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Gli attriti israelo-egiziani attorno alla Philadelphi Route

Già dalle prime settimane degli scontri iniziati il 7 ottobre nella Striscia di Gaza, l’Egitto ha tentato di mediare tra Tel Aviv e le autorità palestinesi per giungere rapidamente ad un cessate il fuoco e alla risoluzione duratura del conflitto.

A novembre 2023 il presidente al-Sisi, che è anche capo dell’Intelligence, ha ricevuto al Cairo il direttore della CIA William Burns, sottolineando l’urgenza di un cessate il fuoco per salvaguardare i civili ed evitare un nuovo esodo di rifugiati. La necessità di una tregua è stata ribadita dal leader egiziano nel corso di un confronto telefonico avuto a fine gennaio 2024 con il suo omologo statunitense Joe Biden. Durante il colloquio, è stato sottolineato come gli sforzi congiunti per il raggiungimento di una pace duratura a Gaza si inseriscono nel quadro di una partnership strategica tra il Washington e il Cairo avente tra i suoi obiettivi la stabilità del Medio Oriente e del Mediterraneo.

 A detta di Biden, al-Sisi si è mostrato «collaborativo». 

Sorprenderebbe il contrario per il primo Paese arabo ad aver normalizzato i rapporti con lo Stato di Israele. Inoltre, l’Egitto, già confinante con diversi “fronti caldi” (il Sudan a Sud, la Libia a Ovest e il Mar Rosso a Est), ha il massimo interesse acché la situazione al suo confine occidentale resti sotto controllo. È proprio sulla gestione dei territori tra Egitto e Gaza che si concentrano gli sforzi tra fine gennaio e inizio febbraio 2024. Netanyahu, infatti, punta a riacquisire il controllo del corridoio di Philadelphia, un lembo di terra di quattordici chilometri che si estende dal Mar Mediterraneo fino al valico di Karm Abu Salem e dal quale le truppe israeliane si ritirarono nel 2005 dando seguito all’Accordo di Philadelphia. In quest’area è presente l’unico valico non ancora assediato che collega Gaza al mondo esterno. Il destino del Philadelphi Route ha alimentato profonde divergenze, nelle ultime settimane, tra Netanyahu e al-Sisi, facendo prefigurare, nel caso di un intervento militare israeliano non autorizzato nel Corridoio, la possibilità di un’interruzione delle relazioni bilaterali tra i due Paesi. Un tale epilogo potrebbe vanificare gli sforzi fatti a livello regionale per normalizzare le relazioni arabo-israeliane, di cui il Cairo è stato l’indiscusso pioniere con gli accordi di Camp David del 1979. 

Se le relazioni tra Netanyahu e al-Sisi potrebbero incrinarsi, i rapporti tra quest’ultimo e il presidente russo Vladimir Putin sembrano più saldi che mai.

I legami tra Egitto e Russia sono di lungo periodo. Con l’avvento di al-Sisi sembrano essersi ulteriormente rafforzati attorno alla comune indifferenza ai moniti occidentali sul rispetto dei diritti umani, da una parte, e allo sviluppo tecnologico, dall’altra. Durante il Forum economico internazionale a San Pietroburgo nel giugno 2022, al-Sisi ha elogiato i forti legami con la Russia e i progetti congiunti, tra cui la realizzazione della centrale nucleare di Al Dabaa e la ristrutturazione della fatiscente rete ferroviaria egiziana. Queste iniziative sono state confermate nel bilaterale tra i due leader durante il Forum Russia-Africa a San Pietroburgo lo scorso luglio. 

Non è un caso che al-Sisi abbia optato per la neutralità sull’offensiva russa in Ucraina e resistito alle sanzioni anti-russe.

La collaborazione tra Putin e al-Sisi va oltre gli interessi commerciali. Dall’inizio dell’ultimo conflitto tra Hamas e Israele, i due leader hanno discusso ripetutamente della situazione nella Striscia di Gaza, sostenendo la necessità di un cessate il fuoco e promuovendo la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Al-Sisi ha anche agevolato l’evacuazione dei russi dalla Striscia di Gaza e la fornitura di aiuti umanitari dalla Russia.

Questa collaborazione andrebbe a consolidare il ruolo di Putin come potenza chiave nella regione e potrebbe trovare ulteriore slancio in caso di un definitivo deterioramento dei rapporti israelo-egiziani. 

Secondo alcune fonti, una possibile soluzione alla controversia sul Corridoio di Philadelphia potrebbe prevedere il futuro esercizio di un controllo israeliano sull’area attraverso mezzi tecnologici, unitamente alla costruzione di un muro sotterraneo lungo il confine per evitare il fenomeno dei tunnel transfrontalieri. Tuttavia, le consultazioni per il raggiungimento di un’intesa sono ancora il corso, e l’epilogo potrebbe avere delle ripercussioni che oltrepassano notevolmente i confini di Gaza.

 

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Cosa sono le alture del Golan e chi sono i drusi, le vittime di un attacco mortale contro Israele?

Sabato 27 luglio, 2024. Le tensioni al confine tra Israele e Libano hanno raggiunto un nuovo apice dopo l’attacco missilistico, attribuito al gruppo militante di Hezbollah, che è costato la vita a dodici ragazzini israeliani nella città araba di Majdal Shams, sulle Alture del Golan. Martedì 30 luglio, Tel Aviv ha dato inizio alla sua vendetta con un raid su un sobborgo meridionale della capitale libanese Beirut. Un fattore che complica l’affannata risposta diplomatica, per evitare lo scoppio di una guerra regionale totale, è il fatto che le vittime appartenevano alla minoranza religiosa ed etnica dei drusi.

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Giordania: il difficile equilibrio tra stabilità regionale e caos interno

Lo scorso 5 luglio una folla di manifestanti ha marciato per il centro di Amman, sventolando cartelli e bandiere a sostegno della Palestina.
Jason Burke, inviato del The Guardian riporta che centinaia di manifestanti hanno attraversato Rainbow street, un tempo meta preferita dei turisti, all’urlo di “Bruceremo Israele! Vogliamo la testa di Netanyahu!”.
Dall’attacco in Israele del 7 ottobre, e dalla successiva invasione di Gaza, la Giordania sta attraversando una delle sue sfide più difficili.

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La minaccia asimmetrica Houthi: una chiave per capire il presente

Il Mar Rosso si è nuovamente trasformato in un teatro di tensioni che da mesi a questa parte disturbano i sonni di non poche leadership mondiali. Arteria vitale per il fluido scorrimento di circa il 15% del traffico marittimo internazionale, le sue acque meridionali sono interessate da un nuovo tipo di conflitto, nel quale un’entità ibrida a metà tra uno Stato ed una milizia sfida l’ordine talassocratico imposto dalla potenza militare americana.

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La strategia asimmetrica dell’Iran e il rischio di escalation in Libano

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile la Repubblica Islamica dell’Iran ha condotto il più grande attacco dronico mai registrato contro lo Stato di Israele. L’operazione, denominata “Promessa sincera”, ha visto l’impiego di 170 droni, 120 missili balistici e almeno 30 missili guidati e costituisce il primo attacco diretto della Repubblica islamica contro Israele dalla rivoluzione khomeinista del 1979. L’operazione è stata condotta come risposta all’attacco aereo israeliano del 1° aprile contro l’ambasciata iraniana in Siria, nella quale sarebbero deceduti 13 funzionari.

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Iran: la strada in salita del riformatore Massoud Pezeshkian

L’Iran ha un nuovo presidente. Settant’anni a settembre, il cardiochirurgo e parlamentare che chiede “relazioni costruttive” con Washington e i Paesi europei per “far uscire il Paese dal suo isolamento”, ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali di venerdì 5 luglio 2024, davanti all’ultraconservatore Saïd Jalili, 58 anni. Ma il candidato neo eletto resta “sorvegliato speciale” nel campo dei sostenitori della linea dura del regime di Teheran.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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