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La strategia asimmetrica dell’Iran e il rischio di escalation in Libano

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile la Repubblica Islamica dell’Iran ha condotto il più grande attacco dronico mai registrato contro lo Stato di Israele. L’operazione, denominata “Promessa sincera”, ha visto l’impiego di 170 droni, 120 missili balistici e almeno 30 missili guidati e costituisce il primo attacco diretto della Repubblica islamica contro Israele dalla rivoluzione khomeinista del 1979. L’operazione è stata condotta come risposta all’attacco aereo israeliano del 1° aprile contro l’ambasciata iraniana in Siria, nella quale sarebbero deceduti 13 funzionari.

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile la Repubblica Islamica dell’Iran ha condotto il più grande attacco dronico mai registrato contro lo Stato di Israele. L’operazione, denominata “Promessa sincera”, ha visto l’impiego di 170 droni, 120 missili balistici e almeno 30 missili guidati e costituisce il primo attacco diretto della Repubblica islamica contro Israele dalla rivoluzione khomeinista del 1979. 

L’operazione è stata condotta come risposta all’attacco aereo israeliano del 1° aprile contro l’ambasciata iraniana in Siria, nella quale sarebbero deceduti 13 funzionari. Questa forma di rappresaglia, o “retaliation”, aveva il duplice obiettivo di colpire gli aeroporti da cui sarebbero decollati i velivoli coinvolti nell’attacco all’ambasciata e di riaffermare il rango di potenza regionale dell’Iran. Infatti, benché l’attacco sia stato rivendicato da Teheran nonché preannunciato dagli stessi iraniani a funzionari statunitensi per mezzo di intermediari svizzeri, la conduzione dell’operazione ha coinvolto la quasi totalità dei proxy iraniani nella regione mediorientale. 

Il lancio di vettori balistici e velivoli a pilotaggio remoto (UAV) verso il territorio di Israele e delle alture del Golan occupato, coordinato dall’ Islamic Revolutionary Guard Corp (IRGC), ha visto la partecipazione della Resistenza islamica in Iraq, della milizia yemenita degli Houti e dell’organizzazione sciita Hezbollah in Libano. L’attacco, condotto da molteplici direzioni e su molteplici obiettivi, ha messo sotto sforzo il perimetro stratificato di difesa aerea di Israele che, benché sostenga di aver intercettato il 99% degli obiettivi, si è visto supportare dalle aeronautiche di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Giordania per far fronte allo sbarramento. 

L’intera operazione, oltre a testare la capacità di saturazione del sistema di difesa aereo israeliano, ha dimostrato come l’Iran abbia accresciuto le sue capacità di coordinamento dei propri satelliti in una regione apparentemente incapace di trovare uno stabile equilibrio geopolitico. Il cosiddetto “Asse della resistenza” rappresenta la strategia di lungo periodo dell’Iran, inaugurata all’indomani dell’invasione dell’Iraq del 2003, per sovvertire la presa occidentale, statunitense in particolare, sulla regione. Su di un modello che ricorda le satrapie del fu Impero Sasanide, l’Iran punta a estendere la propria influenza in Medio Oriente e nel Levante mediante una rete di vassalli e satelliti che, foraggiati e coordinati da Teheran, possano erodere l’influenza occidentale e minacciare gli interessi vitali dei principali rivali regionali, principalmente Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. 

Questa strategia asimmetrica di logoramento, resasi necessaria dall’impari confronto sul piano delle forze convenzionali tra l’Iran e i suoi rivali, si impernia sulle funzioni di addestramento e coordinamento portate avanti dalla Forza Quds, la branca dell’IRGC deputata alla conduzione di operazioni speciali e ibride al di fuori dei confini nazionali. Proprio alla Forza Quds, a cui apparterrebbero i funzionari morti nell’attacco in Siria del 1 aprile, spetta la gestione logistica e operativa della rete di proxy iraniani, la quale ormai da tempo non si limita più alle formazioni esclusivamente sciite ma, come testimoniato dal supporto ad Hamas, coinvolge ora anche gruppi sunniti. 

Benché un’immediata risposta israeliana sia stata evitata, grazie alle pressioni americane nella notte tra 13 e 14 aprile, il rischio di escalation regionale tra Tel Aviv e Teheran rimane elevato, specialmente nel caso del sempre più annunciato attacco diretto di Israele a Hezbollah sulla Blue Line. Uno scontro diretto con le forze di Hezbollah, meglio addestrate, meglio equipaggiate e sensibilmente più numerose negli effettivi rispetto a Hamas, potrebbe porre le forze armate israeliane di fronte a non poche difficoltà. La guerra a Gaza ha dimostrato come l’esercito israeliano, pensato per misurarsi con altre forze convenzionali, abbia avuto difficoltà nel confrontarsi con capacità asimmetriche in contesti di guerriglia. Lo scontro diretto con Hezbollah potrebbe coinvolgere maggiormente l’Iran il quale, benché non interessato a un confronto diretto con Israele, potrebbe dispiegare il suo intero ventaglio di capacità asimmetriche, comprensive di proxy, agitatori e armamenti aerei ammassati per saturare le capacità di difesa aerea delle infrastrutture critiche israeliane e delle aree più densamente popolate nel Nord del paese. 

In questa prospettiva, l’attacco del 13 aprile rappresenterebbe al contempo un avvertimento e una prova generale di una possibile massive retaliation indiretta che miri a imporre costi materiali non accettabili da parte dell’opinione pubblica israeliana e implicazioni di instabilità regionale inammissibili da parte degli Stati Uniti, il cui disimpegno dalla regione si fa ogni giorno più concreto e il cui principale imperativo strategico rimane il contenimento cinese nel quadrante Indo-Pacifico.

Riccardo Leoni, laureato magistrale in Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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