ONU ai margini? Le nuove sfide in Medio Oriente tra BRICS e influenza russa
- 28 Ottobre 2024
In occasione del 79° anniversario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), il Segretario Generale António Guterres ha scelto di partecipare, il 24 ottobre 2024, al 16° vertice dei BRICS – il summit dei capi di Stato, tra gli altri, di Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa. A margine dell’incontro tenutosi a Kazan, e definito dal Cremlino «il più grande evento di politica estera mai organizzato nel Paese», Guterres ha incontrato il Presidente russo Vladimir Putin, che ha colto l’opportunità per proporsi come mediatore nel conflitto tra Israele e Hamas. Mentre la Russia cerca di rafforzare la propria influenza in Medio Oriente, l’ONU appare sempre più marginale, un attore istituzionale i cui obiettivi di pace e stabilità nella regione sembrano ormai un ideale lontano dalla realtà sul terreno.
Il ruolo dell’ONU nelle questioni mediorientali, dalle tensioni a Gaza alla fragile situazione in Libano, si è gradualmente affievolito. Oggi l’organizzazione internazionale istituita a San Francisco in seguito all’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, il 25 ottobre del 1945, sembra relegata al ruolo di mero spettatore. In particolare, di fronte all’escalation tra Israele e Hamas, i Caschi Blu hanno dimostrato di non avere gli strumenti per esercitare un’efficace pressione diplomatica. Nella Striscia di Gaza, la risposta è stata debole, priva di un piano concreto di intervento per la tutela dei civili o di mediazione per una tregua stabile. L’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) ha sottolineato la gravità della crisi umanitaria, riportando che oltre il 70% della popolazione palestinese ha bisogno di assistenza urgente. Tuttavia, le restrizioni imposte dai due belligeranti, che controllano rispettivamente i confini e le risorse all’interno della Striscia, hanno ostacolato gli sforzi dell’ONU.
Anche in Libano la presenza delle Nazioni Unite si limita a missioni di peacekeeping poco incisive, prive di una strategia coordinata per affrontare l’instabilità generata dalle storiche tensioni tra gli Hezbollah filoiraniani e lo Stato ebraico. Dal 1978, infatti, i Caschi Blu operano nella regione meridionale del Paese dei Cedri, compresa tra la Linea Blu – la “linea di ritiro” al confine con Israele, fissata nel 2000 – e il fiume Litani. E lo fanno principalmente attraverso la Forza di Interposizione delle Nazioni Unite (UNIFIL), creata nel pieno della guerra civile libanese e incaricata di monitorare la smobilitazione dell’esercito israeliano, di coordinare il disarmo del “Partito di Dio” e assistere il Governo a ripristinare la sua effettiva autorità nella zona. Ma il Libano, che arriva a questo nuovo tornante drammatico della sua storia senza un Presidente e senza un esecutivo nella pienezza delle funzioni, è tecnicamente uno Stato fallito da quando, il 9 marzo 2020, il primo ministro allora in carica, Hassan Diab, dichiarò di fatto il default sovrano. Inoltre, nonostante la presenza dei Caschi Blu – il cui attuale mandato è stabilito dalla risoluzione 1701, approvata dal Consiglio di Sicurezza nel 2006 – le violazioni della Linea Blu e gli episodi di violenza persistono. Gli attacchi deliberati contro le postazioni ONU delle ultime settimane da parte delle forze israeliane evidenziano ampiamente i limiti di UNIFIL, la cui missione è ufficialmente fallita perché “non ha adempiuto al suo mandato”. Lo ha recentemente certificato, tra gli altri, anche l’ex direttore del Dipartimento informazioni per la sicurezza (DIS), Giampiero Massolo.
Per quanto riguarda ancora il vertice del Sud globale a Kazan, la presenza di nazioni mediorientali di rilievo, quali l’Arabia Saudita, l’Egitto e l’Iran, rivela come queste medio-potenze stiano cercando alternative superiori se non soverchianti alla tradizionale mediazione ONU, sfidando il regime di governance globale dominato dall’Occidente. Mentre i BRICS propongono una cooperazione economica e politica più vicina agli interessi regionali, le Nazioni Unite continuano a essere percepite come distanti, inefficaci, e incapaci di rispondere a bisogni di stabilità diversificati. Il tentativo della Russia di proporre un percorso alternativo di negoziazione non solo evidenzia il vuoto di leadership lasciato dall’ONU, ma sottolinea anche una realtà geopolitica in cui Mosca si propone come mediatore in competizione con le istituzioni tradizionali. Duplice l’obiettivo emerso durante i lavori del vertice sotto la presidenza di turno russa: lavorare alla realizzazione di un nuovo “ordine globale democratico” e uscire dalla “dollarizzazione” del sistema internazionale.
Le sfide istituzionali di una Organizzazione che sembra non avere risposte concrete per conflitti complessi come quelli mediorientali vengono illustrate nell’analisi “Can the United Nations be Saved?” di Thant Mynt-U, pubblicata su Foreign Affairs. La crisi di efficacia dell’ONU in questi scenari non è solo una questione di mancanza di volontà politica, ma anche di strumenti operativi inadeguati, suggerisce l’autore, che dal 2000 al 2006 ha prestato servizio presso il Segretariato delle Nazioni Unite a New York e, prima ancora, in missioni di peace keeping in Cambogia e nell’ex Jugoslavia. Secondo Mynt-U, l’incapacità di esercitare una pressione significativa nei negoziati di pace o di proteggere le popolazioni civili in aree di crisi mette in luce una profonda frattura tra l’ideale di un’organizzazione globale forte e la sua realtà operativa.
Il vertice di Kazan ha avuto anche una valenza geopolitica economica non trascurabile. Secondo i dati della piattaforma Statista, dal 2018 le economie in via di sviluppo, misurate in termini di PIL globale a parità di potere d’acquisto, hanno superato quelle dei Paesi del G7 di almeno 5 punti percentuali, consolidando un trend di crescita. Questo dato è ancora più significativo se contestualizzato con l’incremento demografico degli Stati membri e dei Paesi in lizza per l’adesione, prefigurando potenziali trasformazioni globali che vanno oltre la sfera economica e potrebbero ridisegnare equilibri internazionali ritenuti fino a poco tempo fa immutabili.
In tale contesto, per le Nazioni Unite, il futuro pare a un bivio: restare una presenza marginale nelle crisi del Medio Oriente, rischiando di perdere ulteriore legittimità, o ripensare radicalmente il proprio ruolo e le strategie per tornare a essere un attore rilevante. Il mondo multipolare che sta emergendo impone all’ONU non solo di adattarsi, ma di evolvere per rappresentare meglio le necessità di una regione centrale per la stabilità globale. Riconoscere la portata di questa sfida è il primo passo per evitare che il declino della propria influenza diventi definitivo.
Alessio Zattolo -PhD student