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L’opportunismo cinese sui «fronti caldi». Il caso del Mar Rosso

Mentre i ribelli Houthi continuano il loro assalto al traffico marittimo e dei flussi energetici nel Mar Rosso, l’escalation militare rappresenta una nuova significativa sfida per le aspirazioni della Cina di emergere come mediatore o arbitro di primo piano in Medio Oriente, mettendo alla prova le ambizioni geopolitiche di Pechino.

Gli attacchi a una delle rotte via mare più importanti del mondo hanno sconvolto il commercio globale e alimentato i timori di un più ampio conflitto regionale, a quasi quattro mesi dall’inizio delle ostilità nella Striscia di Gaza tra Israele e Hamas, dopo l’attacco del 7 ottobre. Finora, la risposta pubblica cinese alla crisi si è limitata alle richieste di porre fine alle azioni di disturbo contro le navi civili, e alle critiche velate ai raid guidati dagli Stati Uniti a largo dello Yemen, che secondo gli analisti sono state ben al di sotto delle aspirazioni di pace e stabilità auspicate in politica estera del presidente Xi Jinping. Il precario “equilibrismo diplomatico” della Cina sul nuovo «fronte caldo» delle tensioni mediorientali getta una pesante ombra sulla sua immagine di potenza globale responsabile. In assenza di una posizione proattiva da parte di Pechino, non mostrando alcun interesse a finire direttamente coinvolta nella crisi, gli Stati Uniti hanno sollecitato il rivale asiatico a fare pressione sull’Iran – che addestra, finanzia ed equipaggia gli Houthi – affinché la teocrazia islamica prema a propria volta sugli Ansar Allah, o Partigiani di Dio (questo il loro nome formale), e li convinca a frenare il tiro missilistico al bersaglio contro la flotta internazionale di navi portacontainer e petroliere.

La posta in gioco è alta per la Cina, la più grande nazione commerciale al mondo. La maggior parte delle esportazioni cinesi destinate all’Europa vengono spedite tramite il Mar Rosso, mentre decine di milioni di tonnellate di petrolio e minerali transitano attraverso il corso d’acqua per raggiungere i porti della Repubblica popolare.

Senza considerare la portata della sfida diplomatica per il leader cinese Xi Jinping, che negli ultimi anni ha promesso di “contribuire con la saggezza cinese alla promozione della pace e della tranquillità in Medio Oriente” come parte della sua iniziativa di offrire un’alternativa all’attuale ordine di sicurezza globale guidato dall’Occidente. Da novembre 2023, sono stati oltre 30 gli attacchi sferrati dagli Houthi, allineati con l’Iran, con missili e droni lanciati dallo Yemen contro navi cargo in transito nel Mar Rosso, in quello che i leader del movimento sciita affermano essere un atto di solidarietà con il popolo palestinese e di condanna contro l’eccessiva reazione israeliana a Gaza. Sebbene l’obiettivo dichiarato siano le imbarcazioni degli alleati di Israele, tuttavia, sono stati riportati diversi attacchi a cargo che battono bandiera di Paesi occidentali senza alcun collegamento con Tel Aviv.

Per settimane, la risposta di Pechino è stata tipicamente cauta e contenuta. “Tutte le parti interessate dovrebbero assicurare la libertà di navigazione nel Mar Rosso”, ha ripetuto il Ministero degli Esteri cinese, Wang Yi. In seguito a nuove sollecitazioni da Washington, avanzate dal consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e dal segretario di Stato Antony J. Blinken, la Cina ha rinvigorito la sua posizione, affermando che “interferenze alle navi civili” dovrebbero finire. Oggi, mentre Stati Uniti e Gran Bretagna lanciano attacchi aerei per impedire ai ribelli Houthi di attaccare le navi in transito, le autorità cinesi hanno sparato un paio di puntualizzazioni critiche contro l’Occidente: “le parti coinvolte dovrebbero evitare di gettare benzina sul fuoco, visto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non ha mai autorizzato l’uso della forza in Yemen”. In una seconda precisazione polemica verso gli USA, i cinesi hanno ricordato che la crisi è una “manifestazione” del conflitto a Gaza, esprimendo la “necessità di raggiungere un immediato e completo cessate il fuoco” nella Striscia assediata e bombardata da Israele.

Dall’inizio della guerra Israele-Hamas, la Cina si è proposta come campione del Sud  Globale, esprimendo sostegno alla causa palestinese, criticando Israele e la Casa Bianca per la crisi umanitaria nella Striscia, respingendo la coalizione anti-Houthi a guida USA nel Mar Rosso. Risulta chiaro che la riluttanza di Pechino a operare concretamente per garantire la stabilità nel Mar Rosso e difendere il regime di navigazione internazionale rifletta questi calcoli geopolitici. Mentre le grandi compagnie di navigazione corrono ai ripari, dirottando i loro cargo verso il Capo di Buona speranza in Sudafrica – con inevitabile allungamento dei tempi e dei costi – la Lloyd’s List Intelligence di Londra ha rivelato che le compagnie cinesi puntano sui porti minacciati dagli Houthi, alle prese con pronunciati cali dei volumi di traffico, per servire il Mar Rosso e il Canale di Suez attraverso gli scali di Doraleh in Gibuti, Hodeida in Yemen e Gedda in Arabia Saudita.

La strategia di Pechino nel Mar Rosso si inserisce in un contesto più ampio di opportunismo cinese sui «fronti caldi» del mondo, con cui il Dragone – seppur in buona (anzi cattiva) compagnia – cerca di trarre vantaggio dalle tensioni che coinvolgono i suoi rivali o concorrenti. La prova più scoperta è quella della crisi in Ucraina, dove la Cina ha approfittato delle sanzioni occidentali nei confronti di Mosca, alla disperata ricerca di nuovi acquirenti, per stringere accordi commerciali ed energetici con la Russia, che secondo gli ultimi dati doganali cinesi, nel 2023, ha superato l’Arabia Saudita per diventare il maggiore fornitore di petrolio a buon mercato della Repubblica popolare. Il volume del greggio russo spedito in Cina è aumentato del 24% nel 2023, a 107,02 milioni di tonnellate, rispetto al 2022. Mentre, nello stesso anno, Riyadh ha spedito 85,96 tonnellate di petrolio greggio in Cina, in calo del 2% rispetto all’anno precedente. Gli sconti sul petrolio russo hanno aiutato Pechino a ridurre le bollette energetiche. Nonostante un aumento dell’11% del volume complessivo delle importazioni di greggio, anche dall’Arabia Saudita e dall’Iraq, la spesa cinese totale per gli acquisti di petrolio è effettivamente diminuita del 7,7% nel 2023 a 337,5 miliardi di dollari rispetto al 2022, hanno mostrato i dati dell’Amministrazione generale delle dogane.

Allo stesso modo, la percentuale di portacontainer battenti bandiera cinese nel Mar Rosso è cresciuta dal 15% al 28% nel 2024. Gli analisti del Financial Times hanno definito quello della Cina come un tentativo di sfruttare la percepita immunità alle imboscate degli Houthi, beneficiando dei prezzi maggiorati per il passaggio su una «rotta calda», forti del buon rapporto tra Xi Jinping e il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei – probabilmente il principale patron del movimento islamista yemenita. Un gioco remunerativo, al quale partecipano compagnie di navigazione minori che sostengono di godere della protezione iraniana, ma comunque non privo di contraddizioni e rischi. Citando fonti persiane, Reuters ha riferito che i funzionari cinesi si sono recentemente impegnati in numerosi incontri con le loro controparti in iraniane, esortandoli a fare leva su Sana’a per tenere a freno gli Houthi, con il rischio di danneggiare altrimenti le relazioni commerciali con Pechino.

Anche se gli Houthi hanno dichiarato di non voler prendere di mira navi cinesi o russe, gli interessi di Pechino sono stati comunque minacciati dalla crisi. Come molte compagnie di navigazione globali, i colossi cinesi come COSCO hanno deviato dal Mar Rosso, allungando di un paio di settimane i tempi del viaggio dalla Cina all’Europa, causando ritardi nelle consegne e un aumento significativo dei costi di spedizione. 

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La minaccia asimmetrica Houthi: una chiave per capire il presente

Il Mar Rosso si è nuovamente trasformato in un teatro di tensioni che da mesi a questa parte disturbano i sonni di non poche leadership mondiali. Arteria vitale per il fluido scorrimento di circa il 15% del traffico marittimo internazionale, le sue acque meridionali sono interessate da un nuovo tipo di conflitto, nel quale un’entità ibrida a metà tra uno Stato ed una milizia sfida l’ordine talassocratico imposto dalla potenza militare americana.

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La sottile trama del potere in Medio Oriente

Nell’intricato intarsio geopolitico del Mediterraneo Allargato, gli accadimenti recenti in Medio Oriente hanno evidenziato i sottili e spesso invisibili fili del power network che collegano tutti i “punti caldi” della regione. Dalle elezioni iraniane al revival dell’Asse della Resistenza nel conflitto di Gaza all’insurrezione Houthi nel Mar Rosso, questi avvenimenti rivelano l’interazione sfumata di forze che modellano le complesse e spesso contrastanti dinamiche di potere in gioco.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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