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La Russia di Putin tra sanzioni e recessione

Nonostante i proclami di Putin secondo cui l’economia russa sarebbe florida ed in salute, diverse fonti confermano che in realtà è l’economia di un paese in guerra da quasi due anni, in cui le risorse umane invece di lavorare vengono mandate al fronte e la produzione inevitabilmente diminuisce.

Già un anno fa due voci russe andavano in direzione ostinata e contraria rispetto a quella del leader del Cremlino: Alexandra Prokopenko, ex funzionario della banca centrale russa, aveva predetto una regressione a lungo termine ed il miliardario russo Oleg Deripaska aveva avvertito che per il 2024 in mancanza di investitori stranieri non ci sarebbero stati più soldi, dato che il contante stava già finendo.

A ottobre 2023 i dati dell’Unione europea smentiscono decisamente l’ottimismo putiniano.

A seguito dell’invasione ingiustificata dell’Ucraina, l’Ue ha adottato dieci pacchetti di sanzioni nei confronti della Russia e della Bielorussia, mirate a indebolire i finanziamenti bellici e in particolare a colpire quegli oligarchi che avevano sostenuto l’invasione. 

L’Ue ha cercato di evitare che le punizioni ricadessero sui cittadini russi, vittime a loro volta del regime, escludendo dal campo sanzionatorio i prodotti alimentari, l’agricoltura, la sanità e i farmaci. 

L’impatto, nonostante la narrazione contraria di Putin, ci sarebbe stato, perché secondo la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici, il 2022 è stato un anno negativo per l’economia russa. Un Pil diminuito del 2,1%, con scenari possibili per il futuro di gran lunga peggiori. 

Le misure restrittive unionali riguardano l’importazione e l’esportazione di merci. Stanno diminuendo gli introiti russi da combustibili fossili ed anche il congelamento dei beni farebbe la sua parte: 300 miliardi di euro in riserve della Banca centrale russa sono bloccati nell’Ue, in altri paesi del G7 e in Australia. Il 70% dei beni del sistema bancario russo è oggetto di sanzioni. Circa 20 miliardi di euro in beni di oltre 1500 persone ed enti sono stati congelati. Il tasso di inflazione oscilla tra il 7 ed il 7,5% e ha portato la banca centrale russa di recente ad alzare il tasso di interesse di riferimento dal 13% al 15%.

Inoltre, si parla di de-privatizzazione, vale a dire di nazionalizzazione di imprese che erano state privatizzate, e che erano in mano a persone rivelatesi non abbastanza fedeli al Cremlino. 

La scelta sarebbe quella di dare potere in queste realtà aziendali/statali a persone legate a Putin, creando una nuova cerchia elitaria a sostegno del regime.

Il nuovo modello economico/politico a cui punterebbe la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina sarebbe questo, forte anche dell’alleato- sia politico che commerciale costituito dalla Cina e dall’idea che il petrolio russo, comunque, si venderà nel mondo.

A fronte di questo scenario futuro, ce n’è un altro, molto più legato al presente e molto meno utile alla propaganda del regime.

Lo schema di guerra Russia/ Ucraina è quello della classica guerra d’invasione. Storicamente, i Paesi che partecipano a una guerra, ne escono più poveri.

Si può uscirne – economicamente parlando – con le ossa più che rotte, come accadde alla Germania dopo la Prima guerra mondiale, quando si verificò una difficile situazione di stagflazione, vale a dire la contemporanea presenza di inflazione e disoccupazione.

In genere se aumentano i prezzi vuol dire che la disoccupazione si riduce, e viceversa se la disoccupazione aumenta i prezzi diminuiscono: quando invece inflazione e disoccupazione si verificano insieme, vuol dire che uno Stato è in una spirale negativa.

Non è detto che le sanzioni nei confronti della Russia- per ora solo commerciali- si fermeranno qui. La violazione dei diritti umani in Ucraina è stata pesantissima. Contro Putin c’è un mandato internazionale, in particolare per la deportazione dei bambini.

Finora si è recato all’estero in Paesi amici, ed ha evitato la cattura, ma non è detto che la situazione non cambi.

E non è tutto. Nonostante la propaganda dei regimi, nelle dittature il benessere economico è limitato a pochi. Il popolo rumeno alla fine degli anni Ottanta era stato ridotto a mangiare frattaglie, dopo aver subito la dittatura di Ceausescu, che fu giustiziato. In Bielorussia, nazione retta dal 1994 dal presidente/dittatore Lukashenko, non c’è di certo benessere. E sia la Romania sia la Bielorussia conoscono il dramma degli orfanotrofi che traboccano di bambini (che spesso orfani non sono, ma hanno genitori talmente poveri che non possono mantenerli).

Le guerre e le dittature generano questo: fame, miseria e orfani. Questi due Stati – la Romania in passato, la Bielorussia ancora oggi- sono politicamente vicini al modello putiniano; sono da sempre più poveri rispetto alla Russia, è vero, ma il benessere economico anche nel regime di Putin riguarda solo una ristretta cerchia di persone. 

Per il resto il ritratto che ci restituisce il 2023 della Federazione Russa è quello di un paese sterminato, in guerra e senza libertà. Condizioni che rendono difficile una – reale – crescita economica.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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