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Il nuovo patto europeo su migrazione e asilo: trattative serrate

Dopo l’avvio dei negoziati nel pomeriggio di lunedì 18 dicembre, nella mattinata di mercoledì 20 dicembre è stato annunciato il raggiungimento di un accordo provvisorio tra gli Stati membri e il Parlamento europeo su una riforma globale della politica migratoria dell’UE, a conclusione di un lungo processo negoziale iniziato nel 2020 e più volte messo a rischio dalle resistenze di alcuni governi nazionali.

I negoziati, molto duri e serrati, hanno riguardato numerose questioni relative alla gestione dei flussi migratori, dove sia il Parlamento che il Consiglio hanno dovuto scendere a compromessi rispetto alle loro posizioni iniziali su temi quali la durata della detenzione dei richiedenti asilo, la profilazione razziale dei migranti, il trattamento dei minori non accompagnati, la gestione delle operazioni di ricerca e salvataggio e la sorveglianza delle frontiere esterne.

Per molti, nel Patto sulla migrazione e l’asilo era in gioco gran parte della credibilità dell’Unione, poiché dopo tre anni di confronto tra Stati membri, Commissione e Parlamento, un fallimento avrebbe significato l’assenza di una soluzione europea alla gestione dei flussi migratori, che era stata la principale critica mossa all’Europa negli ultimi anni. Era quindi chiaro al Parlamento europeo, alla Commissione e agli Stati membri che l’UE doveva raggiungere una riforma del diritto d’asilo europeo entro la fine dell’attuale legislatura: un obiettivo impossibile senza un accordo entro la fine del semestre di presidenza spagnola, che terminerà alla fine del 2023.

Da un lato, il Consiglio voleva dare agli Stati membri il massimo margine di manovra possibile nella gestione dei migranti, estendendo il più possibile la procedura di asilo accelerata, ma a costo di ridurre le garanzie per la tutela dei diritti dei migranti; dall’altro, il Parlamento voleva assicurare il pieno rispetto dei diritti fondamentali dei richiedenti protezione internazionale. Nel mezzo, la Commissione europea ha fornito un supporto tecnico ai negoziati. 

I negoziati, che si sono svolti in un “trilogo gigante” per evitare che alcune delle misure negoziate venissero escluse dall’accordo finale, hanno permesso di raggiungere un accordo di principio su cinque atti legislativi distinti ma interconnessi, volti a ridefinire le regole per l’accoglienza collettiva, la gestione e la ricollocazione dei migranti irregolari sul territorio dell’UE. 

Quando nel 2020 le istituzioni europee hanno iniziato a lavorare al nuovo Patto su migrazione e asilo, l’obiettivo era quello di porre fine alle iniziative isolate e spesso estemporanee con cui i singoli Stati membri avevano in passato tentato di rispondere all’aumento dei flussi migratori verso l’UE: iniziative che, proprio perché isolate, si sono rivelate spesso inefficaci, se non addirittura controproducenti, in quanto hanno impedito di dare una risposta comune dell’UE a un problema di dimensioni globali, che richiede invece strategie in grado di vincolare tutti gli Stati membri, a prescindere dalla loro posizione geografica e dalla loro rilevanza economica. I fautori del nuovo Patto sostengono che esso riuscirà a intervenire laddove non è stato possibile in precedenza, ad esempio alleggerendo il peso dei flussi migratori sugli Stati con frontiere esterne all’Europa che accolgono una quota significativa di richiedenti asilo, come Grecia, Italia e Spagna, attraverso una vera e propria rete di solidarietà europea che coinvolga concretamente tutti gli Stati membri.

Come già accennato, il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo mira a regolamentare in modo completo tutti gli aspetti della gestione della migrazione, dal momento in cui i migranti entrano nel territorio dell’Unione fino alla valutazione delle loro domande di protezione internazionale. Nello specifico, il Patto mira a regolare la cosiddetta “dimensione interna” europea dei fenomeni migratori, mentre la cosiddetta “dimensione esterna” deve essere gestita attraverso accordi specifici con Paesi vicini come Turchia, Tunisia ed Egitto.

Nel dettaglio, il Nuovo Patto contiene cinque misure: 

Il regolamento sullo screening, che introduce una procedura di pre-ingresso per la definizione rapida del profilo dei richiedenti asilo e la raccolta di informazioni di base come la nazionalità, l’età, le impronte digitali e l’immagine del volto, oltre a controlli sanitari e di sicurezza.

Il regolamento Eurodac modificato aggiorna Eurodac, la banca dati su larga scala che conserverà i dati biometrici raccolti durante il processo di screening. La banca dati non conterà più le singole domande, ma il numero di richiedenti, per evitare di presentare più domande con lo stesso nome.

Il regolamento modificato sulle procedure di asilo (APR) prevede due possibili fasi per i richiedenti asilo: una procedura di frontiera accelerata, che dura fino a 12 settimane, e la procedura di asilo tradizionale, che è più lunga e può richiedere diversi mesi prima che venga presa una decisione finale sulla domanda di asilo. 

Il Regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione (AMMR), che crea un sistema di cosiddetta “solidarietà obbligatoria”, ma su base flessibile e volontaria, da attivare quando uno o più Stati membri sono soggetti a “pressione migratoria”. Gli Stati membri saranno quindi obbligati a intervenire per aiutare altri Paesi dell’UE colpiti da grandi flussi migratori, ma potranno scegliere tra tre opzioni concrete di intervento: ricollocare un certo numero di richiedenti asilo, pagare un contributo di 20.000 euro per ogni richiedente asilo che rifiutano di ricollocare o finanziare un sostegno operativo.

Il regolamento sulle crisi prevede l’applicazione di norme eccezionali nei casi in cui il sistema d’asilo dell’UE sia minacciato da un improvviso e massiccio arrivo di rifugiati, come durante la crisi migratoria del 2015-2016, o da una situazione di forza maggiore, come la pandemia COVID-19. In questi casi, le autorità nazionali saranno in grado di intervenire per risolvere il problema. In questi casi, le autorità nazionali potranno applicare misure di gestione dei migranti più severe, compresi periodi di detenzione più lunghi.

L’accordo provvisorio dovrà ora essere tradotto in testi giuridici per essere approvato dal Parlamento e poi dal Consiglio. Non si escludono richieste di modifiche dell’ultimo minuto ai testi da parte dei governi di alcuni Stati membri, che in passato sono stati molto critici nei confronti dell’approccio del Patto: tuttavia, poiché l’approvazione in Consiglio avverrà a maggioranza qualificata, i singoli Paesi non potranno porre il veto. Sarà compito della Presidenza belga, che inizierà il 1° gennaio 2024, garantire che l’attuazione del Patto sia completata prima delle prossime elezioni europee di inizio giugno.

La notizia del successo del trilogo è arrivata con grande clamore da Bruxelles nelle prime ore del 20 dicembre: si diceva che l’UE aveva mantenuto una delle promesse fatte all’inizio dell’attuale legislatura, che il Patto avrebbe posto fine alle azioni isolate dei singoli Stati membri nella gestione dei flussi migratori istituendo un vero e proprio processo di solidarietà europea nella gestione della migrazione, e che il fallimento avrebbe fatto il gioco dei critici dell’Unione.

È certamente vero che arrivare a una disciplina europea è un risultato notevole, viste le forti resistenze sia del Parlamento sia, soprattutto, degli Stati membri a una regolamentazione davvero uniforme della materia. D’altra parte, questo sistema di solidarietà europea è definito nel Patto stesso come “obbligatorio”, ma flessibile e volontario nelle modalità di attuazione: un concetto che sembra quasi un ossimoro e che tradisce una certa debolezza del sistema, dal momento che, come abbiamo detto, ogni Stato membro potrà scegliere come fornire solidarietà agli altri. L’opzione di versare un contributo di 20.000 euro per ogni migrante che un Paese rifiuta di reinsediare, o l’altra alternativa di finanziare altre forme di sostegno (ancora da definire), dimostra che il vero problema, ovvero la concentrazione di un gran numero di migranti in pochi Stati membri, costretti a sopportare la maggior parte dei flussi migratori soprattutto a causa della loro posizione geografica, non viene realmente risolto dal nuovo regolamento. Da questo punto di vista, sarebbe stato opportuno rendere la ricollocazione forzata dei migranti l’unica opzione in tutti i 27 Stati membri, chiaramente in base alle specifiche condizioni demografiche ed economiche, al fine di creare una vera rete di solidarietà all’interno dell’Unione.

Un altro punto debole dell’accordo riguarda la garanzia del rispetto dei diritti fondamentali dei migranti: in particolare, la possibilità di utilizzare la procedura accelerata per l’esame delle domande di asilo per coloro che sembrano avere poche possibilità di ricevere protezione è stata criticata da diverse ONG impegnate nell’aiuto umanitario ai migranti diretti in Europa. In una lettera aperta del 18 dicembre, 50 di loro hanno avvertito che, accelerando le procedure di valutazione delle domande di asilo, il nuovo patto rischia di violare i diritti fondamentali dei migranti e di tradire i valori e i principi di rispetto della vita e della dignità umana su cui si basa il processo di costruzione e integrazione europea. 

Una critica analoga può essere mossa a un altro dei pilastri del Patto, ovvero che la dimensione esterna della gestione della migrazione dovrebbe basarsi su accordi specifici con Paesi esterni all’UE, sul modello di quello con la Turchia, al fine di intervenire per prevenire le partenze dei migranti verso i confini europei. Oltre alla Turchia, a Bruxelles vengono citati Paesi come la Tunisia e l’Egitto, ma in realtà sappiamo che in questi Paesi i diritti fondamentali non sono attualmente garantiti. Un sistema che fornisca sostegno economico ai governi di Tunisi e del Cairo, e forse in futuro anche ad altri Stati disposti a lavorare in questa direzione, rischia non solo di essere un investimento economicamente molto oneroso e di mettere a repentaglio il rispetto dei diritti dei migranti detenuti in quei luoghi, ma è anche pericoloso da un punto di vista strategico, perché metterebbe nelle mani di questi governi un’arma di pressione molto potente sull’Europa nel caso in cui dovessero sorgere controversie economiche o politiche tra l’UE e i Paesi interessati. L’esempio di Erdogan dovrebbe essere ben ricordato a Bruxelles e nelle cancellerie europee.

Infine, un commento di sistema. È stato detto che approvando il patto, l’UE toglie spazio ai sovranisti, che avrebbero voluto veder fallire i negoziati per rilanciare le strategie nazionaliste nella prossima campagna elettorale europea. Per questo era così importante raggiungere un accordo e ci è voluta una forte dose di pragmatismo da parte di tutti per raggiungere un compromesso. È vero che bisognerà attendere l’adozione delle norme di attuazione del Patto, prevista per la primavera del 2024 sotto la Presidenza belga, per cui alcuni aspetti specifici dell’accordo non potranno essere valutati prima di allora. È anche vero che l’adozione di un approccio europeo alla gestione delle politiche migratorie renderà obsolete le singole soluzioni: sarà interessante vedere, ad esempio, cosa succederà a questo punto al patto tra Italia e Albania, in base al quale alcuni dei richiedenti asilo salvati dalla marina italiana saranno trattenuti in centri costruiti in territorio albanese a partire dal 2024. Ma è altrettanto vero che l’Europa rimane anche una comunità di principi e valori, il cui pieno rispetto è richiesto ai Paesi che chiedono di entrare a far parte dell’Unione come precondizione per essere presi in considerazione. Sarebbe molto dannoso per la credibilità dell’Unione se, per risolvere un problema così urgente come la gestione dei flussi migratori, desse l’impressione di essere disposta ad allontanarsi dai principi e dai valori di cui si dichiara orgogliosa difensore.

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Rotta Transatlantica: le relazioni Europa-USA dagli anni ’80 all’11 Settembre

Il convegno, organizzato dalla Fondazione Craxi a Roma il 30 settembre 2024, ha visto la partecipazione di importanti esponenti della politica italiana, tra cui il Ministro degli Esteri Antonio Tajani e la Presidente della Commissione Esteri del Senato Stefania Craxi, e importanti accademici e diplomatici. Il dibattito si è concentrato sul rapporto tra Europa e Stati Uniti, il futuro del Medio Oriente, l’Africa e l’importanza delle relazioni transatlantiche in un contesto globale sempre più frammentato e competitivo.

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Richiedente asilo siriano considerato affiliato all’ISIS si costituisce per l’attentato di Solingen

La sera del 23 agosto un uomo ha accoltellato apparentemente a caso dei passanti durante le celebrazioni del cd. “Festival della Diversità”, indetto in occasione del 650° anniversario della fondazione della città di Solingen, in Germania. L’attentatore era fuggito nel trambusto e nel panico seguiti all’attacco. Due uomini di 67 e 56 anni e una donna di 56 anni sono morti, mentre otto persone sono rimaste ferite, quattro delle quali momentaneamente in pericolo di vita. Nella giornata del 24 agosto la milizia terroristica ISIS aveva rivendicato la responsabilità dell’attacco, motivato come una vendetta per gli attacchi condotti contro cittadini islamici in Palestina e nel resto del mondo, ma le autorità di sicurezza non avevano confermato l’esistenza del movente islamista.

Analisi rischi sistema

Arresto di Durov: il mondo complottista insorge tra accuse di censura e libertà di espressione

Negli ultimi giorni si è molto discusso riguardo l’arresto di Pavel Durov, trentanovenne co-fondatore e amministratore delegato dell’app di messaggistica criptata Telegram, all’aeroporto Le Bourget in Francia avvenuto il 24 agosto. Come si legge in un documento della Procura di Parigi contenente i capi d’accusa, Durov è imputato di complicità nelle attività illegali che si svolgono sull’app (traffico di stupefacenti, terrorismo, frodi, riciclaggio di denaro, pedopornografia, diffusione non consensuale di immagini intime) a causa della mancanza di moderazione, di cooperazione con le forze dell’ordine e, più in generale, degli strumenti offerti, tra cui numeri usa e getta o scambio di criptovalute. Quasi un miliardo di utenti in tutto il mondo utilizza Telegram sia come mezzo di comunicazione che come fonte di informazioni.

Diritto

Commissario per la difesa UE: identikit di una nuova figura

Ieri, Ursula Von der Leyen è stata rieletta in qualità di Presidente della Commissione europea.
Il programma per questo nuovo mandato si concentrerà su alcuni punti saldi. Il primo inerisce all’ambiente e al green deal europeo, con il dichiarato obiettivo di ridurre le emissioni del 90% per il 2040. Il secondo riguarda le migrazioni, con l’intenzione di elaborare nuove strategie per contrastare i flussi irregolari nel rispetto del diritto internazionale, garantendo soluzioni sostenibili ed eque per gli stessi migranti e i Paesi interessati dalle rotte migratorie. Infine, la neo-eletta Presidente si è espressa anche sulla difesa europea, sostenendo la nomina per un Commissario per la difesa europea per contribuire al coordinamento in questo settore. Tale figura, nel pieno rispetto dei Trattati, collaborerà a stretto contatto con il prossimo Alto Rappresentante/Vicepresidente.

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Difesa e sicurezza: chi ha il potere in Francia?

Le competenze sulle politiche di difesa e sicurezza nell’ordinamento francese sono oggetto di una ripartizione molto articolata tra vari organi costituzionali: per questa ragione, non è possibile individuare una competenza ultima in capo ad un unico soggetto istituzionale.
Di seguito vengono definiti i ruoli dei vari organi costituzionali competenti.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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