GEODI – UNINT

Requiem for a dream.
Da Francesco a Leone: prime impressioni di una politica senza geografia

L’elezione di Leone XIV al munus petrinum dello scorso otto maggio è carica di simbolismo e di (meta-)significati, già a un livello ‘superficiale’ di analisi e che ne stimola sempre di ulteriori, seppur siano trascorse quasi tre settimane dal suo insediamento. Da una parte, cioè, il conclave ha così deliberato in una giornata – e un mese, quello mariano ‘per eccellenza’ – di fondamentale importanza per la religione cattolica; dall’altra, il nome scelto da Robert Francis Prevost si distanzia ‘concettualmente’ dal pontificato ‘frugale’ di Francesco.

“Frate Leone, agnello del Signore
Per quanto possa un frate
Parlare tanto bene
Da far capire i sordi”

(Perfetta Letizia)

 

 

L’elezione di Leone XIV al munus petrinum dello scorso otto maggio è carica di simbolismo e di (meta-)significati, già a un livello ‘superficiale’ di analisi e che ne stimola sempre di ulteriori, seppur siano trascorse quasi tre settimane dal suo insediamento. Da una parte, cioè, il conclave ha così deliberato in una giornata – e un mese, quello mariano ‘per eccellenza’ – di fondamentale importanza per la religione cattolica; dall’altra, il nome scelto da Robert Francis Prevost si distanzia ‘concettualmente’ dal pontificato ‘frugale’ di Francesco. Non anche idealmente, però. Se, infatti, una successione formale all’operato di Papa Bergoglio è sembrata allontanarsi dall’orizzonte di senso di una Chiesa ‘francescana’, non resta ai margini che Frate Leone, storicamente, sia ricordato come uno dei compagni, degli allievi e degli adepti più vicini e fedeli a San Francesco di Assisi. Una linea immaginaria di continuità, dunque, che non implica né sovrapposizione al modus di Francesco, né assimilazione nella sua figura tanto carismatica, quanto contesa. Pure piuttosto politicizzata – non sfuggirà. Di fatto, tale era la lacuna che nei giorni dell’elezione veniva addebitata all’allora cardinale Prevost: come dar seguito a un leader trasversale, interventista, terzomondista, amato, contestato e (forse) ineguagliato? Certo, un’eredità ingombrante che, giustamente, il neo-eletto pontefice ha scelto di non replicare pedissequamente, ma di re-inventare secondo le proprie direttrici ideologiche e teologiche. Peraltro, raramente un conclave ha registrato simili attenzioni e aspettative – finanche, forse, con tratti di trivializzazione – secondo uno schema che i mezzi di comunicazione e i social media incoraggiano da anni anche nella dialettica democratica, online come offline. Diluendo il ‘sacro’, ci si è allora concentrati su programmi, meccanismi di voto e procedure, mediante categorie del ‘politico’ mescolate, talvolta impropriamente, più che alla religione al corpus canonico (come, diversamente, accade per l’Islam e l’islamismo, invece). 

Spiccavano, nei commenti contestuali a quei giorni di attesa, richiami a un certo bipolarismo (e duopolio) in seno ai cardinali, tra ‘modernisti-progressisti’ e ‘tradizionalisti-conservatori’ (di nuovo, talvolta etichette approssimative pure nel mare magnum della teologia musulmana), lasciando ai margini gli aspetti soprattutto universalisti della Chiesa cattolica – meglio, delle religioni. Questo dice molto sulla rilevanza transazionale del consesso cardinalizio, non soltanto per una ‘sconfinata’ comunità di credenti, bensì caricandola di indebita attribuzione: è politica, ma teoricamente, senza geografia. Ciò non implica, comunque, che gli elettori del successore di Pietro non abbiano ‘ascoltato’ i richiami di un mondo profondamente trasformato dall’ultima riunione, sebbene si trovassero in ritiro e se-clusi cum clavis

Di fatto, come rilevato, la provenienza di Prevost aveva un peso più che (geo-)politico, il quale spostava le coordinate del discorso – e di senso – dalla vocazione universale della Chiesa a quella universalista (per alcuni, come sinonimo di imperialista) degli Stati Uniti. Non casualmente, di nuovo, l’informazione parlava di una sorta di ‘geopolitica dei cardinali’, espressione senz’altro azzardata, che faceva però riflettere su una (magari, impropria) ‘statalizzazione’ della religione, nel senso più lato di applicazione, a questa, di elementi e criteri pubblicistici, a fronte dell’assenza di confini derivante dell’impronta confessionale. A titolo esemplificativo, lo spettro di un euro-centrismo che Papa Francesco aveva cercato di allontanare sia nelle parole, sia nei fatti – nonché nella composizione stessa del conclave – sembrava porsi in primo piano nel favorire un cardinale statunitense. L’Occidente e il “resto”, di nuovo negletto e dietro le quinte, insieme con i subalterni e i ‘dimenticati’ che Bergoglio ha reso ‘primi’. Anche questa eventualità, a ben vedere, sarebbe già stata smentita, in virtù di due ordini di ragioni. Per un verso, l’elezione di Prevost è stata il frutto di un’assemblea plurale, che ha visto al suo interno meccanismi di ‘rappresentanza’ pluralista, nella sua composizione ‘rappresentativa’ di più voci, geografie, ideali, teologie e ideologie – grazie, appunto, anche alle riforme bergogliane. Per un altro, poi, l’elezione di Leone XIV ricorda dinamiche di ibridazione, sia per il lascito che (ac)coglie, sia per la possibilità di selezionare, con inventario, i livelli dell’eredità di Papa Francesco. Patrimonio pure culturale e geografico, questo, posto l’impegno dell’allora cardinale statunitense in America Latina. In effetti, anche il linguaggio è apparso misto: italiano, latino e spagnolo; ecumenico, asciutto e interreligioso. Un rinnovato richiamo all’azione pastorale della Chiesa, non necessariamente politicizzata, ma indubbiamente al di là dei confini, senza una geografia dominante, dei vincitori, ma con un’idea di giustizia dei e per i vinti.

Una profezia che si è autoavverata. Il cardinale la cui elezione appariva meno probabile è risultata, infine, la più plausibile, in un mondo multipolare che rimescola tutte le opzioni possibili, secondo scenari impensati e che si adatta, resiliente, a dinamiche inaspettate. Secondo una sorta di ‘teoria dei giochi’, cioè, una scelta strategica e razionale, per il Sovrano della Città del Vaticano, è emersa come punto di equilibrio e ‘massimizzazione’ dei risultati. Serviva una mediazione tra il prima e il dopo, una “memoria dal futuro” che non ignorasse il nocciolo fondamentale della dogmatica cristiana, ma che fosse parimenti in grado di ri-scrivere, nel lungo termine, il più che decennale impegno di Francesco. 

Non è la fine di un sogno. “Scrivi, Frate Leone”, come suggerì San Francesco al suo privilegiato amico. 

Scrivi. Giacché gli scenari sono ancora tutti aperti.

 

Giovanna Spanò, Borsista di Ricerca, Unipi.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

Università degli Studi Internazionali di Roma - UNINT

Via Cristoforo Colombo, 200 - 00147 Roma | C.F. 97136680580 | P.I. 05639791002 | Codice SDI: M5UXCR1 | Mail: geodi@unint.eu