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Intelligence failure e quesiti irrisolti riguardo l’attacco al Crocus City Hall

L’attacco alla sala concerti Crocus City Hall di Mosca del 22 marzo ha causato la morte di 140 persone e il ferimento di altre 180, minando uno degli impegni di più lunga data del presidente Putin nei confronti del popolo russo: ossia, garantire stabilità e sicurezza. La polizia russa ha arrestato undici sospettati, tra cui i quattro uomini del Tagikistan presunti esecutori della sparatoria e dell’appiccamento dell’incendio, comparsi domenica 24 marzo davanti a un tribunale di Mosca con l’accusa di terrorismo: si tratta di Dalerdzhon Mirzoyev, 32 anni, Saidakrami Rachabalizoda, 30 anni, Shamsidin Fariduni, 25 anni, e Mukhammadsobir Faizov, 19 anni.

Secondo gli investigatori, il 22 marzo i quattro criminali si sono recati nella sala da concerto del Crocus City Hall, dove hanno aspettato l’arrivo del pubblico, a bordo di un’auto Renault con la targa di Tver, distretto fra Mosca e San Pietroburgo, alle 18:54, ora di Mosca (16:54 ora italiana). Alle 19:58, ora di Mosca, i terroristi hanno aperto il fuoco con pistole automatiche contro le persone all’esterno dell’edificio. Quindi, hanno proceduto all’interno del municipio di Crocus, sparando alle persone che si trovavano nelle vicinanze, indipendentemente dal sesso o dall’età. Gli attentatori avevano fucili mitragliatori, pistole, materiale esplosivo e taniche di benzina. Utilizzando la benzina contenuta nelle bottiglie di plastica che avevano portato con sé, hanno dato fuoco all’edificio e hanno lasciato l’edificio alle 20:11, ora di Mosca. Sul posto sono stati trovati e sequestrati due fucili d’assalto AK-74, oltre 500 colpi di munizioni, 28 caricatori con munizioni e bottiglie con benzina rimanente. Nell’auto dei criminali sono stati trovati una pistola Makarov senza munizioni e il caricatore di un fucile d’assalto Kalashnikov con 30 colpi di munizioni. 

Nonostante lo Stato islamico abbia rivendicato la responsabilità dell’attentato, durato in totale 17 minuti, Putin non ha minimamente menzionato l’Isis nel discorso nel quale ha affermato come l’arresto da parte della polizia sia avvenuto mentre gli attentatori erano in fuga verso l’Ucraina, in cui, presume il presidente, avessero dei contatti. Mentre la giustizia russa farà il suo corso, è doveroso chiedersi come sia stato possibile che la capitale di uno Stato in guerra, dove notoriamente, oltre al presidio delle frontiere, vi è un aumento generale del livello di sicurezza interna, possa essere colpita così facilmente. A cominciare dai 35 minuti di ritardo dell’intervento da parte delle forze di sicurezza, fino ai 400 chilometri percorsi dai fuggitivi a bordo della Renault Symbol verso il confine ucraino, le mancanze delle forze russe sembrano evidenti. La stessa evacuazione dei feriti è stata estremamente lenta, causando l’incremento del numero dei decessi per colpa dell’incendio divampato nella struttura; vittime che probabilmente avrebbero potuto essere salvate. Uno dei testimoni oculari sopravvissuti alla strage riporta come alle file per il funerale di Navalny vi fosse quasi un poliziotto per ogni persona, mentre in questa situazione neanche un agente delle forze dell’ordine. 

Sebbene Putin avesse bollato l’avvertimento statunitense del 7 marzo di un possibile attacco terroristico verso grandi raduni a Mosca, compresi concerti, da parte dell’Isis come «puramente intimidatorio», molti si chiedono come sia stato possibile che un tale avvenimento sia fuggito ai radar dell’intelligence russa. Lo stato di sicurezza russo è stato spietatamente efficace nel frenare attivisti e oppositori di Vladimir Putin, ma è stato colto di sorpresa dall’evento del Crocus, sollevando interrogativi sulle priorità, le risorse e la raccolta di informazioni da parte dell’Fsb, il servizio segreto russo successore del Kgb, diretto dal 2008 da Alexander Bortnikov, che dallo scoppio del conflitto in Ucraina deve vedersela anche con sabotatori ucraini che prendono di mira le raffinerie petrolifere e di gas. Tuttavia, che l’Isis-K avesse nel mirino anche la Russia era evidente fin dall’attentato all’ambasciata russa a Kabul del 5 settembre 2022 in cui morirono 6 persone, inclusi 2 diplomatici russi. 

Daniel Hoffman, un ex funzionario senior delle operazioni della CIA, ha affermato a Reuters che «non si può fare tutto. […] Si aumenta la pressione sulla gente del posto e talvolta non si ottengono le informazioni necessarie su un potenziale attacco terroristico. È lì che hanno fallito. È possibile che siano troppo occupati nella guerra in Ucraina e nell’affrontare l’opposizione politica. Questa è passata inosservata». Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov difende l’operato dei servizi segreti russi, i quali, a suo avviso, hanno lavorato instancabilmente per difendere il Paese, sfortunatamente dimostrando come nessuna città e nessun paese può essere completamente immune dalla minaccia del terrorismo.

Gli analisti della sicurezza hanno affermato che il modo in cui sono stati effettuati l’attacco e la fuga era la prova di un’ampia ricognizione del luogo in anticipo e i media russi hanno pubblicato filmati CCTV di uno degli uomini armati in visita in una data precedente. Tuttavia, permangono diversi interrogativi sull’operato degli attentatori, a cominciare dal fatto che gli attentatori, a differenza del solito modus operandi dell’Isis, abbiano agito a volto scoperto, fino al tentativo di fuga verso il confine ucraino, una delle strisce di territorio più sorvegliate al mondo.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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