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La radicalizzazione online e la propaganda antioccidentale nei network jihadisti

La recente escalation del conflitto arabo-israeliano mette in difficoltà il vecchio continente non solo per quanto riguarda la compattezza politica dell’Unione, che fatica a convergere sulla pausa umanitaria necessaria per supportare le popolazioni colpite, ma anche in termini di destabilizzazione sociale, politica, e religiosa. È altamente probabile che lo stato di allerta per il pericolo terroristico in Europa si tradurrà in un irrigidimento delle politiche migratorie e in forme di polarizzazione sociale ed etnica suscettibili di alimentare fenomeni di radicalizzazione ed episodi di terrorismo

Per i network jihadisti la campagna militare di Israele contro Hamas è una preziosa opportunità per destabilizzare le società europee, ad esempio, tornando a sensibilizzare le comunità musulmane sulla “causa palestinese”. In tal senso, si assiste ad una massiccia mobilitazione mediatica per la diffusione di propaganda anti-israeliana e anti-occidentale. In Europa torna lo spettro dell’antisemitismo, sul quale convergono pericolosamente le correnti dell’estrema destra e dell’Islam radicale. In alcune moschee italiane proliferano le dichiarazioni di solidarietà verso il popolo di Gaza e non mancano le manifestazioni di espresso sostegno a Hamas, da una minoranza di musulmani considerato un movimento di liberazione dal giogo

Stante la progressiva marginalizzazione delle moschee quali luoghi di radicalizzazione e indottrinamento, gli ambienti più sensibili per la minaccia jihadista sono quelli digitali. Come dimostrato dalla cronaca di questi giorni, è spesso “online” che avviene il superamento della soglia di punibilità che consente alle autorità di intervenire. Tale soglia, emanazione del garantismo della democrazia costituzionale, è abbastanza generosa da consentire a soggetti radicalizzati di apportare il proprio contributo alla sponsorizzazione mediatica causa jihadista per molto tempo prima di essere individuati e, soprattutto, prima di poter essere sanzionati. 

Nell’immediato interesse dei cluster terroristici sparsi in Europa e in Medio Oriente, prima ancora dell’indottrinamento e dell’arruolamento di nuovi combattenti, c’è l’alimentazione dell’“atmosfera” jihadista globale da cui ogni potenziale jihadista può ricavare l’input che innesca il passaggio all’azione. Tale atmosfera, inoltre, conferisce all’apparato jihadista la capacità di sopravvivere alle battute di arresto sul campo, come ha insegnato l’esperienza dello Stato Islamico. Per tali ragioni, gli sviluppi che hanno luogo nella sfera digitale devono essere oggetto della massima attenzione. I trend relativi alle condivisioni e ai like sui social, infatti rappresentano la cartina di tornasole dell’umore generale sui temi caldi, nonché una spia di eventuali comportamenti eversivi di stampo terroristico. L’intolleranza antisemita che dilaga online, ma anche nelle strade, a poche settimane dall’offensiva di Hamas ai danni di Tel Aviv rende opportuno un approfondimento sulla fotografia data dalla cronaca degli ultimi giorni sull’antisemitismo in Europa. Inoltre, merita particolare attenzione un luogo – le carceri italiane – in cui, pur essendo vietati i cellulari e quindi limitata la libera connessione a internet, il radicalismo riesce a fare proseliti.

 

Il dilagare dell’antisemitismo dopo l’attacco di Hamas a Israele, in Italia e nel mondo

Nel mese successivo all’attacco di Hamas a Israele ci sono state manifestazioni di odio antisemita nelle università americane, tanto che la Casa Bianca ha mobilitato esperti di cybersecurity per contenere il fenomeno (aumentato del 388% dopo il 7 ottobre). 

A Berlino è stata lanciata una bomba molotov contro una sinagoga ebraica e sono apparse svastiche sui cimiteri ebraici e sui muri di città; a Vienna è stata incendiata la sezione ebraica del cimitero centrale della capitale austriaca.

Stesso problema in Francia: a Lione è stata accoltellata una donna ebrea e a Parigi sono state disegnate in blu le stelle di David sulle abitazioni di ebrei e sulle banche. Raffigurazioni preoccupanti che appaiono anche in Italia, ove ci sono stati diversi altri episodi di antisemitismo, in particolare a Milano, Bologna e Roma: sono state prima imbrattate le pietre d’inciampo, sono state ritrovate scritte antisemite in bagni pubblici e sono stati vandalizzati i manifesti con i volti degli ostaggi israeliani. In cinque democrazie stabili, forti, convinte l’odio antisemita non sembra affatto debellato.

Queste notizie sembrano una sconfitta culturale, in particolare nello Stivale, dopo oltre vent’anni dall’istituzione della Giornata della Memoria. La legge n° 211 del 2000 è volta testualmente “a conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.

Il diffondersi di manifestazioni antisemite preoccupa Sami Modiano, 93 anni, rastrellato a Rodi dai nazisti, internato a Birkenau, sopravvissuto, che dal 2000 porta la sua testimonianza alle giovani generazioni.

Tatiana Bucci, un’altra sopravvissuta ai campi di sterminio ancora in vita, afferma: “L’antisemitismo non è mai finito – ha aggiunto – Esiste da quando esistiamo noi ebrei”.

La vicepresidente della Comunità ebraica di Roma Antonella Di Castro sostiene: “Il passato torna con ferocia e ancora una volta ritroviamo ebrei massacrati solo per il fatto di essere ebrei”. Le stesse preoccupazioni sono espresse da Lia Levi, scrittrice ultranovantenne scampata al rastrellamento di Roma e alla Shoah perché la madre la nascose in un convento.

Israele è stato accusato di essere una democrazia limitata, di praticare l’apartheid nei confronti dei Palestinesi della Striscia di Gaza, e da ultimo, di aver violato il diritto umanitario nella risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre; ma le manifestazioni di antisemitismo riportate dalla cronaca sembrano avere radici ben più lontane, che hanno semplicemente sfruttato l’occasione per venire alla luce.

A ottobre, mentre Israele blocca acqua ed elettricità a Gaza, esplode la rabbia nelle piazze arabe. Cortei dal Cairo ad Amman, da Giakarta a Skopije.

L’Italia a livello politico si dichiara subito al fianco di Israele, in quanto Stato attaccato, al quale però chiede di non attuare vendette e di rispettare i diritti umani. 

A livello sociale contemporaneamente si svolgono manifestazioni di segno opposto nella Penisola: le proteste simboliche a Roma (tavole con 201 sedie vuote, tra cui ci sono molti seggioloni, che rappresentano gli adulti e i bambini sequestrati da Hamas per chiedere il rilascio degli ostaggi) e numerosi cortei pro Palestina, con slogan molto aggressivi nei confronti di Israele, a Roma e in particolare a Milano.

Dopo, gli atti vandalici antisemiti di cui si è detto all’inizio, si manifestano sia a Parigi che a Roma, e poi a Lione, Berlino e Vienna, mentre negli atenei americani gli studenti ebrei si sentono isolati a fronte di molte manifestazioni per la Palestina libera.

Lo Yad Vashem, il Museo della Shoah a Gerusalemme, fa appello “ai leader politici, culturali, religiosi e accademici di tutto il mondo a dichiarare guerra all’antisemitismo”.

Interpellato, Papa Bergoglio ha spiegato che l’antisemitismo “purtroppo rimane nascosto” ma “purtroppo, non è passato”.

Crescono le critiche in Germania contro Fridays for Future per le posizioni dell’organizzazione internazionale e dell’attivista Greta Thunberg sul conflitto tra Israele e Hamas.

Il presidente del Consiglio centrale degli Ebrei in Germania, Josef Schuster, ha invitato gli attivisti tedeschi di Fridays for Future a prendere le distanze dall’organizzazione internazionale, “cambiando il nome” 

In un post social, Fff Germania si è già distanziato dall’organizzazione internazionale, dicendo che sulla questione “non parla per noi”. Per molti la risposta del gruppo tedesco è però insufficiente.    

 

Il rischio radicalizzazione di matrice islamica nelle carceri dopo l’attacco di Hamas a Israele

Per cercare di comprendere il fenomeno del radicalismo nelle carceri, si deve in primo luogo considerare che gli istituti di pena sono microcosmi che in parte riproducono ed in parte esasperano le contraddizioni della società.

In secondo luogo, questi luoghi sono spesso contenitori di disperazione; parte della popolazione detenuta viene da situazioni di abbandono, povertà e disperazione, terreno ideale di coltura per tutte le forme di indottrinamento.

Ma se da un lato le carceri vanno monitorate per motivi di sicurezza, per evitare che diventino luoghi di proselitismo del radicalismo islamico, dall’altro lato è necessario non sottovalutare che sono gli obiettivi ideali per stragi simboliche, perché un carcere è un luogo da cui, proprio per motivi di sicurezza, è difficilissimo scappare.

Molti Paesi europei ed extra europei si ispirano al sistema italiano di contrasto del radicalismo, caratterizzato da collaborazione interistituzionale e circolarità delle informazioni, in particolare tra il NIC – Nucleo Investigativo Centrale del Corpo di Polizia penitenziaria- e la Polizia di Stato.

Sono previsti diversi livelli di osservazione di persone detenute, a seconda degli indici di rischio radicalizzazione, e c’è un flusso d’informazioni dalle carceri, per ottenere chiavi di lettura importanti e adeguare prassi operative in materia di radicalizzazione e proselitismo di matrice islamica.

Proprio di questi giorni è l’allarme lanciato attraverso la stampa da parte dei sindacati di polizia penitenziaria sul fatto che sono sempre più numerosi i detenuti di fede islamica che in carcere inneggiano agli attentati e mostrano odio verso l’Occidente. 

Sono circa 500 i detenuti su cui si è alzato il livello di attenzione e sono circa 50 le persone incarcerate con l’accusa di terrorismo internazionale nelle sezioni di alta sicurezza (il circuito AS2 loro riservato si trova in particolare nelle carceri di Rossano, Sassari e Nuoro). 

SERENY (Strengthening approaches for the prevention of youth radicalisation in prison and probation settings) è un progetto biennale di ricerca cofinanziato dal Programma Giustizia dell’Unione Europea, portato avanti da studiosi provenienti da Austria, Italia, Slovenia, Spagna, Albania, Francia e Belgio per la prevenzione della radicalizzazione giovanile nelle carceri. 

Il programma si concentra sui giovani adulti vulnerabili e a rischio: l’obiettivo è identificare i punti deboli delle legislazioni nazionali, le necessità formative del personale, la divulgazione di strumenti e programmi e lo scambio di buone prassi.

Pochi giorni fa, alla domanda del quotidiano Avvenire– se conflitto fra Israele e Hamas può dare linfa alla galassia jihadista- il pm d’Ambruoso, esperto di antiterrorismo, fra i primi a indagare su Al Qaeda 25 anni fa, risponde: «Storicamente, la questione palestinese è da decenni fra le motivazioni alla base della radicalizzazione e del terrorismo islamista. Certo, la recrudescenza violenta del conflitto può fare da potente innesco». 

Le democrazie sono vulnerabili. Proprio dal loro interno, dalle loro carceri, dai luoghi in cui paradossalmente c’è più controllo, più limitazione della libertà personale. Ma anche più rabbia e disperazione. 

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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