GEODI – UNINT

Tunisia: al via la campagna elettorale per le presidenziali all’insegna dell’incertezza

In Tunisia è iniziata lo scorso fine settimana la campagna elettorale per le presidenziali. La competizione, prevista per il 6 ottobre 2024, vedrà concorrere tre candidati, mentre il Tribunale amministrativo ordinerà all’Alta Autorità Indipendente per le Elezioni (ISIE) di accettare almeno uno dei tre candidati esclusi nella Corte elettorale, Monder Zenaidi. Sullo sfondo di una crisi politica pluriennale, Kais Saïed, dal suo colpo di Stato “costituzionale” del 25 luglio 2021, ha lavorato per instaurare un regime autoritario dopo il fallimento della transizione democratica avviata nel 2011. Mentre gran parte dell’opposizione sperava di utilizzare il voto per chiedere un cambiamento reale, il regime sembra determinato a garantire la vittoria del suo “uomo forte”, anche se questo comporta degli effetti collaterali sulla democrazia.

 

Contesto politico

 

La presidenza di Kais Saïed, docente di Diritto costituzionale poco conosciuto, è iniziata con il trionfo alle urne nel 2019, complice la morte, a poche settimane dalla fine del suo mandato, del presidente democraticamente eletto Beji Caid Essebsi. Lo slancio della rivoluzione che nel 2011 aveva rovesciato il regime di Zine El-Abidine Ben Ali ha ceduto il passo ad una combinazione di sfiducia verso l’establishment politico, incapace di farsi interprete delle aspirazioni al cambiamento dei più giovani, e fronteggiare l’aggravarsi del malcontento sociale di ampi strati della popolazione. 

 

Il 25 luglio 2021, mentre in Tunisia era in corso una grave crisi economica e di salute pubblica causata dall’epidemia COVID-19, il neo eletto al Palazzo di Cartagine ha invocato l’articolo 80 della Costituzione, che garantisce al Presidente poteri eccezionali “in caso di pericolo imminente”, proclamando lo stato di eccezione. Dapprima ha congelato il Parlamento, per poi scioglierlo pochi mesi dopo. L’anno successivo, in seguito al referendum del 25 luglio 2022, la Tunisia ha formalmente adottato una nuova Costituzione che, unitamente alla riforma elettorale approvata nel settembre 2022, segna una sterzata della forma di governo in chiave iper-presidenzialista e dai tratti fortemente autoritari. L’11 febbraio 2023 le autorità tunisine hanno lanciato un’ondata di arresti preventivi contro uomini politici, giornalisti, attivisti, giudici e imprenditori, accusati di cospirare contro la sicurezza dello Stato e associazione a delinquere di stampo terroristico. Rischiano fino alla pena di morte. 

 

Nel mirino dei critici c’è anche il Decreto 54, il cui scopo teorico è quello di combattere le false informazioni e la criminalità informatica, ma che viene effettivamente utilizzato come strumento dalle autorità per mettere a tacere qualsiasi voce dissenziente. Ancora decine di membri di Ennahda – il principale partito islamista di opposizione, al potere nel decennio di transizione democratica – sono stati incriminati prima dell’inizio formale della campagna elettorale. I nuovi arresti si aggiungono alla lunga lista di attivisti del partito incarcerati e processati in vari casi che vanno dal riciclaggio di denaro all’associazione a delinquere. Il leader storico della coalizione, Rached Ghannouchi, è in carcere con accuse di “apologia del terrorismo” e finanziamento estero illegale.

 

Nei tre anni successivi al colpo di Stato del 2021, Kais Saïed ha istituito un nuovo sistema parlamentare bicamerale. Le elezioni legislative e locali sono state ampiamente boicottate dall’opposizione con tassi di astensione record vicini al 90%. Sebbene il Presidente abbia goduto di una certa popolarità tra i tunisini dopo il colpo di Stato, la scarsa affluenza dimostra una certa fragilità nel sostegno popolare su cui il ‘Rais’ ha fatto affidamento per portare avanti le sue riforme. Misurare la sua vera popolarità oggi è difficile, soprattutto in ragione del divieto di qualsiasi forma di pubblicità politica nei media e pubblicazione dei sondaggi durante la campagna elettorale. In un contesto teso di preparazione al voto del prossimo 6 ottobre, le elezioni presidenziali dell’ottobre 2024 rappresentano la prima opportunità su larga scala per testare l’adesione dei tunisini al Presidente e al suo progetto politico. Tuttavia, il regime non sembra disposto a rischiare la sconfitta e ha fatto tutto il possibile per mettere Kais Saïed in una posizione in cui la vittoria sarebbe quasi certa.



Candidati di successo

 

Sebbene alcuni membri dell’opposizione, come il Partito dei Lavoratori di Hamma Hammami, abbiano deciso fin dall’inizio di boicottare le elezioni, diciassette tra loro hanno presentato ufficialmente il proprio dossier di candidatura prima della scadenza del 6 agosto. Solo tre di questi sono stati accettati dalla ‘ISIE:

 

Ayachi Zammel: Uomo d’affari ed ex deputato eletto nel 2019 nelle liste del partito Tahya Tounes, formato dall’ex capo del governo Youssef Chahed. Il 27 giugno 2022, ha fondato il suo partito politico, “Azimoun”. Poco noto al pubblico, il suo discorso si concentra su questioni economiche e sociali. Di orientamento liberale, si presenta come un democratico convinto. Ha annunciato il suo sostegno a tutti i prigionieri politici e di coscienza, affermando il suo impegno per la libertà di espressione e di stampa, nonché per la separazione dei poteri. Lo slogan della sua campagna è “Voltare pagina”. Sebbene non abbia attaccato frontalmente il Presidente della Repubblica e abbia assunto posizioni piuttosto timide sulle restrizioni delle libertà e sugli arresti politici, è visto come un candidato in grado di stringere alleanze con le varie forze di opposizione.

 

Zouhair Maghzaoui: Segretario generale del partito nazionalista arabo “Movimento Popolare”, è stato tra le file dei sostenitori del colpo di Stato del 25 luglio e dell’intero processo di instaurazione del nuovo regime politico. In particolare, ha chiesto di votare “sì” al referendum per la nuova Costituzione nel 2022. Tuttavia, a partire dal 2023, ha a preso le distanze da Kais Saïed, in particolare dopo la bassa affluenza alle elezioni legislative. Il suo partito ha rifiutato di partecipare alle elezioni locali del dicembre 2023. Nei suoi discorsi di campagna elettorale, ha insistito sulla necessità di proteggere la libertà di espressione, in particolare con l’abrogazione del Decreto 54, criticando il regime su molti punti, tra cui la mancanza di trasparenza negli accordi con l’Italia della Presidente Giorgia Meloni sulle questioni migratorie. Non appena sono stati annunciati i candidati (e gli esclusi) alla presidenza, ha deciso di attaccare frontalmente Saïed, compiendo così una svolta di 180°, ma le sue posizioni iniziali di sostegno al colpo di Stato suggeriscono che sarà molto difficile per lui stringere alleanze con l’opposizione.

 

Kais Saïed: Il Presidente in carica. Dopo la sua elezione nel 2019 al secondo turno contro Nabil Karoui, dove ha ottenuto oltre il 70% dei voti grazie alla sua posizione anti-corruzione, ha organizzato un colpo di Stato nel 2021 per assumere tutti i poteri e instaurare un nuovo regime politico. Candidato populista, ha costruito il suo discorso sulla divisione tra la vecchia classe politica, che aveva occupato la scena durante il decennio di transizione democratica, e il popolo, che desiderava rappresentare. Il suo mandato è stato caratterizzato da restrizioni delle libertà e dal ritorno a una forma di autoritarismo. Il suo bilancio economico e sociale è piuttosto debole, poiché la situazione ha continuato a deteriorarsi durante il suo mandato. Tuttavia, la sua retorica populista anti-migranti e le accuse di cospirazione e tradimento nei confronti dei suoi avversari fanno sì che goda ancora di un sostanziale sostegno popolare. Nei suoi discorsi ripete costantemente che la Tunisia è nel mezzo di una “guerra di liberazione nazionale”.

 

Un processo elettorale antidemocratico

 

La presenza di soli tre candidati alle presidenziali, e il rifiuto di numerose figure credibili, mette in discussione la legittimità del processo elettorale. L’intera opposizione, dagli islamisti alla sinistra e alla famiglia Destour, ha denunciato il contesto antidemocratico in cui si svolgono queste elezioni. È stato lo stesso Saïed a nominare i membri della ISIE, il che mette in discussione la sua indipendenza di fatto dall’esecutivo. Questo è stato uno degli argomenti principali che ha spinto i partiti tradizionali dell’opposizione a boicottare le precedenti elezioni tenutesi sotto la presidenza di Kais Saïed.

 

Inoltre, la maggior parte dei principali leader politici dei principali partiti di opposizione sono in carcere. Tra gli altri, Abir Moussi, presidente del Parti Destourien Libre, in carcere dall’ottobre 2023; Ghazi Chaouachi, ex segretario generale del Courant Démocratique, e Issam Chebbi, presidente del partito Al Joumhouri, entrambi di orientamento socialdemocratico, in carcere dal febbraio 2023. Anche la pressione sui media è aumentata. Nel maggio 2024, l’avvocato e opinionista televisiva Sonia Dahmani è stata arrestata per aver detto in televisione che la Tunisia “non è un buon posto in cui vivere”. Altri due giornalisti, Mourad Zeghidi e Borhene Bsaies, sono stati arrestati nella stessa settimana per commenti fatti in onda. 

 

Una corsa presidenziale piena di insidie

 

Molto prima della data ufficiale, diversi candidati hanno annunciato la loro intenzione di candidarsi alle elezioni. È il caso di Lotfi Mraihi, leader del partito Union Populaire Républicaine, che è arrivato settimo alle elezioni del 2019 con il 6,56% dei voti e si è opposto a Kais Saïeddal colpo di Stato del 25 luglio 2021. Ha annunciato la sua candidatura nell’aprile 2024, ma è stato arrestato a luglio e condannato a otto mesi di carcere e all’ineleggibilità a vita. Lo stesso vale per Safi Saïd, giornalista e scrittore del movimento nazionalista arabo, che si è candidato nel 2019 e ha ottenuto il 7,4% dei voti, e che si è opposto al Presidente della Repubblica. Nel giugno 2024, ha ricevuto una condanna a quattro mesi di carcere in contumacia, prima di tentare di fuggire in Algeria in agosto, per poi essere arrestato al confine e ricevere una condanna a tre mesi di carcere con sospensione.

 

Questi due casi, tra gli altri, testimoniano un clima politico in cui l’attuale regime vuole dissuadere gli oppositori dal candidarsi. Tuttavia, diversi aspiranti hanno deciso di partecipare alla corsa non appena è stata annunciata la data delle elezioni, anche se la maggior parte non è stata in grado di superare gli ostacoli posti per inserire il proprio nome nella scheda elettorale. La legge stabilisce delle condizioni di eleggibilità, alcune difficili da soddisfare. Tra queste, due hanno ricevuto una grande attenzione da parte dei media. Prima, la necessità di ottenere il Bollettino n°3 (un estratto del casellario giudiziario) per i candidati , che in molti casi hanno ricevuto risposte negative, o nessuna risposta. Seconda, la necessità di raccogliere complesse sponsorizzazioni, da 10 deputati dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo o del Consiglio Nazionale delle Regioni e dei Distretti, o da 40 presidenti di autorità locali, o da 10.000 elettori iscritti nelle liste elettorali in almeno 10 circoscrizioni con almeno 500 elettori.

Alessio Zattolo – PhD student

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

Università degli Studi Internazionali di Roma - UNINT

Via Cristoforo Colombo, 200 - 00147 Roma | C.F. 97136680580 | P.I. 05639791002 | Codice SDI: M5UXCR1 | Mail: geodi@unint.eu