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Attacco a Israele: questa volta l’Intelligenza artificiale fa la differenza

Il primo dicembre è terminata la tregua di una settimana tra Israele e Hamas, con le Israel Defence Forces (IDF) che hanno ripreso a convergere sulle principali roccaforti rimanenti del movimento islamico lungo la fascia costiera. La conta delle vittime per mano delle IDF dal 7 ottobre, confermata anche da alti funzionari israeliani, attualmente si attesta a 15.900 morti, di cui 5.000 militanti di Hamas.

Sul fronte settentrionale, dove Israele aveva già il controllo della maggior parte della città di Gaza, ha lanciato attacchi aerei sul quartiere di Shujaiya e sul campo profughi di Jabalia, dove si ritiene siano nascosti la maggior parte dei combattenti di Hamas rimasti a nord, mentre a sud Israele ha colpito Khan Yunis, città natale dei leader del movimento Yahya Sinwar e Muhammad Deif, dove si ritiene che entrambi si nascondano.

A fronte di un sostegno internazionale verso le operazioni militari che si sta pian piano erodendo, le forze armate di Israele si stanno affrettando ad agire prima che la «finestra di legittimità» si chiuda. Senza dimenticare la questione dei 136 ostaggi ancora detenuti a Gaza che il governo israeliano deve affrontare.

E’ stata prestata relativamente poca attenzione ai metodi utilizzati dai militari israeliani per selezionare gli obiettivi da attaccare a Gaza e al ruolo svolto dall’Intelligenza Artificiale (IA) nei combattimenti. In particolare, le forze delle IDF hanno avuto modo di implementare un software basato sull’IA per la selezione di obiettivi militari da colpire, chiamato “Habsora”, ossia il Vangelo, che ha accelerato significativamente le operazioni.

Aviv Kochavi, generale israeliano ed ex capo delle IDF fino a gennaio, ha rivelato come Habsora fosse già stato utilizzato nella guerra nel maggio 2021 di Israele contro Hamas, e che in quell’occasione avesse raggiunto la generazione di 100 obiettivi al giorno, contro i 50 annuali precedenti alla sua implementazione. Di questi 100 obiettivi giornalieri che vengono prodotti anche nel conflitto odierno, il 50% viene effettivamente attaccato.

Attualmente non è chiaro quali forme di dati vengano introdotti e come vengano processati da Habsora, ma gli esperti del settore affermano che i sistemi di supporto decisionale basati sull’IA per il targeting, in genere, analizzano grandi quantità di dati e informazioni provenienti da diverse fonti, come filmati di droni, comunicazioni intercettate, dati di sorveglianza tratte dal monitoraggio dei movimenti e dei modelli di comportamento di individui e gruppi.

Diversi alti funzionari e media israeliani hanno elogiato non solo le capacità di generazione dei bersagli, ma anche la riduzione dei danni collaterali per i non combattenti. Tuttavia, vari esperti di intelligenza artificiale e conflitti armati hanno affermato di essere scettici riguardo tali affermazioni. A tal proposito, diverse fonti hanno riferito che quando viene autorizzato un attacco contro le case private di individui, identificati come agenti di Hamas o della Jihad islamica, gli operatori sanno in anticipo il numero di civili che si prevede saranno uccisi, poiché ad ogni obiettivo viene conferito un punteggio di danno collaterale che stabilisce quanti civili potrebbero perdere la vita.

Oltre ad Habsora, l’esercito israeliano sta utilizzando diverse armi che sfruttano l’intelligenza artificiale. Tra le diverse armi più utilizzate, si riportano:

  • Harop Suicide Drone, un drone suicida in grado di trasportare una testata esplosiva da 16 kg per colpire un bersaglio fino a 1.000 km di distanza. E’ in grado di cercare, identificare e attaccare  autonomamente gli obiettivi;
  • Rotem, altro drone suicida utilizzato per il combattimento urbano di precisione;
  • AI Turrets, torrette che utilizzano un sistema di intelligenza artificiale che identifica, traccia e aggancia automaticamente i bersagli considerati ostili. Essa utilizza munizioni non letali, come proiettili a punta di spugna, gas lacrimogeni o granate stordenti. Il sistema autonomo di controllo del fuoco, chiamato SMASH, richiede ancora che un soldato apra il fuoco anche se non punta più l’arma;
  • RexMKII, uno dei robot da combattimento autonomi più avanzati al mondo, progettato per tenere le truppe di terra lontane dai pericoli. Esso è in grado di selezionare  autonomamente  i  bersagli  in  tempo  reale,  ma  necessita dell’autorizzazione da parte di un soldato per aprire il fuoco sui bersagli.

Da un’inchiesta condotta da Ronen Bergman e Adam Goldman, autorevoli firme del New York Times, basandosi su documenti segreti e pubblicata il 30 novembre dal prestigioso quotidiano americano, emerge che funzionari israeliani avevano ottenuto con oltre un anno di anticipo il piano di Hamas per condurre un attacco senza precedenti contro lo Stato d’Israele. Il suddetto piano, con il nome in codice “Jericho Wall”, era stato giudicato «troppo ambizioso e difficile da realizzare» dall’Intelligence militare e dalle alte sfere dello Shin Bet, l’agenzia per gli affari interni dello Stato ebraico.

Il documento, lungo circa quaranta pagine, dettagliava un ampio piano d’attacco simile a quello del 7 ottobre, che ha causato la morte di circa 1200 persone. Il documento, pur non indicando una data specifica per un possibile attacco, delineava tuttavia in modo preciso i punti per infiltrare l’apparato di sicurezza israeliano e attaccare città e basi militari. Tra le tattiche descritte vi erano una cascata di razzi, droni per distruggere telecamere di sorveglianza e sistemi automatizzati di difesa, oltre a combattenti che avrebbero attraversato il confine israeliano utilizzando parapendii, veicoli e mezzi a piedi, elementi centrali nel blitz del 7 ottobre. 

Inoltre, il report del New York Times afferma che non era possibile determinare se il piano fosse stato approvato «pienamente» dalla leadership di Hamas e come potesse tradursi nella realtà. 

Infine, non è chiaro se il primo ministro Benjamin Netanyahu o altri alti vertici israeliani ne fossero a conoscenza.

Va notato che, a tre mesi dagli attentati del 7 ottobre, un analista veterano dell’Unità 8200 – la sezione militare delle IDF incaricata dello spionaggio di segnali elettromagnetici (SIGINT)– aveva segnalato delle similitudini tra un’esercitazione militare condotta da Hamas e il piano delineato nel documento “Jericho Wall”. Tuttavia, un colonnello della divisione militare di stanza a Gaza aveva respinto categoricamente questa possibilità, definendo lo scenario come «totalmente irrealistico».

«La storia potrebbe ripetersi, se non siamo cauti», aveva ammonito, quasi profeticamente, l’analista dell’Unità 800, facendo riferimento alla guerra del 1973. Cinquant’anni fa, infatti, l’attacco quasi completamente inaspettato durante le festività del Kippur-Ramadan vide cogliere di sorpresa e letteralmente a digiuno tutto l’esercito israeliano, causandogli perdite ingenti sul fronte meridionale, in un scenario che, ieri come oggi, appariva niente affatto inverosimile.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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