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Iran: la strada in salita del riformatore Massoud Pezeshkian

L’Iran ha un nuovo presidente. Settant’anni a settembre, il cardiochirurgo e parlamentare che chiede “relazioni costruttive” con Washington e i Paesi europei per “far uscire il Paese dal suo isolamento”, ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali di venerdì 5 luglio 2024, davanti all’ultraconservatore Saïd Jalili, 58 anni. Ma il candidato neo eletto resta “sorvegliato speciale” nel campo dei sostenitori della linea dura del regime di Teheran.

L’Iran ha un nuovo presidente. Settant’anni a settembre, il cardiochirurgo e parlamentare che chiede “relazioni costruttive” con Washington e i Paesi europei per “far uscire il Paese dal suo isolamento”, ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali di venerdì 5 luglio 2024, davanti all’ultraconservatore Saïd Jalili, 58 anni. Ma il candidato neo eletto resta “sorvegliato speciale” nel campo dei sostenitori della linea dura del regime di Teheran. 

 

Pezeschkian, ex ministro della Sanità, è il terzo presidente del campo riformista nella storia recente della Repubblica islamica. E sa quali difficoltà lo attendono. “Non lasciatemi da solo” ha chiesto il medico di origine azera sulla piattaforma social X, ancora vietata in Iran.

 

Dal 1997 al 2005, è stato il  religioso moderato Mohammad Khatami a suscitare speranze di cambiamento, tradite dopo una stagione di insoddisfacenti riforme in senso democratico, per una maggiore inclusione di tutti gli iraniani nei processi decisionali. Dal 2013 al 2021, l’elezione di Hassan Rouhani, avvocato della Sharia, prospettava un cammino gestito di graduale apertura liberale del regime. Sotto la sua presidenza, l’Iran ha ottenuto la firma dell’accordo nucleare con l’Occidente, formalmente noto come Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), che ha innescato un temporaneo boom economico principalmente grazie alla fine dell’embargo petrolifero dell’Unione europea.  Ma Il fallimento di questa moderata esperienza gradualista, rimasta sulla carta, si misurò nei moti popolari del 2017, prima, e del 2019, poi, in una contestazione generale delle classi politiche contro le misure di austerity (eliminati i sussidi al carburante e ai generi di prima necessità) che avevano riacceso l’esasperazione popolare. Le istanze di cambiamento, soprattutto per l’obbligo di portare il velo, rimaste a bassa intensità per circa un biennio, hanno dovuto fare i conti poi con l’aspra repressione su scala nazionale delle contestazioni, l’ultima nel settembre 2022, scaturita dalla morte della giovane curda Mahsa Amini per non aver rispettato il rigido codice di abbigliamento. Lo stesso codice che il 69enne medico di Tabriz, nella recente campagna elettorale, ha promesso di voler riformare per migliorare la vita degli iraniani.

 

Scarsa affluenza alle urne

 

Per certi versi sembra un déjà vu, ecco perché molti iraniani non credono nei cambiamenti sostanziali. Al primo turno delle presidenziali del 28 giugno, che hanno sancito la spaccatura del fronte conservatore, ha votato solo il 40% degli oltre 60 milioni di elettori: il dato più basso dalla rivoluzione islamica del 1979. Al ballottaggio di venerdì tra Pezeshkian e l’oltranzista Saïd Jalili, ex capo negoziatore nucleare, la percentuale è salita al 50%. In un tentativo di sostenere la partecipazione al voto, la chiusura delle urne è stata posticipata dalle 18 a mezzanotte. “Abbiamo un cammino difficile davanti a noi”, ha detto Pezeschkian dopo la vittoria con poco meno del 54% delle preferenze. Sono stati sufficienti 16,4 milioni di voti, contro i 13,5 di Jalili. Lo ha riferito la Tv di Stato iraniana (IRINN) nella mattinata di sabato 6 luglio. Pezeschkian, quindi, è riuscito a motivare solo parzialmente gli elettori orientati alle riforme, dovendo gran parte del suo successo al boicottaggio elettorale di molti iraniani conservatori. Anche i sostenitori del regime clericale e del suo sistema ideologico di governo, infatti, sono frustrati dalla crisi economica provocata dalle sanzioni internazionali, dalla corruzione e dallo spreco di denaro pubblico, soprattutto per finanziare milizie e proiezione militare all’estero.

 

Il leader rivoluzionario al vertice dei poteri

 

Il 19 maggio scorso, dopo la morte in un incidente aereo del presidente Ebrahim Raisi, in pole position per prendere il posto dell’ormai anziana e malata Guida suprema, con l’approssimarsi della conclusione della sua lunga carriera, l’ayatollah Ali Khamenei avrebbe indubbiamente preferito un successore conservatore alla presidenza per stabilizzare la Repubblica islamica. Nel contesto di un delicato equilibrio tra le diverse generazioni del potere religioso e di quello militare, c’è più di una ragione per credere che la massima autorità politica e spirituale dell’Iran abbia permesso la  candidatura di un riformista alle elezioni per stimolare una partecipazione alle urne altrimenti precaria. Questo è evidenziato dal fatto che Khamenei ha offerto a Pezeshkian  “alcuni indispensabili consigli” dopo le elezioni, come riportato dai media statali. 

 

Nonostante un possibile rinnovato interesse degli iraniani per la politica del loro Paese, è importante ricordare che le decisioni riguardanti la politica estera e nucleare, così come quelle relative alla guerra e alla pace, rimangono prerogative della Guida suprema. Questo limita il potere degli organi eletti, come la Presidenza e il Parlamento, in cui gli ultraradicali sono per altro maggioritari. Aspettarsi cambiamenti fondamentali in Iran sarebbe dunque una pia illusione. In qualità di presidente, Pezeschkian può allentare le normative vigenti, come l’obbligo del velo per le donne e le restrizioni per le minoranze etniche, o promuovere il pluralismo dell’informazione su Internet. Riguardo ai diritti civili, paradossalmente, è stato Mostafa Pourmohammadi, l’unico candidato religioso, a mostrarsi il più aperto durante la campagna elettorale. Ma ora Pezeshkian dovrà anche lui aprire. Il candidato neo eletto dovrà portare avanti la linea del negoziato sul nucleare, puntare a ridurre le sanzioni internazionali e risollevare l’economia iraniana dalla crisi, ma mostrandosi forte verso l’Occidente. Tuttavia, sarà Khamenei, decisore ultimo ma non unico, a delineare il perimetro per qualsiasi nuova iniziativa, con il consenso dei Pasdaran. Ma il vero ago della bilancia tra i vari poteri sarà il Consiglio supremo per la Difesa nazionale, dove sono rappresentate tutte le componenti. In tema di politica estera e di sicurezza, l’Iran continua a non avere interesse in una guerra tra Israele e il client non statuale di Hezbollah. Rischierebbe la guerra civile in Libano.



Assumerà l’incarico ad agosto

 

Le probabilità che ciò accada sono buone. La guida suprema Ali Khamenei è preoccupato perché il sostegno al sistema teocratico si sta sgretolando anche nei circoli conservatori, come evidenziato dall’ultima tornata elettorale, sia nel primo turno di votazione che nel turno di ballottaggio La cocente sconfitta di Mohammad Bagher Ghalibaf, figura di spicco e particolarmente carismatica, ha prodotto un effetto a catena: dovendo scegliere tra un riformista e un ultraconservatore, parte dei “principalisti” – la coalizione più moderata nella sfera dei conservatori – ha pensato evidentemente che il male minore fosse votare il primo. Pertanto, la leadership del regime teocratico può tollerare cambiamenti limitati. Pezeschkian ha ora poche settimane per mettere insieme una squadra e un programma di governo. A causa delle imminenti festività nazionali e annessa sospensione delle attività parlamentari, è probabile che il suo insediamento slitterà a fine luglio o inizio agosto. Quando la luna di miele politica sarà finita, il nuovo Presidente rimarrà sotto stretta osservazione da parte di Khamenei e dei sostenitori della linea dura in Parlamento, nella Magistratura e nelle fila delle Guardie della Rivoluzione.

 

Alessio Zattolo – PhD Student

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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