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Sinwar è morto, ma uno Stato palestinese sembra più distante che mai

L’uccisione di Yahya Sinwar, leader di Hamas, ha alimentato speranze nell’amministrazione Biden di poter avvicinare la creazione di uno Stato palestinese. Tuttavia, questo obiettivo sembra più lontano che mai: a Gaza regnano morte e devastazione, manca una guida palestinese solida e Israele è ancora scossa dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Il tutto nonostante Biden auspichi una tregua temporanea a Gaza e il ritorno degli ostaggi israeliani, aprendo la strada a negoziati per una soluzione a due Stati.

Non sembrano esserci speranze, allo stato attuale, per una soluzione a due Stati della crisi in Medioriente. È quanto riporta Steven Erlanger in un suo recente articolo per il New York Times,  “Sinwar Is Dead, but a Palestinian State Seems More Distant Than Ever”.

L’uccisione di Yahya Sinwar, leader di Hamas, ha alimentato speranze nell’amministrazione Biden di poter avvicinare la creazione di uno Stato palestinese. Tuttavia, questo obiettivo sembra più lontano che mai: a Gaza regnano morte e devastazione, manca una guida palestinese solida e Israele è ancora scossa dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. Il tutto nonostante Biden auspichi una tregua temporanea a Gaza e il ritorno degli ostaggi israeliani, aprendo la strada a negoziati per una soluzione a due Stati.

Intanto, il primo ministro israeliano Netanyahu ha promesso di continuare la guerra, opponendo la soluzione a due Stati. Mkhaimar Abusada, studioso di Gaza e professore ospite alla Northwestern University, ha ribadito come la creazione di uno Stato palestinese non sia nell’agenda dell’attuale governo israeliano, fermamente convinto che ciò minerebbe la sicurezza di Tel Aviv. 

La debolezza dell’Autorità Palestinese, estromessa da Gaza da Hamas nel 2007 e che controlla solo una parte della Cisgiordania, è rimarcata dal fatto che è vista dai palestinesi come corrotta e inefficace. I poteri che le erano stati affidati in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza in base agli accordi di Oslo del 1990 non sembrano più sufficienti a stabilirne l’autorità effettiva. 

Negli ultimi anni, la speranza di una soluzione a due Stati tra Israele e Palestina si è affievolita, ma dopo l’attacco del 7 ottobre e la reazione israeliana su Gaza, Stati Uniti, Europa e alcuni Paesi mediorientali hanno rilanciato l’idea come unica via per una pace duratura. Tuttavia, anche se Netanyahu cambiasse strategia, la leadership palestinese frammentata e debole, unita alla crescente radicalizzazione di Hamas, rappresenta un grave ostacolo. Mouin Rabbani osserva che la spinta occidentale per la soluzione a due Stati ignora queste complessità, fungendo da “paravento” per evitare di affrontare i cambiamenti concreti sul campo.

L’espansione degli insediamenti israeliani e le incursioni in Cisgiordania complicano ulteriormente la possibilità di una soluzione a due Stati, vista con scetticismo dai palestinesi. L’indebolimento di Hamas potrebbe influire sulla politica palestinese, ma il gruppo mantiene la capacità di bloccare accordi sgraditi. Intanto, funzionari internazionali valutano la nomina di Salam Fayyad per guidare la ricostruzione di Gaza, sebbene l’anziano e impopolare leader dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, sembri determinato a mantenere il potere. 

L’eventuale nomina di Salam Fayyad come primo ministro potrebbe attrarre miliardi in aiuti dagli Stati arabi e guadagnare sostegno tra gli abitanti di Gaza, nonostante Israele voglia mantenere il controllo sui confini. Tuttavia, Ali Jarbawi teme che i palestinesi vedano Fayyad come un rappresentante degli interessi americani e degli Emirati.

Altri analisti notano che l’influenza esterna sulla politica palestinese da parte di attori come Iran, Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Stati Uniti e Israele ha aumentato il cosiddetto settarismo, minando l’unità palestinese. Inoltre, la popolarità di Hamas tra i palestinesi, specialmente in Cisgiordania, rende le sue posizioni sempre più difficili da ignorare per Mahmoud Abbas e il suo governo.

Aaron David Miller, ex negoziatore statunitense per il Medio Oriente al Carnegie Endowment, ha affermato che le divergenze tra Israele e palestinesi riguardo a un accordo per una soluzione a due Stati non si sono ridotte dal suo ultimo tentativo di negoziazione al vertice di Camp David nel 2000. Egli ha descritto le differenze come ampie quanto il Grand Canyon e ha avvertito che i traumi del 7 ottobre e le sofferenze dei palestinesi renderanno estremamente difficile trovare spazio per un’azione audace. 

 

Stefano Lovi – PhD Candidate

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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