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India e Cina: ecco perché la prima cresce e la seconda declina

La “crisi della democrazia” è un cliché del nostro tempo. 

Sebbene si assista ad un indebolimento dei sistemi democratici a livello globale (come evidenziato dal Report 2023 dell’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale – IDEA, basato su più di 100 variabili legate a questioni politiche tra cui rappresentanza, diritti, stato di diritto e partecipazione), la crisi endemica nella quale versano le autocrazie è, in termini di confronto, molto più grave. 

Nel quadrante asiatico, la dialettica tra India e Cina esemplifica questo concetto. 

Pechino sta, dal 2020, affrontando una serie di problematiche interne di notevole caratura (gestione del Covid e della fase post-pandemica, crisi del sistema pensionistico e, ultimo ma non per questo meno importante, una contrazione economica sempre maggiore). Ciò condanna il trasferimento, da parte di Xi Jinping, di priorità dalla crescita economica al potere politico, consolidando il controllo del governo sull’economia. 

La Cina è oggi di fronte al “problema dei tre corpi” (romanzo dello scrittore cinese Liu Xing): raggiungere il primato geopolitico (obiettivo ultimo della leadership cinese) richiede una crescita economica più forte, che tuttavia minaccia la presa del partito sul potere. Il rafforzamento del controllo autocratico del PCC indebolisce l’economia, minando le ambizioni geopolitiche. E il perseguimento totale di obiettivi geopolitici potrebbe innescare un conflitto con gli Stati Uniti, con conseguenze devastanti sia per l’economia cinese che per il PCC. 

Il 2023 si è rivelato essere l’anno dell’India. 

L’ordine mondiale multipolare che Nuova Delhi persegue da oltre settant’anni potrebbe non essere ancora una realtà, ma oggi l’India si trova certamente in una posizione unica, in virtù del suo potenziale economico (economia emergente in più rapida crescita) e militare, oltre al potere diplomatico e soft power (2023 G20 New Delhi summit). 

L’India offre un modello di democrazia diverso da quello visto in Occidente: una democrazia parlamentare (in stile Westminster) coesiste fianco a fianco con sistemi di governo più indigeni. Di certo, il sistema indiano presenta delle problematiche, come evidenzia il V-Dem Institute, che ha definito l’India “un’autocrazia elettorale” poiché i principi democratici, inclusa la libertà di espressione, sono stati messi a dura prova. 

Sebbene l’India sia diventata meno liberale, la governance è migliorata e il suo status come la più grande democrazia modella anche il suo ruolo di attore geopolitico sempre più importante sulla scena mondiale. Ciò avviene nel momento in cui l’Occidente considera le credenziali democratiche dell’India uno dei pilastri dell’impegno con il Paese, oltre al suo ruolo di baluardo contro l’ascesa della Cina.

L’India si recherà alle urne questa primavera in quella che sarà la più grande esercitazione elettorale del mondo, con oltre 900 milioni di elettori registrati nel paese più popoloso del mondo, con 1,4 miliardi di abitanti. 

Il partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (BJP) di Narendra Modi ha forti possibilità di vincere la prossima tornata elettorale, anche se nel paese l’opposizione rimane vivace, soprattutto a livello statale dove il BJP ha perso una serie di recenti elezioni. Ciò dimostra che gli elettori mantengono un elevato grado di autonomia democratica mentre le elezioni rimangono relativamente libere ed eque, sebbene l’erosione di una stampa libera e indipendente sollevi interrogativi sulla loro capacità di prendere decisioni informate.

In ultima analisi, sebbene l’Occidente abbia espresso preoccupazione per la traiettoria politica dell’India, in definitiva la democrazia imperfetta del paese è considerata il “male minore” rispetto alla dittatura monopartitica cinese. 

Inquadrata nel contesto della crescente polarizzazione e della potenziale biforcazione del sistema internazionale segnata dalla rivalità strategica tra America e Cina e, di riflesso, tra mondo democratico e autocrazie, l’India rappresenta oggi un player centrale nello scacchiere globale. 

 

Nel romanzo di Liu Cixin, l’interazione di tre soli condanna il pianeta Trisolaris a un continuo moto tra l’era stabile e quella caotica, quest’ultima oscillando selvaggiamente tra il freddo estremo e il caldo estremo. Allo stesso modo, la Cina, e in generale le autocrazie globali, potrebbe essere condannata a un ciclo di forti oscillazioni politiche, con la stabilità che periodicamente si trasforma in caos e la cui unica via di soluzione sono strumenti democratici non in loro possesso.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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