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Indonesia: 5 buone ragioni per tenere d’occhio le elezioni

Il 14 febbraio 2024,  in Indonesia si sono svolte simultaneamente le elezioni presidenziali, regionali ed amministrative a vari livelli, le quinte dal 1998, con la fine della dittatura nel 1998. Il voto ha mobilitato oltre 200 milioni di aventi diritto sui 276 milioni di abitanti di quella che è la quarta nazione più popolosa al mondo e sede della più grande popolazione musulmana a livello globale

L’ufficialità dei risultati si avrà solo entro il 20 marzo, il termine per gli scrutini della commissione elettorale. Ma non sembra in discussione l’entità della vittoria per l’attuale ministro della Difesa, Prabowo Subianto, in una corsa a tre con Anies Baswedan, ex governatore di Jakarta sostenuto dai partiti islamici intransigenti, e Ganjar Pranowo, ex governatore del Java Centrale ed esponente del Partito Democratico Indonesiano di Lotta (PDI-P) – lo stesso del presidente uscente, Joko “Jokowi” Widodo, alla fine del suo secondo mandato e non più ricandidabile costituzionalmente. In linea con le prime proiezioni, quasi il 60% dei suffragi sarebbe andato all’imprenditore e ministro che aveva già tentato di farsi eleggere, senza successo, nel 2014 e, di nuovo, nel 2019, sfidando il popolarissimo Jokowi. Un dato che questa volta gli assicurerebbe la vittoria già al primo turno, dal momento che i due ex governatori sono dati entrambi al 20% ciascuno con leggere oscillazioni in favore dell’uno o dell’altro.

Classe 1951, Prabowo ha fatto carriera in un corpo d’élite, le forze speciali Kopassus dell’esercito indonesiano, tra il 1976 e il 1998, ai tempi della trentennale dittatura del suocero Suharto (soprannominato lo “sterminatore di comunisti”), salito al potere con un sanguinoso colpo di Stato appoggiato dalla CIA, nel 1967. Sull’ex generale pesano accuse di gravi violazioni dei diritti umani (all’epoca del suo comando) nella repressione degli indipendentisti a Papua e, soprattutto, a Timor Est, la riottosa ex colonia lusitana che Suharto ha invaso dopo la Rivoluzione dei garofani portoghese che le aveva concesso la libertà. La prospettiva di un’amministrazione Prabowo, in ticket con Gibran Rakabuming Raka – il primogenito di Jokowi – che il padre ha nominato come vice di quel che un tempo era il suo acerrimo nemico, godendo ora del pieno appoggio del Presidente,  ha sollevato i timori tra gli analisti politici di una svolta dinastico-autoritaria per la giovane democrazia indonesiana. Alla luce di una tendenza politica sempre più diffusa nel Sud-est asiatico, in Thailandia come nelle Filippine

Ecco, quindi, cinque motivi per cui la comunità internazionale dovrebbe guardare con attenzione a queste elezioni in Indonesia.

  1. È il più grande Stato arcipelagico del mondo. Tra gli antipodi delle circa 17.500 isole indonesiane, sparse per oltre 5.000 km tra l’Oceano Indiano e il Pacifico, corre la stessa distanza che si estende tra l’Irlanda del Nord e il Turkmenistan. La sua intricata geografia ha incoraggiato il boom dei servizi digitali. Giacarta, la capitale, è diventata un centro globale per le tecnologie verdi e hi-tech, ai confini del Sud-est asiatico marittimo. Quasi quattro quinti degli indonesiani possiede uno smartphone, connettendo il Paese come mai prima d’ora. Nell’ultimo decennio, l’agenda di Jokowi, ispirata dalla convivenza tra welfare state e una gestione cautamente liberista, ha permesso numerosi sviluppi infrastrutturali – aeroporti, porti, dighe, autostrade – molti finanziati dall Cina, posizionando saldamente l’economia del Paese sul radar degli investitori internazionali e in prima linea nella transizione energetica mondiale. Il suo progetto più ambizioso è stato il proposto trasferimento della capitale Giacarta, che potrebbe essere sommersa al 95% entro il 2050, ad una remota località nel Borneo orientale. La controversa impresa da 32 miliardi di dollari spetterà ora al suo successore.
  2. Rappresenta un ambitissimo mercato di consumo. Questo in forza di una demografia (276 milioni di abitanti) che colloca l’Indonesia al quarto posto su scala globale. Ed è giovane: il 25% della popolazione ha meno di 15 anni e solo il 7% ha più di 65 anni. Con una media del 77% nelle ultime quattro tornate presidenziali, l’arcipelago indonesiano vanta una delle più alte affluenze elettorali al mondo. Considerata la terza democrazia al mondo in ordine di grandezza (dopo India e Usa) e la più grande nazione musulmana “moderata”, gli esiti del processo elettorale, dunque, rappresentano un test della tenuta di queste definizioni contro la polarizzazione ideologica e religiosa, la violenza politica e l’influenza dei poteri militari, considerando l’effetto contagio che potrebbe avere sulle altre nazioni dell’ASEAN.
  3. È la più grande economia del Sud-est asiatico, nonché un membro del G20. Sotto la presidenza di Jokowi, il rendimento dell’Indonesia è cresciuto del +5% annuo, eccetto che nel biennio 2020-2021 durante la pandemia da Covid-19. È il sesto mercato emergente più grande per PIL ed il suo PIL pro capite supera quello di India e Vietnam, a parità di potere d’acquisto – con una una classe media di quasi 50 milioni di persone che potrebbe triplicare entro il 2040. Se dovesse mantenere questo trend positivo per i prossimi decenni, l’Indonesia potrebbe diventare una delle dieci maggiori economie del mondo. Ma restano grandi sfide per il successore di Jokowi. Per prima cosa, la crescita è stata variabile. Il PIL pro capite di Jakarta è salito a circa 19.000 dollari nel 2022. Nella provincia vicina dello Java centrale, è rimasta inferiore a 3.000 dollari. Alcune isole lontane sono ancora più povere. E l’ex ministro indonesiano delle Finanze, Chatib Basri, avverte che in futuro, per evitare di rimanere impantanata ai livelli dei Paesi a medio reddito, l’economia del Paese dovrebbe crescere a un tasso del 6-7%.
  4. Ha una straordinaria abbondanza di materie prime. Nel giro di un decennio, Jokowi ha investito strategicamente nell’industria delle terre rare, proiettando l’Indonesia,  rispettivamente, in prima e seconda posizione mondiale per l’estrazione di nichel e cobalto, tra i componenti più importanti per lo sviluppo di produzioni ad alto tasso tecnologico: in primis, le batterie per veicoli elettrici e i sistemi di accumulo di energia rinnovabile Nel 2019, Jokowi ha vietato le esportazioni di alcuni minerali critici, spingendo le multinazionali a costruire raffinerie a livello locale, una politica nota come “downstreaming”. E la Cina si è accaparrata una posizione favorevole per la loro estrazione nell’immenso arcipelago del Sud-Est asiatico. L’Indonesia dispone altresì di ingenti e ancora parzialmente inesplorati giacimenti di idrocarburi, i quali, contribuiscono per oltre un decimo alla ricchezza nazionale. 
  5. L’importanza strategica nella competizione tra superpotenze. Gli investimenti sono arrivati sia dagli Stati Uniti che dalla Cina, anche se la Repubblica popolare ha capitalizzato molto di più. L’erede di Jokowi dovrà affrontare due sfide. In primo luogo, se la rivalità sino-americana dovesse intensificarsi, dazi o sanzioni potrebbero colpire le aziende cinesi da cui dipende l’Indonesia. In secondo luogo, sebbene il downstreaming possa essere vantaggioso per l’industria arcipelagica del nichel – che da sola copre oltre il 25% della domanda globale – tuttavia, potrebbe rivelarsi controproducente in altri settori. Specificamente, lo sviluppo nel settore dell’energia solare in Indonesia è stato ostacolato dalle disposizioni governative dopo il 2019 – parte di una strategia per la gestione nazionale della supply chain sostenibile. Al contrario, Malesia, Thailandia e Vietnam, che impongono meno restrizioni agli investitori stranieri, rappresentano destinazioni più attraenti per le aziende che desiderano delocalizzare le proprie catene di approvvigionamento lontano dalla Cina.


Chiunque si trasferisca nel palazzo presidenziale indonesiano contribuirà a determinare se il Paese sarà all’altezza del suo enorme potenziale.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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