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Al-Sisi di nuovo presidente. Quali sfide per il terzo mandato del Generale

Il 18 dicembre 2023 è stata data notizia ufficiale della rielezione di Abd al-Fattah al-Sisi come Presidente dell’Egitto per un terzo mandato. Le elezioni, svoltesi tra il 10 e il 12 dicembre, hanno registrato l’affluenza più alta nella storia nazionale dagli anni ’90, persino superiore al tasso di partecipazione al voto di quelle che, nel 2012, furono considerate le uniche elezioni democratiche svoltesi nel Paese. 

Il primo mandato del Generale, iniziato nel 2014, ha posto fine ad un periodo di turbolenza politica che aveva raggiunto il culmine con la destituzione di Hosni Mubarak per mano delle “seconde file” dell’élite militare egiziana e la successiva elezione a Capo dello Stato del fratello musulmano Muhammad Morsi, primo ed unico presidente non di estrazione militare nella storia del Paese. 

Con al-Sisi si è aperta una parentesi di apparente stabilità interna, che i numeri delle ultime elezioni sembrano confermare. L’affluenza si è sorprendentemente attestata al 67%, contro il 40% del 2018 e il 47% del 2014. La partecipazione è elevata anche in paragone alla Tunisia, a lungo considerata il campione democratico nordafricano, dove alle presidenziali e alle legislative del 2019 hanno votato, rispettivamente, il 45% e il 41% degli elettori. 

Al di là dei risultati del voto, che lasciano il tempo che trovano laddove non è possibile garantire lo svolgimento di elezioni libere, può essere quello dell’affluenza uno strumento di misurazione indiretta del grado di popolarità di un leader? 

A ben vedere, il governo ha cercato di incoraggiare la partecipazione adottando degli stratagemmi, tra cui la distribuzione presso i seggi elettorali di scatole di farina, riso e altri beni di prima necessità. L’obiettivo è stato probabilmente quello di legittimare ulteriormente il proprio mandato in un momento delicato per la stabilità interna. 

Sul piano politico, il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese ha messo alla prova la stabilità del governo, teso tra la solidarietà arabo-musulmana verso la causa palestinese, da una parte, e l’allineamento con l’asse saudita-emiratino, fautore degli Accordi di Abramo, dall’altra. 

Al-Sisi, camminando sul filo del rasoio, ha chiesto un cessate il fuoco e consentito alcune sobrie manifestazioni contro la guerra, ma non si è esposto contro Israele e ha scoraggiato qualsiasi forma di attivismo espressamente filopalestinese. In virtù di tale dinamica, le numerose sfilate a sostegno della Palestina che ad ottobre 2023 hanno avuto luogo in diverse città del Paese (inclusa la famosa Piazza Tahrir del Cairo) hanno assunto il significato di proteste contro il regime.   

Sul piano umanitario, le offensive israeliane hanno spinto molti palestinesi a rifugiarsi nella città di Rafah, nella parte più meridionale della Striscia, facendo temere il Cairo per un’ondata di profughi oltre i confini egiziani. Questi andrebbero ad aggiungersi alle decine di migliaia di rifugiati sudanesi che, dallo scoppio dei disordini ad aprile, hanno chiesto asilo in Egitto. 

A livello economico, dopo l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, la crisi si è abbattuta violentemente sull’Egitto, come su tutto il Nordafrica, compromettendo soprattutto gli approvvigionamenti di farina e cereali, che sono alla base dell’alimentazione dei popoli della regione. Alla fine del 2023 l’inflazione risulta quasi raddoppiata rispetto all’anno precedente. Molto indicativo l’andamento dei prezzi dei prodotti alimentari (alcuni dei quali diventati inaccessibili, come cipolle, carne e tè), saliti del 65%. 

La “guerra della porta accanto”, poi, ha contribuito a complicare la situazione anche sul piano energetico. Ad ottobre 2023 Israele ha temporaneamente sospeso le esportazioni di gas verso l’Egitto, nel timore che le sue piattaforme di gas naturale potessero finire nel mirino di Hamas a Gaza o di Hezbollah in Libano. Ciò ha costretto il governo egiziano a imporre blackout continui a livello nazionale, con periodi di sospensione fino a quattro ore al giorno. Questa situazione, a sua volta, sta compromettendo il turismo, che rappresenta una fetta importante del PIL dell’Egitto, e la rotta commerciale che passa per il canale di Suez (teatro di scorribande ad opera dei ribelli Houthi filo-iraniani), le cui tariffe di transito sono un’altra fonte importante di guadagno per le casse dello Stato.

La legittimazione basata sull’affluenza alle urne, insomma, sembra solida come un castello di carte. Al-Sisi, infatti, non ha molte armi contro la crisi economica, e i focolai di conflitto in Medio Oriente sono suscettibili di ripercuotersi sulla stabilità di tutta la Ummah.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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