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L'ombra della Repubblica islamica si allunga sul Medio Oriente: la pre-guerra tra Iran e Israele

L'1 aprile, un attacco aereo israeliano ha colpito il consolato iraniano a Damasco, segnando un passaggio dallo scontro per procura ad un confronto più diretto tra Iran e Israele. Tale sviluppo ha portato gli analisti, tra cui Alain Frachon de “Le Monde”, a riflettere sulla sterzata che il pre-conflitto potrebbe offrire alla spirale di tensioni in Medio Oriente.

Nonostante l’escalation, né l’Iran, né Hezbollah, né gli Stati Uniti sembrano volere un conflitto aperto, e anche Israele sembra esitare. Tuttavia, la probabilità che la guerra di Gaza possa innescare un altro conflitto è alta. Ogni giorno che passa con la tragedia di Gaza in corso, aumenta il pericolo di un secondo conflitto in Medio Oriente, che potrebbe trascinare il Libano nel caos. Da quasi cinque mesi, Hezbollah, il partito-milizia libanese, ha espresso solidarietà ai palestinesi di Gaza. Lanciando quotidianamente missili e razzi dal Sud del Libano, Hezbollah sta mobilitando l’esercito israeliano sul suo fronte settentrionale. Entrambi i belligeranti stanno cercando di non andare troppo lontano in un “balletto in codice” di attacchi e contrattacchi, ma il rischio di un “fuori pista” è sempre presente. Dietro questo duello di artiglieria lungo il confine, l’ombra dell’Iran, il patron di Hezbollah, si fa sempre più lunga. Attraverso i miliziani libanesi, la Repubblica Islamica e Israele si stanno scontrando indirettamente. Ma fino a che punto si spingerà questa fase pre-bellica tra due delle principali potenze militari della regione?

L’1 aprile, una linea rossa è stata superata a seguito di un attacco aereo contro la sezione consolare dell’ambasciata iraniana a Damasco. In altri termini un attacco in “territorio” iraniano. L’obiettivo non era più Hezbollah, ma la sua matrice iraniana. Si allontana la dimensione della proxy war per interposta milizia e si avvicina il confronto diretto: Israele colpisce l’Iran, che promette di rispondere.

L’obiettivo dell’attacco era importante. Sedici persone sono state uccise nell’attacco di Damasco, tra cui il generale iraniano Mohammad Reza Zahedi e almeno tre dei suoi vice. Si trattava di figure chiave dell’apparato avanzato della Repubblica Islamica al di fuori dei suoi confini. Hanno guidato, cioè, la rete di milizie arabe su cui Teheran fa affidamento per imporre e mantenere il suo status di grande potenza regionale: gli houthi yemeniti, le milizie sciite d’Iraq schierate anche in Siria, Hezbollah libanese e, infine, Hamas palestinese. Con la Repubblica dei mullah, formano l’Asse della Resistenza, ufficialmente al servizio della lotta contro Israele, ma soprattutto al servizio dell’Iran. L’attacco lanciato da Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023 (che ha causato quasi 1200 morti e più di 250 persone rapite) probabilmente non è stato coordinato all’interno dell’Asse della Resistenza”, ma prigioniero della sua retorica belliscosa, l’Asse ha dovuto reagire alla distruzione delle città e al bombardamento della popolazione della Striscia di Gaza – che ha causato più di 33.000 morti, secondo il movimento palestinese.

Se l’Iran rimane sullo sfondo, in realtà ha mobilitato il suo network. Gli Houthi interrompono il traffico marittimo nel Mar Rosso, le milizie irachene sparano sulle basi americane in Iraq e in Siria, ma la grande parte della resistenza è opera di Hezbollah.

Per comprendere la storia e l’importanza della milizia sciita libanese nata all’inizio degli anni ’80, è necessario leggere il libro scritto da Christophe Ayad, “Geopolitica di Hezbollah”. Hezbollah, con i suoi 30.000 uomini in armi e migliaia di missili di tutte le categorie, è il gioiello dei partiti-milizie che assicurano l’espansione della Repubblica Islamica in terra araba. Ayad descrive una saga fatta di legami religiosi, politici e familiari che uniscono gli sciiti – il ramo minoritario dell’Islam – dal Libano meridionale all’Iran, un Paese a maggioranza sciita. A livello militare, il Partito di Dio è una potenza molto più minacciosa per Israele di Hamas palestinese, ma è anche una formazione radicata nella realtà libanese, rappresentata in Parlamento e nel Governo. Non è solo uno strumento del potere iraniano, ma risponde dunque anche al suo elettorato in patria. Ciò impone a Hezbollah di non esagerare nella risposta alla campagna che Israele sta conducendo a Gaza. Ci sono dei limiti, soprattutto non provocare un intervento israeliano nel Libano, in un Paese già devastato dalla degenerazione della sua classe politica. La guerra sarebbe un disastro e la responsabilità verrebbe attribuita a Hezbollah che gode già di poca popolarità al di là della comunità sciita. 

Inoltre, nel dispositivo iraniano, la priorità di Hezbollah non è la difesa di Hamas ovvero la causa palestinese in generale. L’arsenale missilistico del partito-milizia, che può colpire tutte le grandi città israeliane, è lì per dissuadere lo Stato ebraico – con o senza gli Stati Uniti – dall’attaccare gli impianti nucleari della Repubblica Islamica. E l’Iran, tutto impegnato a sviluppare il suo progetto atomico militare, perché garanzia, ai suoi occhi, della sua sopravvivenza eterna; non correrà il rischio di coinvolgere Hezbollah per il bene Hamas; non rischierà di entrare in conflitto diretto con Israele.

Questo ci riporta alla realtà sul campo. Per mantenere la sua reputazione, Hezbollah continuerà a lanciare i suoi razzi finché la guerra di Gaza continuerà. Quasi 100.000 abitanti del nord di Israele hanno dovuto abbandonare le loro case. Lo Stato ebraico risponde su due fronti: colpendo Hezbollah, fino al Sud di Beirut, e colpendo direttamente gli interessi iraniani, come l’1 aprile a Damasco. Questo tipo di situazione è un rischio controllato, dunque, ma soltanto fino al giorno in cui sfuggirà di mano.

Coordinamento a cura di Ciro Sbailò

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