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Le tensioni crescenti alimentano il rischio di escalation in Medio Oriente

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avuto il 4 aprile una lunga e accesa telefonata con il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu, durante la quale ha esortato quest’ultimo a modificare immediatamente e drasticamente la sua strategia nella situazione riguardante Gaza. La recente uccisione di sette volontari della World Central Kitchen da parte dell’esercito israeliano, che si sommano ai 180 volontari delle Ong uccisi nel conflitto, ha generato un’ondata di indignazione anche tra gli alleati più stretti di Israele: nella conversazione durata 45 minuti, il leader americano ha insistito con il suo omologo israeliano sull’importanza che Israele metta in atto una serie di misure specifiche e concrete per affrontare i danni inflitti ai civili e garantire la sicurezza degli operatori umanitari nella Striscia di Gaza, oltre ad insistere sulla necessità che si arrivi ad un cessate il fuoco. Ciò consentirebbe di ottenere almeno sei settimane di tregua a Gaza e sul fronte nord. 

In seguito alla conversazione, il gabinetto di guerra ha annunciato che introdurrà misure volte ad aumentare l’afflusso di aiuti alla popolazione di Gaza attraverso il porto di Ashdod e la riapertura del valico di Erez: dall’inizio del conflitto, sono almeno 33.037 i palestinesi che sono stati uccisi e 75.668 quelli rimasti feriti sulla Striscia di Gaza. In merito al raid israeliano che ha causato la morte di sette dei suoi operatori umanitari, la World Central Kitchen ha richiesto un’indagine indipendente, chiedendo, inoltre, a Israele di conservare tutti i documenti, le comunicazioni, le registrazioni video e audio relative all’attacco al loro convoglio al fine di agevolare l’indagine.

Allo stesso tempo, Israele si trova in uno stato di massima vigilanza a causa delle preoccupazioni per le possibili ritorsioni da parte dell’Iran in seguito all’eliminazione del comandante dei Pasdaran Mohamad Reza Zahedi e del suo vicecomandante Mohamad Hadi Rahimi in un raid all’ambasciata iraniana a Damasco, per cui l’establishment iraniana ha promesso vendetta. Il presidente degli USA ha ribadito a Israele il suo incondizionato sostegno di fronte alle minacce provenienti dall’Iran, che stanno mettendo in agitazione lo Stato ebraico. Per dare un quadro preciso del livello di allerta attuale nel Paese, bastano le azioni adottate dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) dopo una valutazione dei vertici militari: sono stati richiamati i riservisti della difesa aerea, è stata posticipata la prevista smobilitazione delle unità combattenti e sono stati implementati blocchi per motivi di sicurezza su alcuni segnali GPS anche nelle aree centrali di Israele, al di fuori dei confini con Gaza, Libano e Siria, che sono attualmente teatri di conflitti armati. 

Dando per scontata una risposta di Teheran da molti analisti e dallo stesso apparato di difesa israeliano, il portavoce dell’IDF, Daniel Hagari, ha affermato che «le forze sono ben schierate in formazioni difensive e offensive, con una protezione su più livelli e aerei in cielo 24 ore su 24». Secondo fonti iraniane citate da Reuters, Teheran intende proseguire sulla stessa linea d’azione intrapresa da ottobre, evitando un conflitto diretto con Israele e gli Stati Uniti, ma allo stesso tempo continua a sostenere le milizie alleate che hanno preso di mira lo Stato ebraico, le truppe statunitensi e le navi nel Mar Rosso, ipotizzando intensi attacchi di missili dal Libano o dalla Siria attraverso gli Hezbollah e altre milizie sciite.

Rotture e fattori di destabilizzazione proseguono anche dal punto di vista della politica interna. Il 3 aprile, il leader dell’opposizione e del partito centrista Blu e Bianco, Benny Gantz, ha proposto per la prima volta elezioni anticipate per settembre, ma il suo appello è stato respinto dal Likud, il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu. Gantz, entrato a far parte di un governo di unità nazionale e nominato membro del gabinetto di guerra israeliano, ha sottolineato l’importanza di preservare l’unità nazionale e di rinnovare la fiducia nel governo, vacillante in questo momento di basso consenso interno verso Netanyahu, criticato dagli oppositori per la sua gestione del conflitto e dei negoziati per la liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas, evidenziando la necessità di concordare una data per le elezioni entro settembre, quasi un anno dopo l’inizio del conflitto. Il Likud ha rigettato la richiesta dell’opposizione, affermando che il governo rimarrà in carica finché tutti gli obiettivi della guerra non saranno raggiunti, accusando Gantz di dedicarsi a «politiche meschine» durante un momento critico per Israele nel bel mezzo del conflitto.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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