leva in Finlandia è storicamente e costituzionalmente centrale alla dottrina di difesa: tutti gli uomini idonei sono soggetti al servizio, la durata tipica varia (con varianti per specialità), e le donne possono arruolarsi volontariamente con identiche condizioni. Il modello finlandese è chiaramente inscritto nella nozione della “difesa totale” e mantiene una capillarità che lo rende uno dei pilastri della prontezza del Paese.
Per quanto riguarda Grecia, paesi baltici e scandinavi, vi sono convergenze e differenze. La Grecia conserva da lungo tempo un servizio obbligatorio per motivi strategico-geo-politici regionali. Lituania, Lettonia ed Estonia hanno tutte reintrodotto o rafforzato la leva nell’ultimo decennio come risposta diretta al peggioramento della situazione di sicurezza dopo il 2014, con i tre Stati baltici usano la leva anche come strumento per allargare la base riservistica nazionale. La Svezia, dopo avere sospeso la leva nel 2010, l’ha reattivata nel 2017 con una formula selettiva e formalmente estesa anche al genere femminile, mentre la Danimarca ha aggiornato le sue regole in chiave di ampliamento del bacino di reclutamento. In tutti questi casi, la leva è stata rimodulata per essere meno “universale” e più orientata a creare riserve addestrate e forze pronte in tempi brevi.
Paesi che hanno abolito la leva e oggi puntano a un modello volontario (e le eccezioni)
La maggior parte degli Stati membri dell’UE che dispongono di eserciti più grandi o di tradizione professionale (Germania, Spagna, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Polonia, Repubbliche centro-europee come Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Romania) si basano su reclutamento professionale volontario. Questi Paesi, tuttavia, non sono “indifferenti” al tema: di fronte a problemi di reclutamento e a esigenze di resilienza nazionale, hanno messo in campo misure alternative (come ampliamento delle riserve, incentivi economici, programmi di servizio civico o nazionale volontario, training estivo per civili e piani di mobilitazione) che rappresentano una soluzione intermedia fra leva generalizzata e pura professione. Francia e Germania, in particolare, negli ultimi mesi hanno varato o annunciato programmi di servizio nazionale volontario o misure robuste per rafforzare le riserve, senza però, al momento, ritornare alla coscrizione obbligatoria su scala nazionale. Sul piano politico questo riflette la complessità di reintrodurre obblighi diffusi in società in cui il servizio obbligatorio è assente da decenni.
Chi è tornato alla leva dopo averla abolita
Dal 2014 in poi si osserva una tendenza chiara: alcuni Stati che avevano sospeso o abolito la leva hanno deciso di reintegrare il servizio obbligatorio per ragioni di sicurezza. I casi più significativi sono la Lituania, che ha reintrodotto la leva nel 2015 in risposta al mutato quadro dopo l’annessione della Crimea; la Svezia, che ha riattivato formalmente la coscrizione nel 2017 dopo una sospensione di sette anni; la Lettonia, che nel 2023 ha reintrodotto una forma di servizio obbligatorio di undici mesi per gli uomini (con opzioni volontarie per le donne e percorsi alternativi nella Guardia Nazionale); e, più recentemente (2025), la Croazia, che ha deciso di ripristinare una forma di leva con cicli di addestramento brevi per le coorti nate dal 2007 in poi, con possibile alternativa civile per obiettori. Questi ritorni dimostrano come la minaccia percepita e le scelte di politica estera influenzino direttamente la struttura della difesa nazionale.
Nodi pratici: durata del servizio, selettività e inclusione di genere
A Cipro si parla ancora di termini intorno a 14 mesi per i richiamati maschi; in Estonia i cicli sono 8–11 mesi a seconda dell’intake e della qualifica; in Svezia il range formale va da 9 a 15 mesi per i diversi percorsi specialistici; in Austria la durata è inferiore ma integrata da obblighi di riserva. Molti Stati hanno scelto di applicare durate minori rispetto ai modelli storici per contenere costi sociali ed economici e favorire l’attrattività del servizio.
Ad oggi, diversi sistemi reintrodotti negli anni recenti sono “selettivi”: formalmente l’obbligo ricade sulla coorte, ma soltanto una quota (scelta tramite procedure di tirocinio, test o criterio di necessità delle forze armate) viene effettivamente chiamata in tempo di pace. Quello svedese è l’esempio più noto: è obbligatoria l’iscrizione e la chiamata, ma in pratica solo alcune migliaia sono effettive ogni anno. Anche i baltici usano selezioni mirate con meccanismi di lotteria o criteri professionali.
Riguardo al genere, la tendenza normativa ormai conosce diverse eccezioni e aperture. Svezia ha introdotto la coscrizione su base di parità di genere (la legge è neutra rispetto al sesso); la Finlandia consente arruolamento volontario femminile; altri Paesi stanno ampliando la partecipazione femminile o accettano volontarie con condizioni meno gravose. Recenti riforme, come quella cipriota del 2025, hanno formalmente aperto nuove possibilità di servizio per le donne in ruoli volontari. Queste modifiche hanno implicazioni pratiche (aumento del bacino di reclutamento) e simboliche (maggiore accettabilità sociale).
Implicazioni operative e geopolitiche
La reintroduzione o il mantenimento della leva ha effetti immediati su capacità di mobilitazione e su dimensione delle riserve; tuttavia, la sola esistenza della coscrizione non garantisce automaticamente efficacia operativa. Le esperienze nordiche e baltiche mostrano che per rendere credibile la leva occorrono investimenti continui in addestramento, infrastrutture, dotazioni e retention nella riserva. Inoltre, la leva reimpostata in forma selettiva genera meno costi politici ma richiede sistemi di identificazione dei bisogni e procedure amministrative più sofisticate. Sul piano geopolitico, Paesi con leva attiva o riattivata possono vantare una base riservistica più ampia e una maggiore capacità di “mobilitazione sociale”, ma restano esposti al rischio di dibattiti interni su equità, mercato del lavoro e costi pubblici. Analisti di politica di difesa avvertono inoltre che la leva non sostituisce la necessità di forze professionali altamente qualificate in settori tecnologici critici, dunque molti Paesi stanno sperimentando modelli ibridi.
Lo scenario 2014–2025 mostra tre tendenze chiare: prima, la normalizzazione dell’idea di reintrodurre o rafforzare la leva come strumento di policy nazionale in caso di peggioramento delle minacce; seconda, l’adozione di formule selettive e miste (per contenere costi e non perdere consenso sociale); terza, la sperimentazione di programmi volontari intensivi come alternativa politica, come dimostrano gli annunci recenti in Francia (servizio volontario esteso a scopi riservistici e di formazione civica). Se il quadro di sicurezza rimane teso, è ragionevole aspettarsi che altri Paesi dell’UE considerino opzioni ibride (addestramenti obbligatori brevi; “giornate di servizio” civili o militari; allargamento della riserva), piuttosto che un ritorno massiccio a una leva universale di lunga durata.
Stefano Lovi – PhD Candidate