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La Libia: un terreno di gioco per Russia e Turchia

Il focus sulla Striscia di Gaza ha in parte distolto l’attenzione globale dal dossier libico, che invece si conferma essere di crescente criticità per l’area e per gli interessi dell’Occidente. In politica estera, emerge un’influenza crescente di Russia e Turchia che eclissa le ambizioni europee. Frédréric Bobin, in un’analisi esclusiva per Le Monde, svela il complesso intarsio geopolitico libico, evidenziando gli interessi contrastanti delle potenze straniere che stanno plasmando il destino del Paese.

A Tripoli, le dimissioni degli inviati ONU si susseguono e si assomigliano. Il senegalese Bathily, che ha annunciato la sua partenza il 16 aprile 2023, è il terzo rappresentante speciale del segretario generale e capo della missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) a lasciare, dopo il libanese Ghassan Salamé (2017-2020) e lo slovacco Jan Kubis (2021). Tutti si sono scontrati con l’impossibilità di promuovere una transizione politica ordinata in questo ex Eldorado petrolifero, sconvolto dal rovesciamento di Muammar Gheddafi dopo l’insurrezione democratica sostenuta dalla NATO durante lla Primavera libica del 2011.

Le criticità ruotano principalmente attorno ai numerosi e profondi contrasti tra le due maggiori entità in competizione per la direzione del Paese, il controllo territoriale e dei proventi della National Oil Company (NOC, l’ente nazionale del petrolio). Da una parte, il Governo di Unità Nazionale (GNU) – forza riconosciuta legittima dalla Comunità internazionale – del premier Abdul Hamid al-Dbeibah amministra la capitale Tripoli e buona parte della Libia occidentale. Dall’altra, il Governo di Stabilità Nazionale (GNS) del maresciallo Khalifa Haftar – affiancato nell’esercizio del suo potere dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk-Bengasi, guidato da Aguila Saleh, e dalle Forze Armate Arabe Libiche (LAAF) – opera in gran parte della Libia orientale e meridionale.

A questo stato dell’arte vanno aggiunte le tensioni a livello di leadership regionale tra i due poli della Umma. La violenta contrapposizione, non ancora risolta, tra il GNU e il GNS riflette il conflitto tra i paesi sostenitori dell’Islam popolare, quali sono la Turchia e il Qatar, e i paesi sostenitori di un Islam statalizzato o del radicalismo wahabita, quali Egitto, Emirati Arabi Uniti (EAU) e Kingdom of Saudi Arabia (KSA). Nel 2014, il fallimento di ogni accordo tra chi, dopo l’intervento militare franco-britannico-americano, aveva partecipato ai moti anti-Gheddafi, ha portato alla seconda guerra civile, in cui si è inserito anche il Califfato dell’ISIS. Si sono formati due Governi e poi un fallimentare di Accordo nazionale. Nel 2017 era già chiaro che interessi tribali, vecchi antagonismi e il coinvolgimento sempre più attivo di attori esterni avessero preso il sopravvento sui tentativi di riconciliazione nazionale. Questo nonostante l’accordo di «cessate il fuoco» che ha congelato la “battaglia di Tripoli” (2019-2020).

Quest’ultimo episodio militare ha segnato una svolta che ha ampliato lo spettro delle interferenze straniere su una scala senza precedenti. La Russia, attraverso i paramilitari di Wagner, ha sostenuto l’offensiva del maresciallo dissidente Haftar contro il governo di Tripoli, al quale la Turchia ha fornito un’assistenza vitale. Come il teatro siriano, la Libia è diventata una zona di collisione tra Mosca e Ankara, tanto quanto di co-gestione, una volta raggiunto il cessate il fuoco di ottobre 2020 sotto la loro guida.

A livello militare, il condominio russo-turco si è radicato nella divisione regionale: le forze dell’Africa Corps – che hanno preso il posto delle milizie Wagner – sono insediate in Cirenaica e Fezzan sotto l’egida di Haftar, mentre i soldati turchi sono installati in Tripolitania con l’approvazione del primo ministro Dbeibah. A livello diplomatico, tuttavia, i due paesi hanno obiettivi più ampi, lavorando indifferentemente la Cirenaica e la Tripolitania. Mosca ha riaperto la sua ambasciata a Tripoli, mentre Ankara prevede di aprire un consolato a Bengasi. A breve termine, questo incrocio di interessi intorno alla divisione delle “spoglie libiche” rappresenta un fattore di stabilità. Serve a consolidare il “patto di corruzione” – come viene definito da molti analisti libici – sigillato dalle varie fazioni che si erano opposte in un passato recente. Un terzo attore regionale svolge un ruolo fondamentale in questa pacificazione «by business»: gli EAU, la cui influenza è in crescita in Libia, sia a Est sia a Ovest. Sono loro che hanno negoziato dietro le quinte la ridistribuzione interna della manna petrolifera, fattore decisivo di de-escalation.

Ma questo “bazar” libico, con effetti mitigativi sugli attriti interni, ha conseguenze regionali potenzialmente destabilizzanti. I trasporti di equipaggiamenti russi tra la Siria e la Cirenaica (Bengasi e Tobruk) sembrano essersi intensificati negli ultimi mesi, sia via mare sia per via aerea. Una parte è poi diretta verso Djoufra, distretto nel cuore della Libia da dove avviene la ridistribuzione verso il Sudan e il Sahel. Considerando l’attuale “cupidigia” di Mosca per il vicino Ciad, possiamo valutare la minaccia che la presenza logistica russa in Libia rappresenta per gli interessi residui di Francia e Stati Uniti nel Sahel. Altrettanto preoccupante è il destino che la Russia potrebbe riservare alla città di Sirte, amministrata dal campo del maresciallo Haftar. Cerniera della Tripolitania e della Cirenaica, situata a 600 chilometri a sud delle coste della Sicilia, la città portuale è strategica. Nel 2009-2010, il Cremlino aveva proposto a Gheddafi di installare una base russa, che l’ex Colonnello libico aveva respinto dopo un duro braccio di ferro. Se il progetto dovesse essere riattivato, il pericolo sarebbe evidente sul dispositivo della NATO nel Mediterraneo.

L’Europa, finora concentrata sui rischi migratori (urgenti) e jihadisti (gestibili), è stata colta di sorpresa da questo nuovo incrocio geopolitico che il Paese nordafricano rappresenta. Gli americani sembrano emergere da un lungo oblio, ma, senza alternative migliori, delegano parzialmente ai turchi – membri della NATO – il compito di contrastare Mosca, con grande disappunto di Parigi contro le macchinazioni di Ankara. In questo quadro frammentato, Il recente ritiro di Abdoulaye Bathily dal vertice di UNSMIL, riflette l’impotenza della Comunità internazionale di stabilizzare una terra senza Stato e senza Governo scivolata nell’orbita antioccidentale. La sfida sarà quella di trovare una strada per un accordo politico in mezzo a questa complessa rete di interessi contrastanti.

 

Alessio Zattolo

PhD Student

Global Studies & Innovation

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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