Francia: dal voto al Governo, passando per la Costituzione. Come funziona il sistema dopo il voto
- 8 Luglio 2024
Il secondo turno elettorale delle elezioni legislative francesi ha portato ad una divisione del Parlamento in tre grandi blocchi che, presi singolarmente, non sono in grado di governare numeri alla mano.
La graduatoria finale del voto francese vede al primo posto il “Nuovo Fronte Popolare”, ovvero quello che ha preso più voti, ma comunque lontano dai 289 seggi necessari per avere una maggioranza assoluta e con essa una concreta governabilità. Dopo, troviamo la “Renaissance”, il partito del Presidente Macron e, infine, il “Rassemblement National”.
Al momento, considerando che nessuna forza politica ha raggiunto la fatidica quota dei 289 seggi, ci sono diverse ipotesi di governo sostenute da coalizioni molto eterogenee dal punto di vista delle idee politiche. Dato l’imminente impegno del Presidente Macron di partecipare al vertice NATO a Washington dal 9 all’11 luglio, non avremo una risposta nell’immediato.
La futura composizione del Parlamento e il sistema di alleanze diventa importante soprattutto alla luce del dettato costituzionale, con particolare riferimento all’articolo 49. Questo investe il Primo ministro, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, del compito di impegnare, dinanzi all’Assemblea nazionale, la responsabilità del Governo sul suo programma o eventualmente su una dichiarazione di politica generale.
In seguito, l’Assemblea nazionale chiama in causa la responsabilità del Governo mediante la votazione di una mozione di sfiducia. Tale mozione è ammissibile se sottoscritta da almeno un decimo dei membri dell’Assemblea nazionale (votazione possibile dopo quarantotto ore dalla presentazione della mozione). Sono computati solo i voti favorevoli alla mozione di sfiducia che è approvata a maggioranza dei membri componenti l’Assemblea nazionale. Il Primo Ministro può, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, impegnare la responsabilità del Governo dinanzi all’Assemblea nazionale sul voto di un progetto di legge finanziaria o di finanziamento della previdenza sociale. In tal caso, detto progetto è considerato adottato, salvo il caso in cui una mozione di sfiducia, presentata nel termine di ventiquattro ore, venga votata alle condizioni previste dal comma precedente. Il Primo ministro può, inoltre, ricorrere a tale procedura per un altro disegno o per una proposta di legge a sessione. Il Primo ministro ha facoltà di chiedere al Senato l’approvazione di una dichiarazione di politica generale.
Quanto riportato da questa previsione conferma le caratteristiche dell’impianto costituzionale francese del 1958 volto ad esaltare il Capo di Stato come “chiave di volta” del sistema politico-istituzionale nazionale. Questa figura si inserisce all’interno di un sistema di parlamentarismo razionalizzato destinato a limitare fortemente l’istituzione parlamentare e al contempo ad assegnare un complessivo ruolo direttivo dei lavori parlamentari allo stesso Governo.
Al di là delle forze politiche che potrebbero essere coinvolte, le ipotesi paventate in Francia fino a questo momento tengono conto di diverse situazioni. Si sta parlando anche della possibilità di un governo tecnico, una situazione totalmente sconosciuta nella storia della Repubblica. In Francia, ci sono stati dei Governi guidati da tecnici (si pensi all’esperienza del 2020 di Jean Castex), ma anche in quel caso c’era un mandato politico dietro l’incarico al tecnico.
Un’altra possibilità è quella del blocco istituzionale. Nel caso in cui nessuno accordo di coalizione riuscisse a durare nel tempo, potrebbe esserci una sfiducia che porterebbe ad un blocco istituzionale. Infatti, fino al 9 giugno 2025, il Presidente Macron non potrà indire nuove elezioni anticipate legislative. Questo ipotetico impasse potrebbe essere superato solo in un modo: dimissioni di Macron e nuove elezioni presidenziali. Ma se Macron ha giocato con le elezioni politiche anticipate, lo ha fatto, probabilmente, proprio per evitare un logoramento politico che avrebbe potuto costringerlo alle dimissioni.
Vanni Nicolì – PhD student