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La quarta visita di Anthony Blinken in Medio oriente e i timori di un’escalation regionale

La seconda settimana dell’anno, il massimo diplomatico degli Stati Uniti sta attraversando il Medio Oriente, avvertendo che senza sforzi concreti per la pace il conflitto a Gaza potrebbe diffondersi in tutta la regione, anche nel caso in cui l’assai criticato leader israeliano tenesse fede al suo impegno di proseguire la guerra fino alla definitiva eliminazione di Hamas.

Le preoccupazioni di Antony Blinken sembrano fondate. 

Il conflitto in Medio Oriente, infatti, ha già compromesso seriamente il futuro degli Accordi di Abramo, attorno ai quali si stava costruendo la stabilità regionale, soprattutto in relazione alle divisioni a lungo condensatesi attorno alla “questione palestinese”. Con gli accordi, infatti, erano state gettate le basi affinché il riconoscimento di uno stato palestinese non fosse più una premessa indispensabile alla normalizzazione dei rapporti con lo Stato ebraico. D’altra parte, la causa palestinese è stata e continua ad essere oggetto di prese di posizione a sfondo politico da parte di diversi attori regionali divisi tra un fronte ostile all’ “Accordo del secolo” e un altro fronte che lo ha promosso.  Il primo fronte è definito dall’analista ed arabista Gilles Kepel “asse fratello-sciita”, espressione che sintetizza l’associazione tra la Fratellanza Musulmana e i suoi sostenitori, da una parte, e la Repubblica Islamica dell’Iran, dall’altra. Teheran nega qualsiasi coinvolgimento nella pianificazione strategica e logistica dell’ “operazione tempesta”, ma è tra gli Stati ad essere attualmente più coinvolti nel conflitto che ne è derivato proprio in virtù del suo antagonismo di lungo periodo con Washington e con l’Occidente. I ribelli Houthi filo-iraniani, infatti, stanno causando non pochi problemi nel Mar Rosso, mentre le milizie libanesi di Hezbollah, anch’esse sostenute dall’Ayatollah, attaccano Israele da Nord. Vicini a Hamas sono anche il Qatar e a Turchia, i quali, tuttavia, intrattengono relazioni piuttosto positive anche con gli Stati Uniti, ragion per cui questi attori si sono posti fin da subito come possibili mediatori per una tregua o un cessate il fuoco. 

D’altra parte, il complicarsi della situazione a Gaza sembra aver imbarazzato i Paesi arabi allineati con Israele, le cui opinioni pubbliche hanno conservato una forte affezione alla causa dei loro correligionari palestinesi. È il caso dell’Egitto e degli Emirati, che all’indomani dell’ offensiva di Hamas hanno lanciato dei generici moniti contro i rischi di escalation e le eventuali ripercussioni sul piano umanitario. Anche i vertici sauditi hanno fortemente criticato le operazioni belliche condotte da ambo i lati. 

In tale contesto, Blinken non ha mancato di esprimere serie preoccupazioni per l’escalation regionale, sempre più verosimile in ragione degli ultimi sviluppi.

Il primo martedì dell’anno un attacco di droni ha ucciso il vice leader di Hamas Saleh al-Arouri nella capitale libanese Beirut, il leader di Hezbollah sostenuto dall’Iran.

Due giorni dopo, l’esercito americano che ha ucciso a Baghdad un leader di una milizia separata sostenuta dall’Iran e ritenuto responsabile dei recenti attacchi al personale statunitense.

Come si è detto, il conflitto si è insinuato anche nelle rotte marittime vitali del Mar Rosso. Gli Houthi, che controllano gran parte dello Yemen, hanno lanciato droni e missili contro più di 20 navi dal 19 novembre.

Non a caso, il viaggio in Medio Oriente del segretario di Stato americano – il quarto dall’inizio delle operazioni – include visite nella maggior parte dei Paesi che occupano una posizione centrale nella rete di rivalità ed alleanze mediorientale. Tra le tappe previste, oltre a Israele e Cisgiordania, vi sono Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto e Turchia. Finalità del viaggio è discutere con i principali leader regionali le rispettive strategie per evitare l’escalation. 

Lo sforzo diplomatico profuso dagli Stati Uniti è significativo e complesso, ricorda il portavoce di Blinken, Matthew Miller, ma si ripone fiducia nella capacità delle parti di comprendere che uno straripamento della guerra oltre i confini di Gaza sarebbe lungi dal rappresentare un epilogo win-win per entrambe le parti. 




Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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