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L’ondata di disinformazione russa dopo l'attentato a Mosca

In seguito all’attacco terroristico a Mosca del 22 marzo che ha provocato 137 morti e 180 feriti sconvolgendo la Russia, ha iniziato a muoversi la gigantesca macchina che alimenta la dezinformacija. Qualche ora dopo l’attentato, ha iniziato a circolare in rete l’ipotesi di una possibile “pista ucraina”, alimentata specialmente su X da centinaia di account fake che si scoprì essere semplicemente dei bot. Tali strategie, denominate coordinated inauthentic behavior, mirano a generare un forte traffico social su argomenti in tendenza per diffondere un messaggio di disinformazione, e dalla Russia vengono solitamente utilizzate per operare uno sdoganamento del regime, nel tentativo di dargli un volto umano, mentre è probabile che in questa situazione sia effettuata per tentare uno sviamento dell’attenzione da una possibile intelligence failure. Utilizzate già precedentemente dai servizi segreti russi durante le ultime elezioni americane ed europee, è la prima volta che un’operazione del genere prende piede in Italia. 

Come detto, centinaia di account, creati quasi tutti a metà marzo, con zero follower e riferimenti a criptovalute nelle bio, iniziarono a commentare e pubblicare tweet in cui si accusava l’Ucraina di star creando e addestrando una rete di terroristi, o di essere responsabile del massacro, per portare in tendenza la lettura alternativa degli eventi. La maggior parte misero in allegato il link di un articolo non firmato de Il Corrispondente, una pseudo-testata giornalistica online celebre per rilanciare frequentemente propaganda pro-Cremlino, intitolato «Il terrore torna a Mosca», nel quale sostanzialmente si accusa l’Ucraina di essere «responsabile della strage nel Crocus e di essere il centro del reclutamento e addestramento delle cellule terroristiche degli Stati Uniti e della Gran Bretagna». Il tutto portando come evidenza il fatto che gli attentatori hanno agito in maniera spietata, mostrando una notevole esperienza «maturata quasi sicuramente in Ucraina». 

Vladimir Putin, dopo aver ammesso che l’attentato alla sala concerti in cui hanno perso la vita 137 persone è stato compiuto da islamisti radicali, ha nuovamente evocato una mano ucraina, o occidentale, quale mandante dell’attacco, domandando come mai gli attentatori abbiano cercato di fuggire in Ucraina, con il chiaro intento di voler tenere aperte tutte le possibili narrazioni per la macchina propagandistica. Più caute le dichiarazioni del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, il quale ha affermato che non sia stata formulata alcuna ipotesi ufficiale, dal momento che l’indagine in corso stia esaminando solo dati preliminari. 

Il Cremlino non diede peso alla pista islamica nei giorni successivi all’attentato; tuttavia, su questo punto dovette fare dietrofront in seguito alla pubblicazione da parte dell’Isis Khorsan di video originali all’interno della sala girati dagli stessi attentatori. Da parte dell’ambasciata statunitense, a inizio marzo ci fu un avvertimento alle forze di sicurezza russe su possibili attentati in territorio russo da parte dell’Isis: tuttavia, il monito cadde nel vuoto, venendo bollato dal presidente Putin come «puramente provocatorio».

Nel mentre, Kiev teme che queste accuse da parte di Mosca possano essere usate come pretesto per una nuova mobilitazione militare, in seguito al richiamo dei 300mila riservisti nell’autunno del 2022: timori confermati anche dal giornale investigativo russo Vyorstka, secondo cui Putin sarebbe pronto a richiamare ulteriori riservisti per l’offensiva a Kharkiv. 




Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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