Iran, la rete spezzata: censura digitale e nuova proiezione geopolitica dopo la guerra dei 12 giorni
- 24 Ottobre 2025
A quattro mesi dalla breve guerra con Israele, la Repubblica Islamica non ha ancora ristabilito una normale connettività interna. Lo rivela il New York Times, spiegando come il blackout imposto durante i dodici giorni di conflitto – giustificato da Teheran come misura per «impedire infiltrazioni nemiche» – sia diventato una costante politica. Velocità ridotte, disturbi al GPS e divieto di utilizzare connessioni satellitari come Starlink disegnano una nuova forma di chiusura tecnologica.
Nel reportage di Sanam Mahoozi ed Erika Solomon si legge la testimonianza di Abbas, settantunenne uomo d’affari di Karaj, che racconta di essersi perso cercando un amico in città: «Ho guidato in tondo per ore», afferma, chiedendo l’anonimato per timore di ritorsioni. «Tutti si sentono persi». La sua voce riflette lo smarrimento di milioni di iraniani, confinati in un Paese che ha scelto di scollegarsi dal mondo.
Il blackout, iniziato il 17 giugno 2025 in concomitanza con gli attacchi israeliani, ha ridotto il traffico Internet del 97%. Secondo TechCrunch, si è trattato del calo più drastico dai disordini del 2022, scoppiati dopo la morte di Mahsa Amini, quando le autorità avevano risposto alle proteste con chiusure mirate della rete. Dopo 62 ore di blackout totale, la connessione era stata parzialmente ripristinata, come riferisce IranWire ma in forma limitata e sotto sorveglianza.
La rete come nuova frontiera del controllo
Le autorità iraniane avevano già sperimentato il controllo del cyberspazio mesi prima. Ad aprile, Reuters riferiva che Teheran aveva respinto «un grave attacco informatico» contro le infrastrutture statali, attribuito a hacker legati a Israele. L’episodio ha offerto al regime la giustificazione per rafforzare le proprie difese digitali e ampliare la sorveglianza.
Il ministero delle Comunicazioni ha dichiarato che il blocco del GPS serviva a «impedire l’uso dei droni israeliani», mentre l’agenzia Tasnim, vicina ai Guardiani della Rivoluzione, lo ha descritto come una «necessità di difesa nazionale». Tuttavia, la misura è stata estesa ben oltre la guerra.
Un’inchiesta di Wired ha ricostruito l’introduzione di un sistema di “Internet a livelli”, che garantisce connessioni rapide solo a imprese, istituzioni e giornalisti accreditati, relegando la popolazione a un cyberspazio lento e filtrato. È l’evoluzione della rete nazionale iraniana, infrastruttura avviata nel 2011 e oggi pienamente operativa. The Verge aggiunge che, nel pieno del blackout, le autorità hanno invitato i cittadini a disinstallare WhatsApp, accusato di essere «uno strumento di spionaggio israeliano».
Secondo Amir Rashidi, analista del Miaan Group, «l’obiettivo dell’Iran, da decenni, è isolare la popolazione su una rete domestica controllata». La “sicurezza informativa” diventa così un dispositivo politico: più che una barriera difensiva, un metodo di governo.
L’isolamento internazionale e l’economia in apnea
Alla stretta digitale si è aggiunto, tra agosto e settembre, un isolamento diplomatico senza precedenti. Il 28 agosto 2025, Francia, Germania e Regno Unito hanno attivato il meccanismo di snapback previsto dalla risoluzione ONU 2231, reintroducendo le sanzioni internazionali sul programma nucleare iraniano. Il provvedimento è entrato in vigore ufficialmente il 28 settembre 2025, come confermato dal Dipartimento di Stato americano.
Le conseguenze economiche sono immediate. Aziende iraniane hanno denunciato l’impossibilità di utilizzare piattaforme digitali per transazioni e logistica, tornando a sistemi manuali di contabilità, come riportato da IranWire. L’autarchia tecnologica, concepita come “resistenza economica”, accentua invece la sfiducia e aggrava la stagnazione.
Dal cyberspazio al Levante: l’Iran si richiude per proiettarsi fuori
Il Guardian aveva già sottolineato come il blackout offrisse a Teheran l’occasione per consolidare un modello di governance tecnologica più chiuso, «sul modello cinese». Ma la battaglia digitale si intreccia con la ridefinizione della postura geopolitica iraniana.
Dopo il cessate il fuoco israelo-palestinese mediato da Washington e dal Cairo, continua lo scambio di accuse tra Israele e Hamas sulle violazioni dell’accordo e la riapertura del valico di Rafah. Nello stesso contesto, l’avvio della “seconda fase” del piano americano per Gaza sembra ancora priva di garanzie sul disarmo e sui tempi di ritiro israeliano.
Un dirigente di Hamas, intervistato da Reuters, ha ribadito che il movimento «non può impegnarsi ora al disarmo», confermando contemporaneamente l’analisi di Foreign Affairs e del Soufan Center, secondo cui Hamas tende a riorganizzarsi e a ricostituire le proprie capacità militari con l’aiuto iraniano.
Per Teheran, il controllo dello spazio digitale interno e la gestione calibrata dell’influenza regionale sono due aspetti della stessa strategia: ridurre la permeabilità domestica per massimizzare la libertà d’azione all’esterno.
Un equilibrio tra oscurità interna e ambizione regionale
Nell’autunno 2025, l’Iran appare come un Paese che stringe il proprio spazio digitale per limitare le vulnerabilità interne e, nello stesso tempo, riafferma la propria presenza nel Levante. La rete spezzata non è un effetto collaterale della guerra di giugno, ma il pilastro politico di una strategia di sopravvivenza: meno trasparenza in patria, maggiore iniziativa all’esterno. In un Medio Oriente che tenta di riscrivere le proprie regole dopo Gaza, Teheran scommette sull’opacità come forma di resilienza strategica.
Alessio Zattolo – PhD Student