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Lo Stato islamico ieri, Hamas oggi: il doppio standard dell’Occidente verso il terrorismo jihadista

La cosiddetta “operazione tempesta” che il 7 ottobre 2023 ha visto Hamas sferrare una pesante offensiva militare ai danni di Israele ha riportato l’attenzione della comunità internazionale sul conflitto arabo-israeliano e sulle sue ripercussioni geopolitiche. Tali ripercussioni sono osservabili non solo sullo scacchiere mediorientale – si vedano, ad esempio, la recrudescenza anti-israeliana per mano del gruppo libanese Hezbollah e le azioni messe in atto dai ribelli Houthi ai danni di obiettivi marittimi aventi collegamenti con lo Stato ebraico – ma anche in Occidente, dove da qualche mese si osservano episodi di antisemitismo che, soprattutto in Europa, rievocano lo spettro della segregazione avvenuta sotto il III Reich. Questi episodi, alcuni dei quali rasentano forme di apologia del nazismo – emblematica la comparsa di stelle di David sulle pareti delle case di alcuni cittadini di religione ebraica a Parigi – sono legati su un duplice livello alla minaccia del terrorismo jihadista, che pure è tornato a mietere vittime nelle ultime settimane. Il primo livello riguarda la struttura di pensiero, per cui i due fenomeni sono accumunati da una diversa declinazione di un dualismo sociologico che identifica una parte della società come il “nemico” (rispettivamente, gli ebrei e i non musulmani). Il secondo livello ha a che fare con l’ambiguità usata da parte di alcune sezioni dell’opinione pubblica occidentale verso l’organizzazione responsabile dell’escalation a Gaza.   

Hamas sta operando in maniera non troppo dissimile da come fatto, a suo tempo, dallo Stato Islamico, che all’indomani della primavera araba ha minato l’integrità territoriale di due Paesi, l’Iraq e la Siria, legittimamente riconosciuti dalla comunità internazionale per consolidare la propria base territoriale, mai confermata de iure. Da parte occidentale, tale azione è stata univocamente condannata, e dopo gli attentati di Parigi (2014-2015) è stato immediato l’intervento militare francese sul territorio siriano in funzione anti-Daesh. Le gravi e numerose violazioni dello ius in bello da parte del gruppo terroristico, poi, gli sono valse anche la ferma condanna della maggior parte dei musulmani – si rammenta la “Lettera aperta allo Stato Islamico” sottoscritta nel 2014 da 120 intellettuali musulmani per delegittimare l’ideologia e il modus operandi dell’organizzazione. 

La condotta di Hamas rende l’organizzazione riconducibile, proprio come Daesh, alla categoria delle entità terroristiche di stampo jihadista. Vi è stata, infatti, una violenta rivendicazione di autonomia territoriale tradotta in azioni militari e di violenza efferata verso i civili. Eppure, nonostante l’immediata conferma da parte dei Paesi occidentali del proprio allineamento alle posizioni israeliane, all’interno delle nostre società si osserva una preoccupante e diffusa reticenza a condannare Hamas. La si è osservata, in particolare, in occasione dei numerosi cortei e manifestazioni a sostegno della causa palestinese che hanno avuto luogo nelle settimane successive ai fatti del 7 ottobre, in cui non sono mancate espressioni di aperto sostegno al gruppo terroristico. 

Fa molto riflettere il fatto che i leader di Hamas non si preoccupano affatto di celare il luogo in cui vivono (i più importanti hanno lasciato Gaza e risiedono attualmente in Qatar, Turchia e Libano), assai diversamente da quanto non avvenisse per i vertici di Daesh, il cui progressivo annientamento ha richiesto complesse attività di intelligence. 

Fa riflettere ulteriormente il fatto che nel testo della risoluzione presentata alla fine di ottobre 2023 all’Assemblea generale dell’Onu per chiedere la tregua immediata a Gaza mancasse la condanna inequivocabile e senza ambiguità verso le azioni di Hamas, un vulnus che ha impedito all’Italia, come sottolineato da Maurizio Massari, ambasciatore italiano all’Onu, di approvare la risoluzione. In tal senso, Massari sottolinea come sia necessario «non cadere nella trappola dei terroristi», che «vogliono trasformare il Medio Oriente in uno scontro di civiltà, religioso e culturale».

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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