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La cessione di una porzione del territorio nazionale sembra aver momentaneamente salvato l’Egitto dal fallimento

I recenti sviluppi geopolitici e la congiuntura economica globale hanno messo in particolare difficoltà le economie emergenti come quella egiziana. Nel 2023 l’inflazione, soprattutto sui beni alimentari essenziali, è quasi raddoppiata rispetto all’anno precedente. Il debito nazionale si attesta a circa il 90% del PIL e quasi la metà delle entrate governative è destinata a coprire gli interessi su di esso. Recentemente, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha negato al Paese dei prestiti precedentemente concordati, dubitando che il Cairo fosse in grado di rimborsarli. Infatti, l’Egitto è attualmente il secondo maggior debitore nei confronti del Fondo, subito dopo l’Argentina.

L’instabilità del Mar Rosso ha compromesso ulteriormente le casse dello Stato. Secondo il presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, i ricavi del Canale di Suez sono diminuiti del 40-50% dall’inizio dell’anno a causa degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali. Questi attacchi hanno indotto numerosi armatori a preferire la rotta circumafricana rispetto al rischio associato al transito attraverso il Mar Rosso e il Canale di Suez, che secondo dati dell’Unione europea gestisce il 12-15% del traffico marittimo mondiale.

Tali difficoltà hanno spinto il leader Abdel Fattah al Sisi a cedere una parte del territorio agli Emirati Arabi Uniti. L’affare riguarda, in particolare, l’area attorno alla località mediterranea di Ras Al-Hekma, dove gli EAU intendono creare un’eccellenza mondiale del turismo. Si tratta del più grande investimento straniero nella storia egiziana, con un accordo del valore di 35 miliardi di dollari, sottoscritto dal fondo sovrano di Abu Dhabi. Si prevede che tale transazione possa generare un giro d’affari stimato fino a 150 miliardi di dollari.

Sebbene sia stata momentaneamente sventata la bancarotta, restano considerevoli i rischi di instabilità interna legati agli sviluppi del conflitto a Gaza. Il governo, infatti, è determinato a scongiurare l’apertura del valico di Rafah, a Sud della Striscia, non solo per le conseguenze che questo avrebbe in termini migratori – con l’afflusso di centinaia di migliaia di profughi palestinesi sul territorio egiziano –, ma per i rischi legati all’eventualità della penetrazione in Egitto di cellule di Hamas. L’ Organizzazione della Resistenza Islamica, infatti, nasce come filiazione palestinese della Fratellanza musulmana, bandita dal Cairo dopo il biennio di presidenza di Muhammad Morsi. 

A marzo 2024 l’Egitto ha ricevuto la prima tranche di 10 miliardi di dollari dell’accordo sul progetto emiratino, ma questa boccata di ossigeno non salverà il gigante nordafricano delle conseguenze del perdurare del conflitto israelo-palestinese.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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