Il rischio calcolato delle elezioni anticipate volute da Macron in Francia
- 19 Giugno 2024
La decisione del Presidente francese Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblea Nazionale ed andare a elezioni anticipate dopo la pesante sconfitta della sua lista di coalizione nelle elezioni europee del 9 giugno scorso ha sorpreso molti. La vittoria della lista di estrema destra Rassemblement national di Marine Le Pen è stata talmente evidente da convincere il Capo dello Stato francese a tornare alle urne dopo due anni dalle ultime elezioni parlamentari. Per alcuni si tratterebbe di una mossa azzardata di un leader nazionale che cerca in qualche modo di reagire alla sconfitta elettorale con una “disperata” corsa in avanti, ma in realtà dietro quella decisione si cela verosimilmente un calcolo strategico molto meno avventato di quanto sembri.
Il fatto è che in Francia il sistema elettorale vigente per le elezioni europee è profondamente diverso da quello in uso per le consultazioni politiche: mentre nel primo caso si è votato con un sistema proporzionale plurinominale, che prevede la ripartizione degli 81 seggi spettanti alla Francia secondo il metodo del quoziente e della più alta media, con liste bloccate e soglia di sbarramento al 5%, nel secondo si adotta un sistema uninominale maggioritario a doppio turno, che divide il Paese in 577 collegi uninominali, in ciascuno dei quali ogni partito (o coalizione) presenta un solo candidato. Viene eletto il candidato che al primo turno ottenga la maggioranza assoluta dei voti espressi (purché abbia partecipato al voto almeno il 25% degli aventi diritto), altrimenti si passa al ballottaggio una settimana dopo, a cui partecipano tutti i candidati che abbiano ottenuto il consenso di almeno il 12,5% degli aventi diritto al primo turno. Il sistema è quindi costruito per premiare 1) i candidati fortemente radicati sul territorio, soprattutto al primo turno e 2) i candidati capaci di raccogliere al ballottaggio maggiori consensi anche da elettori di altri partiti i cui rappresentanti non sono riusciti a raggiungere il secondo turno. Storicamente questo sistema tende a premiare i candidati moderati, che hanno maggiore facilità di catalizzare consensi anche da forze politiche affini, mentre penalizza le formazioni più estreme, che di regola non attirano preferenze di altri partiti al ballottaggio.
Esattamente questo è l’aspetto su cui specula Macron: chiamare alle urne i francesi per dimostrare, grazie ad un sistema elettorale più favorevole di quello europeo, che l’estrema destra non avrebbe il seguito politico mostrato dal risultato elettorale del 9 giugno, e proseguire il governo della Francia con un Parlamento in cui il partito di Le Pen non abbia all’Assemblea Nazionale la forza che potrebbe esercitare nell’Europarlamento. Ovviamente, Macron non è l’unico a conoscere gli effetti del sistema elettorale vigente in Francia, ed infatti Marine Le Pen sembra aver già tentato di rimediare, creando un’alleanza con la destra neogollista dei Republicains di Eric Ciotti in vista del voto del 30 giugno, con cui dovrebbe essere almeno parzialmente disinnescato l’effetto di deterrenza verso le forze politiche più estreme, i cui candidati sono come detto di regola isolati al ballottaggio, previsto il 7 luglio. A sinistra si sta cercando di fare un’operazione simile, aggregando varie forze di quest’area in un’unica coalizione elettorale, a cui però non è chiaro quanti partiti effettivamente aderiranno. Peraltro, dopo l’annuncio di Ciotti della stipula del patto con Le Pen, sono arrivati annunci di dissociazione dall’accordo di molti esponenti Repubblicani, per cui non è chiaro in che misura questa intesa potrà rivelarsi vincente nelle urne.
Nel “worst case scenario” da punto di vista di Macron, il Presidente si troverà a governare il Paese con una maggioranza ed un governo di destra-centro dopo il 7 luglio, riproponendo il fenomeno della “Coabitazione” (in cui ad un Presidente di un determinato partito corrisponde un Governo ed una Assemblea Nazionale di altro orientamento). Chiaramente non sarebbe il risultato auspicato da Macron, ma in ogni caso lui resterebbe al suo posto, mentre Le Pen avrebbe la responsabilità di gestire le tante crisi che affliggono la Francia, così come buona parte dell’Europa, senza potersi più limitare a criticare l’Esecutivo come ha potuto fare finora. La speranza per Macron, in questo caso, è che un governo Le Pen entri presto in crisi, non potendo realizzare le tante proposte proclamate in campagna elettorale, e che alle prossime elezioni presidenziali – previste per il 2027 – l’elettorato punisca l’estrema destra a vantaggio dei partiti centristi.
Intanto, a pochi giorni dall’annuncio di scioglimento anticipato voluto da Macron, sia a sinistra che a destra si concretizzano le alleanze elettorali finalizzate a compattare l’elettorato in vista sia del primo che del secondo turno di votazione. A sinistra molte forze politiche hanno deciso di riunirsi tutti sotto la bandiera del Nuovo Fronte Popolare: sostenuto dai principali sindacati, da parti della società civile e da diverse associazioni, l’accordo raccoglie vari partiti, tra cui La France Insoumise, il Partito Socialista, il Partito Comunista e Les Écologistes. A destra, come già menzionato, il tentativo del presidente dei Républicains, Eric Ciotti, di creare un’alleanza elettorale con il Rassemblement National di Le Pen ha portato all’estromissione di Ciotti dal partito: l’esclusione è stata sospesa dai tribunali, ma per il momento il presidente non è stato reintegrato.
Andrea De Petris – Ricercatore in Diritto Comparato – UNINT Roma, Direttore Scientifico Centro Politiche Europee (Cep) Italia